1997-2007:
la tempesta perfetta
Campioni del mondo
Nel 2000, il gruppo Telecom contava in Italia 120.345 dipendenti. Possedeva una trentina di controllate estere con un patrimonio immobiliare stimato in quasi 10 miliardi di euro. I suoi debiti erano di appena 8,139 miliardi.
Al mio ritorno in Italia, a fine 2006, l’azienda si ritrovava con un debito di 37,301 miliardi, 39.453 dipendenti in meno, una manciata di partecipazioni estere e un patrimonio immobiliare quasi azzerato. Come si spiega?
Tutto è cominciato con la privatizzazione dell’azienda. «Noi italiani siamo come sempre campioni di primati: la Seconda Repubblica è stata un colpo di Stato non registrato dalla storia e la privatizzazione di Telecom è stata un colpo di Stato economico per opera di imprenditori improvvisati».
Sono le parole dell’ingegner Vito Gamberale, ex ad e fondatore di tim, da sempre uno dei maggiori esperti di telecomunicazioni del Paese. Forse non tutti ricordano che Telecom Italia (Sip fino al 1994)fu il primo nel mondo a lanciare la carta prepagata, una soluzione innovativa che permise la rapida diffusione della telefonia mobile a livello planetario. La ragione del successo della Telecom risiedeva nei suoi uomini, nella loro formazione etica e nella loro conoscenza tecnologica del settore.
In questa squadra di “intelligenze tecnologiche” figurava anche mio padre, che fin dai suoi giovanissimi anni in Sip fu uno dei primi a cimentarsi nella portata innovativa della commutazione a pacchetto. Rivoluzione che due decenni dopo aprì le porte alla nuova era dell’economia digitale.
Negli anni Novanta l’azienda era guidata dalla illuminata visione di Ernesto Pascale, uomo che apparteneva a quella tanto odiata specie che alcuni definivano dei “boiardi di Stato”. Esperto di telecomunicazioni con una grande attività sul campo, era considerato uno dei migliori manager in circolazione. Amante di cultura e arte, collezionista di dipinti antichi, era un professionista di vecchia scuola, il cui stipendio non raggiungeva neanche la decima parte di quanto percepiscono gli attuali top manager tra bonus, stock option e compensi vari. Era, insomma, un uomo abituato a prendere decisioni in una ottica pubblica e non certo viziata dai salotti buoni della “finanza creativa”.
Pascale, poche settimane prima della sua scomparsa, avrebbe detto ai suoi collaboratori, alludendo alla Telecom: «Era un gioiello, una macchina da soldi, e per distruggerla ci vorrà tempo. Ma ci riusciranno».
La Telecom, fino al 1993 Sip, era un’azienda con capitali privati ma a controllo pubblico e, per quanto criticabile per alcune inefficienze, fu la prima a capire che la banda larga e la telefonia mobile avrebbero dato una linfa vitale alla crescita e allo sviluppo del nostro sistema economico.
Durante la direzione di Pascale, oltre alle partecipazioni estere, fu avviato il “progetto Socrate”, sul quale io feci la mia tesi di laurea, progetto bloccato immediatamente dopo la privatizzazione perché troppo costoso e poco consono alle ambizioni di guadagno degli azionisti di controllo.
Socrate, mai nome fu più azzeccato, avrebbe dovuto portare la fibra ottica in dieci milioni di abitazioni con dieci anni di anticipo rispetto agli altri Paesi europei. E pensare che oggi, con un ritardo di 20 anni, non è ancora del tutto chiaro come realizzare un progetto simile.
«Ernesto Pascale può essere definito come l’Enrico Mattei delle telecomunicazioni», aggiunge nella sua intervista l’ingegner Gamberale, «era contornato da manager professionalmente molto validi che appartenevano a una grande tradizione di ingegneri elettronici, figli di quell’italianissimo Meucci che guarda caso inventò il telefono».
Quasi contemporaneamente al lancio del progetto Socrate, Telecom Italia Mobile introdusse nel mercato la prima carta prepagata. «Un giorno mi trovavo in aereo – continua a raccontare Gamberale – notai in un trafiletto che un’azienda di telefonia della Colombia aveva implementato una carta prepagata per evitare le frodi. Da lì mi venne la scintilla. Dopo poco la lanciammo e fu un successo inimmaginabile perché tutti i Paesi del mondo ci copiarono».
Negli anni Novanta lo stato di salute dell’azienda era così florido che c’era addirittura un piano per comprare una quota consistente di Telefónica. «All’epoca Telefónica era molto indietro», ricorda Umberto De Julio, altra figura storica, ex ad di tim nel 1998, «noi eravamo all’avanguardia mondiale e con risorse sufficienti per permetterci di comprare partecipazioni di qualsiasi azienda». Cosa direbbero quei “boiardi di Stato” se sapessero che quindici anni dopo gli spagnoli di Telefónica sarebbero entrati nel gruppo di controllo di Telecom Italia?
Dopo la privatizzazione si registrò un vero e proprio esodo delle competenze. Venne smantellata tutta quella schiera di dirigenti pubblici di vecchia scuola che oggi si potrebbe chiamare dei “Pascale boys”, per essere rimpiazzata da una nuovissima schiera di «intelligenze finanziarie» al soldo dei nuovi proprietari. Secondo Gamberale una grandissima responsabilità l’avrebbero avuta anche i giornalisti economici. A parte pochi, quasi nessuno si intendeva di economia, e tantomeno di telecomunicazioni, ma...