Stato di diritto. Divisione dei poteri. Diritti dell'uomo. Un confronto tra dottrina cattolica e pensiero libertario
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Alcuni temi hanno una particolare importanza nel dibattito so­ciale e politico. In questo scritto se ne prendono in esame tre – lo "Stato di diritto", la divisione dei poteri, i diritti dell'uomo – che, a causa del loro carattere paradigmatico, diventano, in qualche modo, concetti intoccabili. Anche il pensiero cattolico, che nel lon­tano passato si era posto in atteggiamento critico, da tempo ha dimostrato di recepire sostanzialmente le istanze delle più diffuse teorie sullo Stato. Realmente alternativo a queste ultime risulta, invece, il libertarismo il cui impianto dottrinale merita di essere messo a confronto con gli altri e più diffusi sistemi di pensiero politico.

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Informazioni

Editore
Go Ware
Anno
2017
ISBN
9788867978625

1.
Stato di diritto. Un approccio critico al magistero sociale della Chiesa

1.1. “Rechtsstaat” e “Rule of law”

Tra le principali e più significative caratteristiche dello Stato moderno[4] si è soliti considerare quella di poggiare sul “diritto”. Prima di porci la domanda sul significato di questo “diritto” cui lo Stato rinvia e su cui intende fondarsi, ricordiamo che la formula Stato di diritto[5] nacque in ambito germanico, negli anni a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento[6]. Il termine tedesco Rechtsstaat intendeva rappresentare l’intento di garantire ai cittadini la “certezza del diritto”, attraverso l’obbligo a carico dello Stato ed i suoi poteri di esprimersi solo attraverso le formalizzazioni giuridiche.
Più o meno adeguatamente, si suole far risalire il contenuto dell’espressione a Immanuel Kant (1724-1804) che, nella sua principale opera morale (La metafisica dei costumi del 1797), aveva fatto coincidere libertà e diritto positivo[7]. Tuttavia, già qualche anno prima, il pensatore prussiano Wilhelm von Humboldt (1767-1835), nel Saggio sui limiti dell’attività dello Stato del 1792, nel delineare la funzione dello Stato, circoscrive questa unicamente all’applicazione della legge[8].
Da allora, la formula tedesca Rechtsstaat è stata tradotta nelle altre lingue in modo abbastanza letterale; così abbiamo il francese État de droit o l’italiano Stato di diritto. In area anglosassone, invece, vige un diverso etimo – Rule of law – che dà luogo a più di un dubbio circa la coincidenza di significato con la nozione continentale. Se alcuni studiosi – e tra questi gli esponenti della Scuola Austriaca[9](Mises, Hayek, Leoni, Rothbard) – hanno sottolineato questa differenza, ordinariamente, si preferisce presentare la Rule of law anglosassone accentuando la similitudine con lo Stato di diritto tipico della tradizione giuridica europea.
Convenzionalmente per Stato di diritto si intende lo Stato la cui organizzazione e le cui attività sono rigorosamente regolate e stabilite da norme del diritto positivo. Lo Stato di diritto è, pertanto, quell’ordinamento in cui ogni manifestazione del pubblico potere è sottoposta e vincolata (ma sarebbe più giusto dire semplicemente “normata” e “regolamentata”) da prescrizioni, ordinanze e disposizioni. In una parola: da leggi positive[10].
È vero che il lontano proposito di obbligare il potere a norme scritte trova la sua origine negli sforzi di limitare l’arbitrio politico e l’assolutismo monarchico, tuttavia il moderno Stato di diritto può davvero essere inteso come attuazione di quel processo di limitazione del potere che ha avuto in documenti come la Magna Charta (anno 1215) o il Bill of Rights (anno 1689) i suoi momenti storici più noti?
Dicevamo che la formula anglosassone pone un interrogativo circa la sua equipollenza alle altre formule, proprie delle lingue continentali. Il giurista Bruno Leoni (1913-1967) che pure accentua la distinzione tra le due tradizioni, nel suo magistrale volume Freedom and the Law (l’opera fu scritta in inglese nel 1961), non nasconde come «non [sia] facile stabilire cosa intendano i popoli di lingua inglese con l’espressione Rule of law. Il significato di queste parole è mutato negli ultimi settanta o addirittura cinquant’anni, e l’espressione ha acquisito un suono piuttosto obsoleto sia in Inghilterra sia in America»[11]. Pur tuttavia tra la nozione di Stato di diritto e Rule of law emergono differenze tutt’altro che trascurabili.
Queste possono essere sintetizzate già a partire dal loro aspetto terminologico: la formula tedesca (Rechtsstaat), quella italiana (Stato di diritto) e quella francese (État de droit) contengono inesorabilmente il riferimento allo Stato mentre il «concetto rule of law (letteralmente: “governo del diritto”) prescinde dall’idea di Stato e rinvia appunto all’idea di un potere che è limitato da un lato dal diritto naturale, da un ordine naturale, e inoltre limitato dal diritto storico, dalle consuetudini, dai precedenti giurisprudenziali»[12].
Il politologo Giovanni Sartori (1924-viv.) a riguardo, ha infatti, affermato che «il rule of law non postula lo Stato, postula, piuttosto, un diritto extra statuale, autonomo: il diritto comune, il case law, in somma il diritto dei giudici e dei giuristi»[13]. La fondamentale questione è riassumibile nella domanda circa il rapporto esistente tra diritto e Stato. Ed in base alla questione, il discrimine tra lo Stato di diritto – per il quale la legge (il “diritto”) è una promanazione dello Stato – e la rule of law – per la quale è il diritto (la law) a dover “governare” – non potrebbe essere più ampio. Anticipando le considerazioni che seguiranno, si può dire: da un lato la sovranità dello Stato, dall’altro la supremacy of la...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Presentazione
  5. Premessa
  6. 1. Stato di diritto. Un approccio critico al magistero sociale della Chiesa
  7. 2. Separazione dei poteri. Oltre l’ovvietà
  8. 3. Diritti dell’uomo e Dottrina Sociale della Chiesa
  9. 4. Diritti “positivi” e diritti “negativi”. I limiti dell’insegnamento sociale della Chiesa
  10. Lista dei nomi e dei luoghi citati