Er paradiso perduto (indàggine su un pasticciàccio de tanto tempo fa)
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Er paradiso perduto (indàggine su un pasticciàccio de tanto tempo fa)

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Er paradiso perduto (indàggine su un pasticciàccio de tanto tempo fa)

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Una storia antica almeno quanto la Bibbia, che ispirò a John Milton il Paradise Lost esattamente 350 anni fa, viene oggi riscritta dall'autore in lingua romana, in terzine. E in chiave erotica. La trasgressione di Adamo ed Eva non è solo assaggiare il frutto proibito: non basta a spiegare l'azzardo per cui perdono la beatitudine nel Paradiso terrestre. È la conseguenza di una frustrazione: non riescono a generare. Il comando era: siate fecondi e moltiplicatevi; perché allora non concepivano? Sono soli, non possono nemmeno peccare di adulterio, e allora, con acrobazie da Kamasutra, l'Uomo e la Donna cercano di vincere la noia amorosa e insieme di obbedire al comando di riprodursi. Questa è la promessa del tentatore, il demonio: devono provare piaceri nuovi per generare, e per raggiungere la conoscenza del valore e del destino dell'uomo. Finché la trasgressione si spinge troppo oltre… Nonostante il tema pepato, l'autore usa un vernacolo garbato, la lingua arguta dei rioni antichi di Roma, come Monti. E riesce così a mantenere il divertissement nel rispetto della sensibilità religiosa.

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Informazioni

Editore
Go Ware
Anno
2018
ISBN
9788867979424

Er Paradiso perduto
(indàggine su un pasticciàccio de tanto tempo fa)

Canto primo

Li ggiórni felici
Ner mezzo der Giardino der Siggnóre,
tra fresche fràsche e belle maripòsa[1],
Eva e Adamo facevano l’amore.
Baci, carezze, e quar’àrtra cosa,
ma tutto casto, normali scopàte.
Cosucce da ‘n fà vergoggnà ‘na sposa.
Seguivano le regole dettate
da quànno che l’avevano creati:
’ste cose so ggiuste, quelle sbajàte.
Perch’èrano devòti, no scafàti,
e pe’ paura de le baccajàte[2].
Se spassàvano e poi, sderenàti[3],
pe’ ripiàsse, certe gran magnàte…
E prima de riméttese al lavoro,
ce scappavano certe passeggiate
verso ’r bell’àrbero der pomo d’oro.
No, ch’ hai capito, no quello da sugo.
E manco quello famoso de’ Omero,
che c’arriccónta l’infame paciùgo[4]:
la storia de la mela a la più bella
che Paride a sóra[5] Era trafugò,
pe’ dàlla interessato a sóra Amore,
in cambio d’i favori de ’a più sórca,[6]
facènno dell’Olimpo ’n frullatore;
a seguì ’na guèra pe’ quela pòrca
che mollò ’r marito co’ er traditore…
la sai da scôla ’sta storiàccia spòrca.
Su ’r divieto ’r Siggnóre fu ’n po’ vago:
co’ ’r frutto scoprireste ’r Bbene e ’r Male,
sête crâture[7] e lì ce vive un drago.
Pe’ la strizza de ’sto rischio bestiàle
(e perché nun je ne fregàva, pènzo)
zitti e fedeli all’uso abbituàle:
s’univano solo ar ggiùsto senso,
quello che chiamàno der missionàro.
C’avevano ’n dovere grosso, immenso,
senza che l’Ômo potesse fà ’r bàro:
popolà de regazzìni la Tèra
o fàsse la fama de pallonàro[8].
Come direbbe ’na stornellatóra[9],
perciò, dàje de tacco e de punta.
Giorno e notte quéla tiritèra,
co’ Eva a fà come la sóra...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Presentazione
  5. Da un manoscritto smarrito
  6. Er Paradiso perduto