1. Il sistema fiscale italiano e l’imposta sulle rendite finanziarie
È caratteristico del nostro sistema tributario il non voler includere la quasi totalità dei redditi che provengono dall’investimento di attività finanziarie percepiti dai soggetti Irpef (quando al di fuori dell’esercizio di attività di impresa) nella “base imponibile”.
Del resto, in tutti i Paesi del mondo, la politica tributaria, quando ha riguardato la tassazione delle rendite finanziarie, ha dovuto tener conto del processo di liberalizzazione in atto nei movimenti di capitale. Ne consegue la necessità di dotarsi di un sistema di imposizione al passo coi tempi, magari mutuandolo da altri regimi di imposizione già affermatisi in alcuni Stati europei, come quello che, nel Nord Europa viene adottato già intorno al 1990, distinguendo il reddito personale in due componenti: reddito da capitale; altri redditi.
Sui redditi di capitale viene applicata un’imposta proporzionale, come quella applicata alle società, ma con un’aliquota più bassa della minima tra le aliquote marginali progressive applicate al reddito della persona fisica.
1. Principi costituzionali
L’articolo 23 della nostra Costituzione stabilisce che “... nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge...”.
Si ha, in tal caso, una vera e propria “riserva” di legge, nel senso che ogni imposizione tributaria (anche se solo negli elementi essenziali) può essere posta in essere soltanto mediante l’emanazione di una legge.
Inoltre, l’articolo 53, nello stabilire che “... tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva…” sottolinea il carattere universale dell’imposta, prescrivendo una tassazione “... informata a criteri di progressività…” nel senso di una tassazione basata sulla progressione delle aliquote, in ragione della capacità contributiva di ognuno. Di fatto, la scelta del nostro e di altri legislatori, in materia di rendite finanziarie, è caduta su un sistema di assoggettamento delle rendite finanziarie a un prelievo unico, basato su un’unica aliquota (al limite due) uguale per tutti, prescindendo dalla capacità contributiva del soggetto Irpef. Solo in qualche caso e solo poche rendite finanziarie, vengono tassate in sede di dichiarazione dei redditi (dove le rendite finiscono per fare cumulo con gli altri redditi Irpef o Ires).
2. I soggetti passivi: persone fisiche e persone giuridiche
Cerchiamo di comprendere meglio chi sono i soggetti ai quali si rivolge il sistema di imposizione oggetto della nostra analisi.
In tal senso sarà opportuno fare un primo richiamo a una categoria di lavoratori cui appartengono quei professionisti “tradizionali” (quali avvocati, commercialisti, periti, ecc.) che usualmente sono ricompresi nell’alveo del cosiddetto lavoro autonomo, tanto diffuso quanto scarsamente considerato, addirittura all’interno delle stesse analisi economiche.
Quando parliamo di reddito di impresa, occorre tener presente che in tale nozione rientrano non soltanto i profitti derivanti dalla vendita di beni e servizi, ma anche i proventi derivanti da attività finanziarie, redditi di terreni e fabbricati e qualsiasi guadagno in conto capitale (e le variazioni intervenute nel valore delle attività patrimoniali, delle quali si tiene conto allorché si faccia riferimento alle plusvalenze o minusvalenze ottenute su tale ammontare). È altresì doveroso accennare ai diversi istituti giuridici che contraddistinguono quest’area. Così potremo e dovremo tener conto di figure alquanto diverse che, proprio per questo, vengono incise in modo diverso dalle tre forme di imposizione che conosciamo: Irpef (per le persone fisiche), Ires (per le persone giuridiche) e Isos (Imposta sostitutiva).
Per maggior chiarezza espositiva sarà opportuno rammentare che le imprese possono avere forma individuale o quella di associazione. Nelle società di persone (come le società in accomandita semplice, quelle in nome collettivo o le società semplici) il reddito viene attribuito alla singola persona e, quindi, tassato in sede di dichiarazione come tutti gli altri redditi personali. Nelle società di capitali (società per azioni, in accomandita per azioni o nelle società a responsabilità limitata) i redditi subiscono la tassazione Ires (imposta sul reddito delle società), salvo poi, nel caso gli utili vengano distribuiti ai singoli soci, subire un’ulteriore tassazione in capo a questi ultimi.
Per le persone fisiche, che non esercitano attività di impresa, il nostro legislatore ha deciso già dal 1974 che i redditi delle attività finanziarie (titoli di Stato – TdS –, obbligazioni, azioni, strumenti finanziari derivati, interessi sui depositi in conto corrente) vengano esclusi dall’Irpef e siano sottoposti a imposta sostitutiva (Isos) di tipo proporzionale (ossia con aliquota fissa). Questa imposta sostitutiva può essere trattenuta direttamente dall’emittente dello strumento finanziario sottostante (in tal caso si parla di ritenuta alla fonte) e libera il soggetto da qualsiasi ulteriore incombenza tributaria (il soggetto non deve dichiarare tali redditi sul suo modello Unico). Negli altri casi, il calcolo dell’imposta (una volta che il soggetto abbia optato per il regime amministrato o quello del risparmio gestito) viene effettuato a cura dell’intermediario finanziario e anche in tal caso la ritenuta avviene a titolo di imposta (definitiva) e libera il soggetto da ulteriori incombenze. In casi particolari il soggetto Irpef è tenuto a riportare tali redditi in dichiarazione (per esempio nel caso di partecipazioni qualificate o quando l’imposta pagata abbia carattere di acconto).
Del resto, per ribadire quanto già ricordato all’inizio, l’adozione di imposte sostitutive, che non richiedono di identificare il percettore dei redditi ma lo incidono, attraverso ritenute alla fonte (applicate dallo stesso emittente del prodotto finanziario) o attraverso gli intermediari finanziari delegati al calcolo (che applicano l’imposta sostitutiva), consente di dare una risposta, seppur in modo parziale, alla consistente mobilità dei capitali finanziari. Tale mobilità risente della concorrenza anche fiscale che i diversi Paesi del mondo possono esercitare per attrarre gli investimenti dei risparmiatori.
È commerciale l’ente che ha per oggetto, esclusivo o principale, lo svolgimento di un’attività di natura commerciale, ossia un’attività che determina reddito di impresa ai sensi dell’art. 51 del Tuir.
Per esercizio di imprese commerciali s’intende l’esercizio delle seguenti attività: esercizio anche non esclusivo delle attività elencate dall’art. 2195 del codice civile (attività dirette alla produzione o allo scambio di beni e servizi; attività di intermediazione nella circolazione di beni; attività ausiliarie alle precedenti, ecc.).
Costituiscono attività non commerciali: i compensi corrisposti per la prestazione resa che vanno a remunerare solo le spese sostenute e non danno utile all’ente che eroga la prestazione (vedi enti no-profit).
3. Residenza fiscale e valutaria
La territorialità dell’imposta è di particolare rilevanza per un Paese. Infatti, dalla statuizione di quale sia il luogo deputato a incamerare il provento riveniente dalla tassazione possono discendere importanti implicazioni di carattere economico.
Se il parametro utilizzato è quello della residenza, si tenderà a tassare il soggetto “residente” per i redditi da questo prodotti in qualsiasi parte del mondo.
Se il parametro è quello della “fonte di provenienza”, verranno incisi tutti i redditi prodotti nel territorio di quel Paese.
Nel caso di un reddito prodotto da un soggetto residente in altro Stato possono sorgere dei problemi di imputazione, nel senso che più Stati potrebbero cercare di percepire, in concorso tra loro, imposte sullo stesso reddito, a spese del percettore.
Secondo quanto indicato dal d.P.R. 917/1986, ai fini delle imposte sul reddito si considerano residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni) sono iscritte alle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza.
Si considerano, altresì, residenti i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati (nel tempo) con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze (Mef).
Qualora la persona fisica italiana risieda in un “paradiso fiscale” (c.d. Paesi “black list”), si presume (salvo prova contraria) che risieda fiscalmente nel nostro Paese.
Per quanto riguarda le società commerciali, si considerano aventi sede legale o amministrativa in Italia, qualora il territorio italiano sia stato luogo dell’oggetto principale della loro attività, per la maggior parte del periodo d’imposta.
Si considerano fiscalmente non residenti tutti i non residenti che presentino la autocertificazione prevista dal dec...