Il Sangue Rosa. La strage delle donne
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Il Sangue Rosa. La strage delle donne

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Non è facile staccarsi da una persona che abbiamo amato per anni, nonostante la stessa continui a farci del male. Nessuna donna però dovrebbe provare pietà per un uomo che, pur promettendole amore, l'ha ingannata privandola della dignità e del diritto alla vita. Nel 2013 sono state 177 le vittime di femminicidio in Italia. Nel mondo, 125 milioni di bambine e donne hanno subito una forma di mutilazione genitale e ogni anno in India si verificano sovente casi di infanticidio e aborto selettivo.
Francesca Porco documenta uno tra i fenomeni più difficili da debellare raccontando il dramma che ha coinvolto la piccola Fabiana Luzzi e le tante donne uccise senza alcuna pietà da partner o ex-partner, nel tentativo d'indagare (anche attraverso l'intervento di esperti quali criminologi, psicologi e autorità) sui fattori che spingono uomini, i quali si dichiarano innamorati, a compiere simili atrocità. "Il sangue rosa" è il sangue di donne innocenti impietosamente versato per colmare il vuoto di quegli uomini incapaci di accettare un rifiuto, dove l'escalation violenta è solo l'atto finale di un'odissea fatta di minacce, limitazioni, tormenti, violenze psicologiche e fisiche. Uomini di questo tipo sono incapaci d'amare. Il loro è un amore malato, una dipendenza, un'ossessione che genera possesso e distruzione. Esistono dei segnali in un rapporto di coppia che lasciano intuire l'esistenza di un pericolo. È allora che bisogna trovare quel coraggio, che appartiene da sempre alle donne, di reagire denunciando il proprio aggressore. È questo il più grande atto d'amore verso se stesse. Un'opportunità per credere ancora che esista qualcuno degno del nostro amore.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788868221904

DONNE SIMBOLO DI CORAGGIO

La sfida contro il sopruso

L’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea sancisce la proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti. Eppure, di orrori commessi da soggetti in preda alla follia ne accadono davvero tanti.
«La forza che ho dentro è dettata dal desiderio di riconquistare la mia vita, la vita che volevano togliermi. Oggi sono più viva di prima». Le parole pronunciate da Lucia Annibali, l’avvocatessa di Pesaro sfregiata con l’acido muriatico lo scorso anno dal suo ex fidanzato, tuonano nel palazzo istituzionale del Quirinale. “A lei che ha avuto il coraggio di dire no, che non ha mollato portando avanti la sua volontà. A lei che, dopo essere stata ustionata, si è rialzata ed ha imparato a difendere ancora di più il valore della vita” il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, lo scorso 8 maggio, ha conferito l’Onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana per “il coraggio la determinazione, la gioia di vivere, la dignità con cui ha reagito alle gravi conseguenze fisiche dell’ignobile violenza subita”. Perché da quel maledetto 16 aprile 2013 quando l’ex avvocato Luca Varani, il mandante dell’aggressione, ha messo in atto il suo piano diabolico con l’aiuto di due complici di origini albanesi, Runin Talaban e Altistin Precetaj, Lucia è diventata un “simbolo rosa di forza, di orgoglio e fierezza che col suo splendido sorriso è riuscita a sotterrare l’infima bassezza di un uomo incapace di vivere con le sue fragilità. Un uomo come tanti”. Lucia ce l’ha fatta, grazie all’amore buono di chi le è rimasto accanto e oggi rappresenta la speranza per le tante donne che subiscono abusi «perché – dice – se la mia esperienza può servire a strappare alla violenza tutte quelle donne che ne sono ancora vittime, allora sono felice. È importante trovare il coraggio di ribellarsi ad un destino avverso per ambire alla felicità – ha dichiarato in quell’occasione – e alla realizzazione personale». Anche a Montecitorio, la presidente Laura Boldrini ha spalancato le porte a questo Cavaliere “rosa” della Repubblica. Un cavaliere che la violenza non è riuscita a piegare. Il 22 febbraio scorso, nel processo per direttissima svoltosi a Pesaro, il pm Monica Garulli ha chiesto 20 anni di carcere per il colpevole e 18 anni per i due sicari albanesi. Eppure, in paesi come l’Inghilterra e il Belgio per simili reati è possibile anche ottenere l’ergastolo. A quasi un mese di distanza dalla prima udienza, nella tarda serata del 29 marzo, giunge la sentenza definitiva emessa dal giudice pesarese. Una sentenza esemplare. Confermati i 20 anni di carcere per Luca Varani (il massimo della pena previsto col rito abbreviato). I due albanesi dovranno scontare, invece, 14 anni per aver realizzato quell’atroce vendetta. Una vendetta eseguita perché la giovane donna ha rifiutato l’amore di un uomo e che le è costata già undici interventi al volto, come se non fosse già abbastanza il peso che le schiacciava il cuore. Ciononostante, «ora – dice alla stampa – provo solo sentimenti positivi, non ho coltivato rabbia o rancore. Guardo avanti e sono ottimista perché aver subito questa violenza mi ha insegnato a cogliere il bello della vita. Quando rischi di perdere tutto, la vita stessa ha un sapore diverso». Lucia è contenta anche per la sua famiglia che ha vissuto ogni attimo della tragedia insieme a lei. Giorni e mesi in cui è stato davvero difficile mantenere viva la speranza. “Una causa civile – scrivono i giornali – stabilirà l’entità del risarcimento, oltre agli 80 mila euro già decisi per lei e i 75 mila per ogni membro della sua famiglia”. «Ricorreremo in appello e se servirà in cassazione», dicono i legali di Luca Varani che definiscono la sentenza “senza precedenti”. Ecco perché, probabilmente, in aula è stata accolta da tutti con grande entusiasmo.
La splendida Rosaria Arpea è la miss di Macerata Campania (Caserta) alla quale, invece, è stata spappolata la milza il 12 maggio 2013 dall’ex fidanzato Antonio Caliendo, dopo essere stata presa a calci. Finita tre volte in sala operatoria non ha nemmeno più l’ombelico. Ferite che hanno compromesso la sua carriera di modella e che hanno lasciato delle profonde cicatrici anche nell’anima ma che, nonostante tutto, non le hanno impedito di chiedere a tutte le donne vittime di violenza di denunciare il loro aggressore, fosse anche il grande amore di una vita. Lei, che in un primo momento non denunciò il suo torturatore, incita le donne a farlo sin dal primo schiaffo. Il suo carnefice accusato allora per lesioni gravi, per decorrenza dei termini, ad oggi, risulta a piede libero.
Secondo l’Istat, 6 milioni e 743 mila, tra i 16 e i 70 anni, sono le donne che almeno una volta hanno subito violenza nella loro vita. «Ogni volta che un uomo picchia una donna, la maltratta o abusa di lei, fallisce. Il ricorso alla violenza – ha spiegato il prefetto Tomao durante gli incontri progettuali – è indice di debolezza e di una conseguente incapacità dello stesso di fare del dialogo un punto di forza». È un atto di vigliaccheria il fatto di nascondersi dietro la forza fisica che un uomo, per sua natura, possiede. «Un modo, forse quello principale, per contrastare la violenza di genere è quello di rendere la donna autonoma», ha sottolineato il Questore di Cosenza Alfredo Anzalone intervenuto durante uno degli incontri previsti dal progetto “Il sangue rosa”, svoltosi nella sala conferenza del Liceo Scientifico “Fermi” di Cosenza. Mettere una donna nelle condizioni di poter badare a se stessa, ai propri figli, senza dover sopportare le continue vessazioni del partner, potrebbe cambiare lo stato delle cose.
Ci sono vari modi per colpire una donna. La forma più subdola è rappresentata dalla violenza psicologica. Alla base di ogni altra forma di abuso, la violenza psicologica viene esercitata ogni qualvolta si assumono atteggiamenti di possesso, esplicitati anche attraverso l’imposizione di ordini di varia natura. Ordini su come vestirsi, pettinarsi, truccarsi e comportarsi.
Il partner, in questo caso, controlla assiduamente i movimenti della vittima e i suoi rapporti con l’ambiente esterno. Il tutto viene poi condito da insulti e umiliazioni di ogni tipo. Tale violenza è anche strettamente correlata a quella fisica poiché l’aggressore terrorizza la sua vittima prima ancora che questa si verifichi. Ne limita gli incontri con la famiglia di origine e con gli amici e interferisce anche nello studio o in ambito lavorativo. Uomini del genere mantengono costantemente viva la loro presenza. Possono anche tentare, spesso riuscendo nel loro intento, di allontanare la donna dai propri figli, ricattandola. In ogni caso, i toni sempre accesi e le urla continue diventano pian piano dei veri e propri avvertimenti. Non lascia segni visibili a occhio nudo la violenza psicologica, ma colpisce direttamente l’anima perché la vittima perde la capacità di stimarsi e tende a nascondere quanto sta vivendo. L’atteggiamento successivo ad una tale violenza è, infatti, l’isolamento che inevitabilmente consegue pur di non subire ulteriori pressioni. Ci si sente inadeguate ed in parte colpevoli della situazione che si sta vivendo.
Ma perché si arriva a tanto? I motivi sono diversi. L’insicurezza potrebbe essere quello principale. Questi uomini tentano di scaricare ogni tipo di frustrazione sulla loro partner, arrivando perfino al punto di controllarne il sonno. Il loro è un vero e proprio delirio, frutto di una possessività scaturita da una gelosia immaginaria. Una donna emancipata, in carriera, spaventa e può accrescere il loro senso d’inadeguatezza. Molti altri uomini che definiremmo “insospettabili” possono essere stati, a loro volta, vittime di maltrattamenti o prigionieri di quella subcultura per cui la donna è sempre stata considerata un essere inferiore. Alcuni vedono nella compagna una minaccia per la propria realizzazione o un oggetto di cui disporre per sfogare liberamente la propria indignazione generata, spesso, da un passato che li ha sempre visti secondi a qualcun altro. Tuttavia, nonostante non sia meno grave di uno schiaffo, o di una qualsiasi forma di coercizione, la violenza psicologica non viene quasi mai denunciata. La donna custodisce segretamente il suo dolore e se, per caso, reagisce innesca un meccanismo tale da autorizzare il suo compagno ad usarle violenza fisica. È allora che urla, liti, minacce, critiche e offese diventano botte, pugni, calci, schiaffi, spintoni, graffi, lividi, sangue. Un concentrato di dolore fisico e morale, insomma, che la costringe a diventare schiava di quell’ira inarrestabile. E mentre la vittima atterrita neanche protesta, l’aggressore si sente invincibile, tanto da ripetere le sue azioni. Azioni che corrispondono anche a continue richieste di prestazioni sessuali. Assurde pretese che la donna è costretta ad assecondare e che sono seguite da un linguaggio volgare e deplorevole, fino ad arrivare al culmine e praticare un vero e proprio stupro coniugale, in grado di generare profonde ferite agli organi genitali femminili. Ferite che non guariranno mai. Questi tipi di maltrattamenti avvengono frequentemente fra le mura domestiche; da qui, l’espressione comunemente usata ogni qualvolta si parla di “violenza domestica”.
Secondo i dati emersi da una ricerca condotta scrupolosamente dall’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali, presentata al Parlamento di Bruxelles e dedicata alla prevenzione della violenza di genere in occasione dell’8 marzo, emerge che “nel 27 per cento dei casi la violenza si è consumata a casa della vittima; nel 18 per cento in un luogo pubblico, come un parco, una piazza o un parcheggio e nel 16 per cento a scuola o nel posto di lavoro”. La diffusione della violenza sessuale vede al primo posto la Danimarca, oltre la media europea, con il suo 19 per cento. Subito dopo Olanda, Svezia, Finlandia e Francia. L’Italia è al 9 per cento, al pari di Malta, Ungheria, Repubblica Ceca e Austria. In coda, la Polonia con il 4 per cento. L’indagine, durata tre anni, risulta la più estesa mai condotta al mondo e coinvolge ben 42mila intervistate volontarie, tra i 18 e i 74 anni e 1.500 per Paese.
Esiste anche un’altra forma di violenza che avidamente s’insinua nella vita di una donna già segnata da abusi. È quella economica e riguarda l’impedimento di conoscere persino il reddito della propria famiglia o di utilizzare i propri soldi. È violenza economica anche quando viene controllata ogni spesa o acquisto che, puntualmente, non verrà mai giustificato. Spesso ad una donna viene impedito di studiare o di lavorare per contribuire al reddito familiare perché mamma e, quindi, delegata al ruolo di moglie e serva. Gli amori violenti possono anche camuffarsi dietro quelli che inizialmente sembrano più dolci. E gli uomini più “pericolosi” spesso sono quelli delle grandi promesse, dei regali più belli, delle tante sorprese, delle mille attenzioni, dei tanti messaggi e delle troppe chiamate. Atteggiamenti così tanto ingombranti da far desiderare quella libertà, quell’autonomia, quell’indipendenza che ogni essere umano ha diritto di avere. L’escalation violenta camuffata dietro uno sguardo che richiama al possesso, o nell’assurda richiesta di segregazione lancia, perciò, dei segnali ben precisi che non possono essere sottovalutati, perché la loro natura non rientra nel normale entourage di una coppia sana. Quando al confronto si sostituisce un comando, ad un parere, espresso con pacatezza, si sovrappongono delle urla, quando da un comune gesticolare si arriva ad uno spintone, ad uno schiaffo, quello è il momento giusto per intervenire. La gelosia non è possessione. L’amore non è violenza. La libertà non può essere costrizione, eppure s’innesca un meccanismo perverso per cui a volte essa lo diventa. La superbia, la prepotenza, la volontà di sottomettere e controllare l’altro sono elementi comuni tra uomini ossessionati dalla propria donna. Non è per niente facile staccarsi da una persona che abbiamo amato per anni e che, magari, ci sembra sofferente. Ma nessuna donna dovrebbe provare pietà per un uomo che, promettendole amore, l’ha ingannata rubandole i desideri, la libertà, la serenità, la speranza e strappandole, infine, la voglia di vivere. Nessuna dovrebbe elemosinare l’amore di uomini così egoisti. Sono in tante le donne che simboleggiano il coraggio. Quello vero che appartiene a chi non ha paura di ricominciare. Donne che hanno trovato la forza di rifiutare un amore in cui, ormai, non potevano più credere. Quelle che hanno troncato una storia sbagliata o quelle che non l’hanno ancora fatto, ma hanno provato a raccontarsi. Quelle che hanno lottato contro ogni fantasma del passato per arrivare a denunciare il proprio carnefice; quelle che, in preda della solitudine, non sono neanche riuscite a sfogare il loro dolore. Quelle che non hanno sporto denuncia, ma sanno che arriverà il giorno in cui smetteranno di sentirsi colpevoli del dramma che sono state costrette, per troppo tempo, a subire. Quelle indecise che hanno paura di guardarsi dentro per capire e quelle che hanno smesso di volersi bene e di credere nell’amore, nelle istituzioni e nella società. Quelle che ora sanno che a vergognarsi dovrebbero essere quei diavoli di uomini che hanno avuto la sfortuna d’incontrare. Quelle che, nonostante i loro sogni spezzati, non demordono perché sanno che esiste qualcuno, in qualche parte del mondo, degno ancora del loro amore.

L’emblema della resistenza

Colui che, guardando con occhio critico alle proprie azioni, riesce a fare un passo indietro al fine di correggerle, può essere considerato un uomo vero. Ricordare e imparare dagli errori commessi non è semplice, ma è talvolta necessario. Come necessario è ricordare che oltre le tante donne, come la piccola Fabiana, vittime di orrori mascherati da pulsioni malate, sfociate in efferati omicidi, ce ne sono tante altre a loro volta plagiate e poi sfruttate nel peggiore dei modi. «Le due ragazzine di 11 e 12 anni spinte a prostituirsi con vecchi bavosi, professionisti che pure sembravano persone per bene, ne sono un esempio. Per tutte queste donne, vale la pena combattere la vostra battaglia». Il monito lanciato dal giornalista Arcangelo Badolati scuote i giovani studenti dell’Istituto Comprensivo “G. Pascoli” di Villapiana Lido, in provincia di Cosenza. È un invito a credere nei valori che faranno di loro degli uomini veri. Uomini che, attraverso solide basi culturali, rappresenteranno la società del domani, meno corrotta e basata sulla lealtà di chi la rappresenta. «Leggete – suggerisce il giornalista – affinate la vostra anima perché la cultura è patrimonio di ognuno e vi insegnerà ad apprezzare il bello. La sete di conoscenza vi permetterà di godere della bellezza dell’amore». Il caso preso in considerazione è quello relativo all’operazione denominata “Flash Market” (Mercato della carne) avvenuta nel 2011, proprio a Corigliano Calabro. Una terribile vicenda che ha coinvolto delle bambine sfruttate da commercianti ed imprenditori disposti a pagare somme sempre più alte per avere rapporti con donne prive di esperienza. Uno scenario che i carabinieri definirono “agghiacciante” e che portò alla cattura di 16 persone. Queste sono le storie che rappresentano il nostro Paese. Le storie amare delle baby prostitute del Cosentino, quelle dei “Parioli” o quelle che hanno coinvolto le ragazzine di 13 e 14 anni che, nel mese di gennaio scorso, sono state protagoniste di giochi erotici nelle piazze virtuali dei social network frequentate da un pubblico sempre più crescente di adulti. Attraverso i racconti, riportati dai giornali, di queste squallide vicende che si ripetono nel tempo, emerge il drammatico profilo di uomini capaci, pur di soddisfare le loro perversioni, di scendere così tanto in basso da non accorgersi che le stesse bambine che vedono denudarsi davanti ad una webcam, o quelle che assecondano ogni loro volontà durante quegli incontri clandestini, potrebbero avere la stessa età delle loro figlie.
«Si tratta di episodi tanto inconcepibili, quanto imperdonabili che danneggiano l’umanità e rinnegano ogni forma di morale. Vergogna, urla il giornalista, riferendosi agli autori di simili scempi, catturando l’attenzione dei piccoli studenti delle classi secondarie che continuano ad ascoltarlo mostrandosi interessati. Autori di simili azioni dovrebbero solo vergognarsi. Tra di loro...

Indice dei contenuti

  1. PREFAZIONE di Arcangelo Badolati
  2. UN ANGELO VOLATO IN CIELO
  3. IL CAMBIAMENTO CULTURALE
  4. IMPARARE AD AMARE
  5. IL “FEMMINICIDIO”
  6. PIRDUNAMI, FIMMINA
  7. STALKING E FEMMINICIDIO DATI E LEGISLAZIONE
  8. DONNE SIMBOLO DI CORAGGIO
  9. Conclusioni