Dal «Paese dei Balocchi» alle borgate: itinerari di formazione. Collodi - De Amicis - Vamba - Pasolini - Bernardini
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Dal «Paese dei Balocchi» alle borgate: itinerari di formazione. Collodi - De Amicis - Vamba - Pasolini - Bernardini

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Lo studio di Alberico Guarnieri si propone il compito, rilevante e originale, di individuare un doppio piano di lettura in testi letterari importanti esaminandoli in prospettiva analogico-comparativa (formale-) letteraria che in prospettiva (sostanziale-) pedagogica.
La scelta dei testi e il contesto di lettura, a cui l'Autore volge il suo sguardo, si collocano interamente all'interno dell'ampio ambito di riflessione che conosciamo sotto il titolo
di romanzo di formazione (Bildungsroman). Le figure analizzate, quella simbolica-disfunzionale di Pinocchio o quella normativo-funzionale di Cuore o reale dei Ragazzi di vita di Pasolini o di Pietralata, fanno emergere una rottura strutturale interna al logos pedagogico. Un logos che non si piega più ai canoni positivistici dell'imposizione di saperi, conoscenze e verità sul modello delle scienze dello spiegare largamente assurto, nel contempo, a mezzo e fine nella didattica nelle nostre scuole.
Il recupero di questa complessità antropologica non è questione di apprendimento di più cognizioni, piuttosto questione di esperienza di vita legata a percorsi estetici a cui le nostre scuole non sono affatto preparate, chiuse come sono nella morsa della trasmissione di saperi e sempre più saperi. In questa morsa cognitivistica viene meno la riflessione, l'auto-riflessione, quel percorso di vita che solo rende possibile l'auto-appropriazione di se stessi non solo come scoperta dell'umano che è in noi ma anche come partecipazione umana allo sviluppo di una convivenza sempre più umana. In tutto ciò la razionalità ha un ruolo importante, ma un ruolo ancora più importante lo svolge il cuore (Pascal), perché senza la cura dei sentimenti (senza il cuore) nessun burattino diventa uomo e l'uomo (smembrato della sua parte più sostanziale: l'anima) rischia, facilmente, di trasformarsi in burattino.

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Informazioni

Capitolo IV

Il volto ambiguo della verità.

Su Il giornalino di Gian Burrasca di Vamba

Al principio delle numerose avventure che Giannino Stoppani, protagonista del romanzo di Vamba Il giornalino di Gian Burrasca,[1] vive fra la consapevolezza di aver infranto un divieto, donde deriva il profilarsi di sensi di colpa, invero blandi, poiché egli riesce sempre a giustificare il proprio operato, alla ricerca della ‘verità’ dai connotati molto spesso utopicamente comici, se si considera il contesto familiare in cui è collocato, dove vige una serie di «belle norme»,[2] enunciate «con solennità intimidatrice», da «adulti lontanissimi dall’applicarle»,[3] troviamo una data simbolica, il 20 settembre 1905, «che segna l’entrata delle truppe italiane in Roma»,[4] ma anche il compleanno del personaggio.
La circostanza non è casuale poiché lascia presagire come anch’egli è destinato a compiere una serie di ‘brecce’ nel territorio dominato da adulti incapaci lo si vedrà in seguito, di prevedere le azioni di un ragazzino peraltro dotato di una dose di creatività davvero notevole, e di contenerne i disastrosi effetti prodotti dall’improvvisa deflagrazione di verità che sarebbero dovute restare occulte.
Invece, il primo atto del, come vedremo, lungo e complesso ‘dramma’ delle rivelazioni va in scena nel salotto borghese di casa Stoppani dove è ospite «il signor Adolfo Capitani, un coso vecchio, brutto, grosso grosso e rosso» (p. 43), pretendente di Ada, una delle sorelle di Giannino che, in quel momento sta dedicando la sua attenzione al «giornalino» regalatogli dalla madre in occasione del compleanno.[5]
Animato da una compiacenza tutt’altro che sincera, Capitani mostra di interessarsi alle letture del ‘futuro cognato’ chiedendogli informazioni al riguardo, che questi fornisce senza alcuna esitazione affidando il giornalino all’interlocutore, cui tocca scoprire quale impietoso ritratto abbia tracciato la sua ‘amata’, «molto ricco» ma dalle «mani grandi e rosse», in grado soltanto di discutere «di vino e di olio, di campi, di contadini e di bestie» (p. 42). L’uomo, ben poco lungimirante, non riconosce il vero autore del giudizio, per cui attribuisce a Giannino la poco lusinghiera raffigurazione.
Una simile convinzione origina fra i due un rapido scambio di battute, che ha la funzione di precorrere gli effetti ‘catastrofici’ derivanti da una peculiarità subito evidenziata dal narratore a ‘carico’ del protagonista, quale un uso spesso sconsiderato della ‘parola’:
Perché hai scritto tutte queste sciocchezze?
Io gli ho risposto che non potevano essere sciocchezze, perché le aveva scritte nel suo libro di memorie Ada, che è la mia sorella maggiore, e perciò ha più giudizio di me e sa quello che dice (p. 43).
La ‘logica’ adoperata dal personaggio è inappuntabile, anche se improntata da una sorta di adesione acritica a dettami precostituiti, invero poco credibile, data la sfrontatezza di cui egli ha dato prova appropriandosi del diario della sorella al fine di riportarne un passo compromettente, nella prospettiva degli adulti.
Sarebbe, tuttavia, parziale ridurre l’agire di Giannino soltanto ad una marachella, in quanto, in filigrana, si può rinvenire l’intento di stigmatizzare la prassi invalsa nella dimensione dell’adultità di rinunciare alla libertà di esprimere i propri stati d’animo, in particolar modo quando si tratta di sentimenti, come accade ad Ada, innamorata del «caro Alberto De Renzis», il cui unico torto è quello di essere «un misero impiegatuccio» (p. 42) e, per questa ragione, non ‘candidabile’ alla mano di una signorina di lignaggio più ‘elevato’.
Oltre a ciò, l’episodio dell’incursione compiuta dal piccolo Stoppani nel ‘territorio segreto’ delle confessioni di Ada, rappresenta il capovolgimento della prassi diaristica inaugurata da De Amicis in Cuore, laddove i familiari di Enrico, l’estensore del diario, compresa la sorella Silvia quantunque sia anch’ella una bambina frequentante la «Sezione femminile»[6] della stessa scuola elementare cui è iscritto il fratello, intervengono continuamente vergando glosse moralistiche o patetiche, a rallentare il ritmo del racconto. Così, le sequenze «non si risolvono nell’accumulazione caotica, ma conservano un andamento lineare, ben definito e demarcato, che riporta il molteplice al semplice, secondo una dialettica totalità-unità che costituisce la cassa di risonanza profonda della costruzione stilistico-ideologica».[7] Tale peculiarità accorda all’opera una «impressionante coerenza»[8] donde emerge un «quadro che non si presta a contraddizioni e contiene tranquillamente, tutti gli elementi che servono a ricomporlo e a ridargli vigore, nei momenti in cui esso appare in crisi»,[9] a danno della libertà espressiva del diarista, controllata, appunto, da una fitta serie di interventi inopportuni.
Al contrario di Enrico, Giannino registra gli accadimenti nei quali assume sempre un ruolo centrale in assoluta autonomia, palesando un punto di vista anche troppo personale, fondato com’è sulla ricerca di una ‘verità’ che non conosce compromessi di sorta, in quanto deriva dalla «sua angelica disposizione a seguire e interpretare alla lettera gli ammonimenti degli adulti».[10]
Questa inclinazione, però, è contraddetta dalla costante realizzazione di «diaboliche macchinazioni»[11] volte ad abbattere la muraglia di pregiudizi e convenzioni innalzata da «una famiglia tipo della buona borghesia fiorentina»[12], il cui comportamento appare difficilmente decifrabile, stante il carattere contraddittorio del loro agire che sarebbe ispirato al ‘culto’ della verità, secondo quanto attesta anche il destinatario del messaggio, «– mi predicate sempre di dire la verità –» (p. 48), salvo, poi, rinnegare il ‘credo’ allorché la pratica è compiuta dal congiunto talmente imprudente da non tenere in conto quali conseguenze potrebbero derivare dall’intento di giocare ai danni del prossimo «qualche burletta innocente» (p. 52).
Tipico esempio di un agire così poco conforme alle norme regolatrici della vita sociale che, peraltro, smentisce la fiduciosa convinzione coltivata da Giannino a proposito delle attitudini all’umorismo del suo prossimo, è rinvenibile nel recapitare ad altri aspiranti mariti delle sorelle Ada, Luisa e Virginia, le foto loro donate corredate da didascalie fin troppo eloquenti apposte dalle ‘irriverenti’ destinatarie, quali «Un vero imbecille! Ritratto di un ciuco» (p. 52) o, ancora, «vecchio gommeux» (p. 54. Il corsivo è nel testo).
Anche in questo caso, il protagonista si è introdotto furtivamente nella stanza delle ragazze che, nella prospettiva dell’irrequieto ‘esploratore’ assume le sembianze di un luogo parallelo a quello reale dove la sua già prolifica immaginazione trova una nuova linfa, a determinare ulteriori ‘assalti’ contro chi preferisce rifugiarsi nel tranquillo alveo delle convenzioni borghesi.
Sennonché, Giannino cui i familiari sempre più insofferenti hanno appiccicato il nomignolo di Gian Burrasca, si investe del compito di smontare il complesso macchinario delle illusioni azionato dai corteggiatori, consegnandogli i ritratti ‘impreziositi’ dai succitati commenti.
Le reazioni degli interessati coprono una gamma piuttosto vasta di comportamenti al limite del grottesco, costituendo un’interessante galleria di tipi umani, che il diarista, poco disposto all’indulgenza, ritrae con encomiabile scrupolosità.
Conseguenza tutt’altro che indolore dell’‘impresa’ consiste nel fallimento della «festa da ballo» lungamente vagheggiata dalle signorine Stoppani, a causa dell’assenza di tutti i «giovanotti» oltraggiati i quali, con una caden...

Indice dei contenuti

  1. Nota introduttiva
  2. Capitolo I
  3. Capitolo II
  4. Capitolo III
  5. Capitolo IV
  6. Capitolo V
  7. Indice dei nomi