Nota introduttiva
Elisa Binda e Angela Maiello
Chi negli ultimi tempi ha avuto l’opportunità di seguire le lezioni e le conferenze di Pietro Montani sa che spesso ricorre, nelle sue presentazioni in PowerPoint, l’immagine di un bambino, un infante di pochi mesi, che con le sue mani gioca con un i-Pad. Cosa succede a quel bambino, in quell’armeggiare immersivo? È in questa domanda, e in quell’immagine, che si condensano efficacemente alcuni dei temi al centro della riflessione che Montani dedica, ormai da molti anni, all’indagine del rapporto tra tecnica ed estetica e che, in questa sezione del volume, attraverso i contributi di studiosi e amici, si intende restituire.
Sulla scorta dell’insegnamento di Emilio Garroni, Montani intende l’estetica come una disciplina che non si esaurisce nel suo riferimento all’arte; per Montani l’estetica è innanzitutto un’indagine sulle «qualità e le prestazioni della sensibilità umana». La parola estetica è così ricondotta alla sua radice etimologica greca, aisthesis. D’altro canto, e in ciò consiste l’approccio originale di Montani, le qualità e le prestazioni della sensibilità umana hanno eminentemente e costitutivamente a che fare con la techne. Bioestetica, pubblicato nel 2007, si può considerare il testo inaugurale di questa riflessione.
La reciprocità tra sensibilità e tecnica è, secondo Montani, un aspetto specie-specifico dell’essere umano, e dunque, le qualità e le prestazioni della sensibilità umana sono naturalmente predisposte alla delega tecnica. Per citare una frase, cara a Montani, del paleoantropologo Leroi-Gourhan, possiamo dire che «la mano umana è umana per quanto se ne distacca». Ciò significa che l’essere umano è tale perché la sua sensibilità si prolunga in artefatti inorganici, e che tecnogenesi e antropogenesi coincidono. La specificità dell’essere umano consiste, insomma, nel processo di esternalizzazione attraverso il quale si costituisce e sopravvive. Parlare allora di un’esperienza estetica dell’umano diviene, nelle parole che Montani prende a prestito da Simondon, confrontarsi con una tecno-estetica.
Conseguenza di questo processo di esternalizzazione della sensibilità è la costruzione di ciò che Simondon definisce ambiente associato all’individuo, caratterizzato dall’intreccio tra naturale e artificiale. Per spiegare questo “montaggio” tra natura e artefatto, che nell’ambiente associato si viene a operare, Montani, utilizzando un esempio dello stesso Simondon, ricorre all’immagine di una linea ferroviaria che, a partire da una condizione preesistente, crea un ambiente inedito e dal carattere profondamente ibrido, il quale è in grado di dare origine a nuove forme di vita.
Questo carattere misto dell’ambiente in cui, fin dalla sua origine, la sensibilità umana opera, si fa oggi sempre più evidente. Il prolungarsi della sensibilità umana in protesi tecniche, ha raggiunto, nell’epoca del web e della mediatizzazione diffusa, un’intensità e una radicalità finora inedite. Ed è nell’ambito di questo orizzonte riflessivo che vanno colti l’interesse e gli sforzi teorici che Montani ha dedicato all’analisi dei nuovi media. Se, seguendo la riflessione di Benjamin, dobbiamo intendere il medium come la modalità attraverso cui si organizza, non soltanto naturalmente, ma anche storicamente, la nostra percezione, non possiamo non riconoscere quanto oggi la nostra sensibilità sia sempre più massicciamente organizzata da dispositivi, attraverso i quali si configura il nostro ambiente associato.
Nel momento di massimo dispiegamento del «dispositivo tecnico globale» – così Montani traduce il Ge-stell heideggeriano –, ovvero nell’epoca della diffusione della rete e delle tecnologie digitali per la produzione e la riproduzione dell’immagine, si è andata sempre più rafforzando ciò che Montani definisce una relazione chiasmatica tra ambiente mediale e medium ambientale. Se è vero, da un lato, che la pervasività delle nuove tecnologie rende opaca tale reciprocità – perché diventa sempre più difficile cogliere il carattere ibrido dell’incontro tra naturale e artificiale – dall’altro, è proprio l’attuale configurazione tecnica a predisporre un lavoro sempre più creativo e interattivo dell’immaginazione umana. Scrive Montani: «La principale novità che sembra emergere dalle tecnologie digitali [...] è questa: il carattere mediale della percezione umana si trova oggi nella condizione di poter diventare oggetto di un’ideazione creativa particolarmente ricca e accessibile. Oggetto cioè, di un lavoro creativo dell’immaginazione (o dello schematismo tecnico) moltiplicato dalle risorse specifiche e sempre più massicce dell’interattività» (Prolegomeni a una “educazione tecno-estetica”, 2015).
La riflessione filosofica di Montani sui media digitali mira innanzitutto a cogliere e a interpretare lo statuto interattivo dei media contemporanei. Ed è proprio su questo terreno che Montani, nel suo ultimo libro Tecnologie della sensibilità, propone un ripensamento dello schematismo kantiano, volto all’elaborazione del concetto di immaginazione interattiva. Questo carattere interattivo dell’immaginazione va rintracciato esattamente nello schematismo della facoltà riflettente di giudizio, cioè nel libero gioco di immaginazione e intelletto – o più precisamente nella nostra originaria attitudine alla sintesi, per cui il dato sensibile viene ricondotto a qualcosa che non è ricavabile dal dato stesso. Montani ripensa lo schematismo kantiano nei termini di uno schematismo tecnico: l’immaginazione esplora il dato sensibile e ne coglie dei potenziali inespressi in vista di un fare tecnico che mostra un’evidente connotazione interattiva. Le occasioni per questo lavoro creativo, che scaturisce proprio dalla predisposizione interattiva dell’immaginazione, vengono oggi, almeno potenzialmente, moltiplicate dalle tecnologie e dai media digitali. Montani, con l’esempio di Google Glass, sui cui ha lavorato nel libro citato, evidenzia, da un lato, il pericolo che le nuove tecnologie creino per noi un mondo già “processato”, che disabilita il lavoro dell’immaginazione interattiva, contribuendo così a un’anestetizzazione diffusa; dall’altro – e questo è certamente l’aspetto che più gli interessa – coglie il potenziale di un’immaginazione tecnicamente orientata, attraverso cui si può creativamente configurare la dimensione pubblica e politica di un ambiente associato.
Per Montani, dunque, le tecnologie della sensibilità producono una continua riorganizzazione del senso comune; ed è in questa accezione ch...