Cinema, Pensiero, Vita. Conversazioni con fata morgana
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24 conversazioni apparse su Fata Morgana con grandi figure della contemporaneità, studiosi e artisti che parlano del cinema facendone un luogo del pensiero e una forma di vita. Un viaggio in cui il cinema e l'immagine, più di ogni altra forma d'arte, si riscoprono indissolubilmente legati alla complessità del nostro presente. Per la prima volta riunite e tradotte in inglese in un'unica pubblicazione, queste conversazioni offrono al lettore una costellazione unica di autori e temi per pensare il cinema a partire dal nostro presente e viceversa.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788868224646
Argomento
Arte
Categoria
Fotografia

Jean-Luc Nancy
Forse perché il cinema è esso stesso contemporaneità?[1]

a cura di
Bruno Roberti
Tu dici che la “jouissance”, il godimento, fa acquisire al mondo una qualità che lo sbarazza dal tendere a un “altro mondo”. Il godimento produce una eccedenza che fa sì che qualcosa resti, che ci sia un residuo. Tu dici che ogni opera d’arte è una creazione del mondo. Il cinema secondo te opera questa eccedenza di mondo e il suo dissolvere il mondo per rifarlo in immagine lascia un residuo che è appunto quel godimento, che eccede l’economia di potere insita nelle visioni del mondo?
La specificità del cinema è quella di far apparire, di simulare, di riprodurre il mondo, con le sue forme, i suoi colori, i suoi movimenti. Se guardiamo alla storia del cinema ci sono due tendenze forti: la tendenza alla riproduzione del reale integrale (L’arrivée d’un train à La Ciotat dei Lumière) e quella alla creazione di un altro mondo completamente irreale (Méliès e il suo Voyage dans la lune). Sono due tensioni che attraversano la storia del cinema. Ci sono interi periodi della storia del cinema segnati dall’una o dall’altra tensione. Oggi più che mai Hollywood è il cinema degli “altri mondi”, dei mondi fantastici; ma c’è anche un cinema del mondo reale, il quale mondo non è però rappresentato con gli “occhiali” del realismo, ma piuttosto con altre maniere di scrivere, di ri-scrivere il mondo. In un certo modo, per venire alla tua domanda, senza dubbio il cinema ha rilanciato la nozione di piacere, di godimento, di jouissance. Le due tensioni di cui parlavo sono anche due diverse forme di “piacere”: il piacere del riconoscimento (il brivido del treno che sembra entrare nella sala) e il piacere dell’illusione, del fantasmatico (che pure è all’origine del cinema come divertimento da fiera, da baraccone). Ma entrambe le tensioni postulano “fantasmi” del reale.
Mi vengono in mente la “fantasmagoria”, il “panorama”, le forme di precinema che stavano tra la pretesa di riproduzione del reale dell’invenzione fotografica e l’illusionismo del fantasmatico. Ricordi ciò che ne scriveva Benjamin? Erano epifanie del moderno e insieme riassumevano le forme illusorie di rappresentazione del mondo del barocco. Il feticcio, il falso e la merce, il fantasma della merce, lo “spettro” che si aggirava per l’Europa: nel tuo La creazione del mondo a proposito di feticismo e di Marx tu citi il Derrida di Spettri di Marx: «Bisognerebbe allora dire che la fantasmagoria è cominciata prima del cosiddetto valore di scambio al limitare del valore di valore in generale». Allora se la fantasmagoria delle merci è un “valore di valore”, qualcosa che c’è prima del valore di scambio, così come la fantasmagoria-forma di spettacolo è qualcosa che c’è prima del cinema, è possibile pensare il cinema come un luogo in cui le merci preesistono a sé, dove lo scambio non fa una economia di equivalenza e appunto qualcosa resta e resiste, e ciò è il godimento residuo.
Sì, ma che cos’è questo piacere, questo godimento (jouissance)? È giusto chiedersi a tal proposito cosa c’è prima del cinema. Ma non c’è solo la fantasmagoria, bisogna risalire indietro, tra XVII e XVIII secolo, dove c’è il “meraviglioso” a teatro, le scene illusionistiche “a trasformazione” del balletto barocco. Ma troviamo sempre un elemento di meraviglioso, di fantasmagorico, anche se risaliamo ancora più indietro. Per esempio l’ambito della tragedia greca. La tragedia greca, che noi ci rappresentiamo in modo unilaterale, intellettualmente ed esteticamente come qualcosa di scarno, sobrio, essenziale: costumi neoclassici, sfondo di rovine dei teatri greci ecc., sono persuaso che fosse un luogo di illusioni, di apparizioni, di macchine. Sono sicuro che in ciò ci fosse un piacere, il piacere della sorpresa di Atena che appare e dice “Sono qui io per amministrare la giustizia!”. Questo piacere non poteva essere altro che l’eco del godimento sacrale, che era quello del rito e della cerimonia religiosa che sta prima del teatro. In ciò che noi chiamiamo godimento (jouissance), c’è fondamentalmente una idea di eccesso, di oltrepassamento (dépassement), di aggiunta di qualcosa “per niente”, qualcosa che nell’aggiungersi non viene a completare, a compiere qualcosa; è un’aggiunta che non fa più ricchi, che aggiunge “per niente”, il godimento è ciò che è “in più” ma che non si aggiunge, che non fa addizione.
Senza ragione...
Sì. E la caratteristica di questa aggiunta senza ragione è che la si desidera, la si desidera infinitamente.
È il “buon infinito”...
È il “buon infinito”, ma evidentemente il buono e il cattivo infinito sono incollati fra di loro. Ciò vuol dire che è sempre possibile desistere, l’arresto o il superamento: il film è finito, bisogna uscire dalla sala. Ma il buon infinito è il senso che lì c’è qualcosa, un elemento, una dimensione che si richiama da se stessa. In francese dico “redemander”, anche se non esiste nella lingua questa parola. L’ho presa però da Valery, quando dice della poesia «le sens redemande le son» (il senso richiama il suono). Cioè il testo, il senso del testo ha bisogno di richiamare, di far risuonare ancora il suono. Questa idea di richiamare è esattamente il piacere. Di nuovo il suono, di nuovo far intendere il suono della lingua, della parola: è il piacere poetico, è ciò che rilancia il senso. Quando si è nell’ordine del desiderio, c’è come dimensione fondamentale questo “redemander”, ma per niente, una richiesta, un richiamo di niente, per niente. Qualcosa di ciò è presente ogni volta in ogni forma d’arte. Anche quando la forma d’arte propone un pensiero molto duro, severo, doloroso, tragico, non chiede mai il dispiacere dello spettatore, l’infelicità o il dolore del pubblico, degli astanti. E quando viene suscitato questo dispiacere, questa sgradevolezza, c’è sempre una svolta, un trucco per sviarli. Nell’ambito dell’arte contemporanea ci sono artisti che si infliggono gesti sacrificali, che si mutilano ecc., ma nessun artista ha mai chiesto ancora al pubblico, allo spettatore di sacrificarsi. In francese il termine jouissance ha anche una valenza giuridica, il godimento del bene (la «jouissance de la propriétè»). Il godimento come possesso, o possessione: non è il possesso sessuale, ma indirettamente possiamo parlare di “possesso estetico”. Se vado al cinema e mi ritrovo incantato dal film è anche una forma di possessione, sono posseduto dal film mentre lo godo. Anche nel possesso del proprietario, nella possessione della proprietà, ci sono due aspetti: c’è l’aspetto cui siamo abituati e cioè che il proprietario ha il bene a sua disposizione per l’uso integrale, di uso e di abuso, lo ius uti et abuti, il diritto dunque anche di distruggere la cosa. Ma c’è lo stesso diritto di possessione, e lo stesso godimento, nell’idea che nel mio rapporto con questa cosa ci sia qualcosa che eccede l’uso, un eccesso, un “in più” dell’uso. Per cui, di questa cosa io posso farne della pittura, della musica e posso filmarla: posso farne cinema. Ma anche se non ne faccio niente, se semplicemente ne godo, vuol dire che metto in lei, o attraverso di lei, o approfittando di lei, qualcosa che oltrepassa ogni uso, ogni finalità, e che non può essere scartata dal senso di godimento di qu...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione Il “fuori” del cinema
  2. Roberto Esposito Aprire un orizzonte su ciò che è negato
  3. Jean-Luc Nancy Forse perché il cinema è esso stesso contemporaneità?
  4. Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi Archivi che salvano
  5. Louis Comolli La trasparenza che nasconde
  6. Paolo Jedlowski Il ritmo dell’esperienza
  7. Julio Bressane Il limite come intervallo
  8. Werner Herzog Essere esposti alla natura
  9. Slavoj Žižek Lo spazio curvo del desiderio
  10. Georges Didi-Huberman Temporalità e memoria del visuale
  11. Jacques Rancière Le ragioni del disaccordo
  12. Paul Schrader Per esprimere il sacroci vuole un anti-cinema
  13. Raoul Ruiz Il territorio (è sempre) fantasma
  14. David Freedberg La natura delle emozioni
  15. Marco Bellocchio Il femminile o della potenza creativa del cinema
  16. Julia Kristeva Il soggetto che si ritrae
  17. Edgar Reitz Là dove ha origine il racconto
  18. Mario Martone Il comune è un campo di forze
  19. Marie-José Mondzain Dare credito allo sguardo
  20. Walter Siti L’inganno della realtà
  21. Toni Servillo La maschera è il vuoto
  22. Richard Schechner Dall’azione alla performance
  23. Shinya Tsukamoto Nel corpo del dispositivo
  24. Amos Gitai Lo spazio della memoria
  25. Francesco Casetti La vita dello schermo