Il cinema delle attrazioni come controstoria e controstrategia
Alessandra Chiarini
Lungi dall’essere una regressione dal film astratto al realismo,
l’operazione strutturale del flicker consiste nello smantellare
la stabilità dell’immagine come tale (tagliando corto con l’illusione
filmica per far prendere coscienza allo spettatore di ciò che sta facendo:
veder passare dei fotogrammi attraverso l’apertura di un proiettore).
Si tratta di un’aggressione contro la Gestalt, di un’operazione violenta
che può a sua volta essere reinvestita da un fascio di correlazioni corporee,
che procedono dal sesso o dallo smembramento.
Rosalind Krauss
Formulato negli anni ottanta nell’ambito delle ricerche della New Film History, il concetto di “cinema delle attrazioni” è stato proposto da Tom Gunning e André Gaudreault per definire la peculiare dimensione percettiva e spettacolare del cinema delle origini, contraddistinta dalla mera volontà di mostrare qualcosa allo spettatore dando luogo a momenti di «pura manifestazione visiva». Le modalità di esibizione delle immagini messe in atto durante le prime proiezioni pubbliche del cinématographe Lumière nel 1895 si collocavano, di fatto, nel solco della cultura visuale ottocentesca, riproponendo le logiche di presentazione del movimento soggiacenti alle pratiche pre-cinematografiche. Se apparecchi ottici del diciannovesimo secolo come il fenachistoscopio e lo zootropio producevano un piacere percettivo fondato sulla differenza tra l’immobilità dell’immagine e la sua improvvisa messa in moto all’avvio del dispositivo, il cinématographe Lumière operava, a sua volta, sulla tensione tra la staticità e il movimento: le esibizioni filmiche cominciavano, infatti, con la proiezione sullo schermo di un fotogramma fisso, il quale solo successivamente “prendeva vita” attraverso l’azionamento del proiettore.
Definita da Gunning come «momento sorprendente del movimento», l’inattesa animazione dell’immagine presentata dal cinématographe ha costituito un istante paradigmatico in cui il medium filmico ha affermato il “potenziale” del suo linguaggio mostrando, esattamente, l’esistenza di una comunanza e al tempo stesso di una differenza con la staticità della fotografia. Nonostante la storia del cinema abbia a lungo arginato l’importanza del gioco dialettico tra la staticità e il movimento dell’immagine – riducendo il singolo still fotografico a mera unità minima della pellicola, elemento invisibile e “passivo” la cui presenza immobile è irrimediabilmente neutralizzata nello scorrimento del film –, l’arresto momentaneo del movimento alla base della nozione di “attrazione” ha determinato, ad avviso di Gunning, i fondamenti concettuali e operativi di un’attitudine artistico-sperimentale tesa a contrapporsi alla continuità narrativa e formale del cosiddetto cinema istituzionale. In questa prospettiva, all’interno delle ricerche della New Film History, l’individuazione della sospensione temporale dell’immagine esibita dal cinematographe ha forse significato, simbolicamente, anche la necessità di “arrestare” l’egemonia storico-teorica dei narrative film studies, al fine di analizzare «the various others of mainstream cinema form that were constantly suppressed in teleological perspectives».
Il concetto di cinema delle attrazioni ha avuto il duplice effetto di stabilire una periodizzazione nella storia del cinema e di contrapporre a un modo successivo di rappresentazione cinematografica – sviluppatosi sull’idea di narrazione attraverso il cinema classico hollywoodiano –, un iniziale modo di presentazione dell’immagine riferibile «[al] più vasto contesto della serie “immagini animate” […] compreso tra il 1830 e il 1900 […], periodo che inscrive in uno stesso paradigma giochi ottici e vedute animate», e all’interno del quale «è l’attrazione che agisce come principio strutturante di base». Nel cinema delle origini, la trasformazione dello still da un iniziale stato di immobilità a un’improvvisa messa in moto, poneva il pubblico di fronte a una condizione coscienziale e percettiva sospesa e discontinua, nella quale – esattamente come per i dispositivi ottici ottocenteschi – la tensione tra l’immobilità e il movimento dell’immagine giocava un ruolo centrale, producendo una dimensione visuale profondamente diversa rispetto al «classico assorbimento dello spettatore in una narrazione empatica» tipica del cinema istituzionale. Indicata a più riprese come una “successione di shock”, l’esperienza connessa al cinema delle attrazioni, oltre a negare la possibilità di un assorbimento narrativo, contrastava l’ideale di assorbimento contemplativo su cui, nel diciannovesimo secolo, si basavano le norme predominanti della ricezione artistica. A questo proposito, facendo riferimento alle riflessioni di Michael Fried contenute nel testo del 1980 Absorption and Theatricality: Painting and Beholder in the Age of Diderot, Tom Gunning ha scritto:
This aesthetic so contrasts with prevailing turn-of-the-century norms of artistic reception – the ideals of detached contemplation – that it nearly constitutes an anti-aesthetic. The cinema of attractions stands at the antipode to the experience Michael Fried, in his discussion of eighteenth-century painting calls absorption. For Fried, the painting of Greuze and others created a new relation to the viewer through a self-contained hermetic world which makes no acknowledgement of the beholder’s presence. Early cinema totally ignores this construction of the beholder. […] Contemplative absorption is impossible here. The viewer’s curiosity is aroused and fulfilled through a marked encounter, a direct stimulus, a succession of shocks.
Generando esperienze visuali fondate essenzialmente sulla «non-continuità», il cinema delle attrazioni e le sperimentazioni ottiche del diciannovesimo secolo risultano in grado, ad avviso di Gunning, di contrastare il solenne ideale contemplativo con cui Michael Fried fa riferimento al concetto di fruizione artistica. Nell’esibire «stimoli diretti» e «successioni di shock», Gunning riconosce nelle pratiche visuali da lui prese in esame un potenziale anti-contemplativo e «anti-estetico» capace di sopravvivere, in seguito all’avvento dell’istituzionalizzazione del cinema, all’interno delle sperimentazioni cinematografiche e artistiche delle avanguardie. La mancanza di una “coerenza” e di una “compiutezza” in grado di consentire l’esercizio estetico dell’assorbimento contemplativo si riconduceva, senza dubbio, alla presenza in queste immagini di una serie di interruzioni e di tensioni, le quali, nell’impedire lo sviluppo di una continuità narrativa ostacolavano, al tempo stesso, l’ottenimento di un equilibrio formale della visione.
La costitutiva frammentarietà visuale del cinema delle attrazioni e delle altre pratiche ottiche dell’Ottocento ha posto così, ad avviso di Gunning, le basi per l’affermazione di una sotterranea ma potente controstoria del cinema, capace di connettere le esperienze “pre-cinematografiche” alle ricerche dell’underground e di contrastare, di conseguenza, «[a] progress-oriented model of film history». Risulta alquanto interessante, a questo proposito, come Rosalind Krauss, a partire da assunti piuttosto analoghi, giunga a ipotizzare nell’ambito della teoria dell’arte, la possibilità di rintracciare una controstoria del modernismo, la cui esistenza è emblematicamente introdotta in un intervento della studiosa intitolato The Im/Pulse to See, presentato nel 1988 in occasione della giornata di studi Vision and Visuality organizzata dalla Dia Art Foundation di New York:
What I’d like to broach here is the issue of a rhythm, or beat, or pulse – a kind of throb of on/off on/off on/off – which, in itself, acts ...