1. Knowledge, questa sconosciuta
[…] dichiarano di essere in cerca di nuove idee,
ma poi bocciano tutti quelle che gliele presentano
(Rosabeth Moss Kanter)
Francis Bacon, grande filosofo del XVI secolo scrisse:“nam et ipse scientia potestas est” che significa “la conoscenza è potere”. La conoscenza è al centro di analisi, dibattiti, approfondimenti i quali hanno confermato che rappresenta un sicuro vantaggio competitivo anche per l’azienda. La condizione principale è che venga condivisa all’interno arricchendo la capacità strategica dell’impresa. La conoscenza si trasforma in informazione efficace, utile alla decisione; la sua qualità e la possibile tempestività del suo utilizzo catalizza l’azione, ne accelera le fasi e ne influenza gli esiti.
Quanti, nelle organizzazioni, si sono scontrati con le lungaggini e perdite di tempo connesse con la ricerca di informazioni urgenti?
Quanto è il tempo prezioso perso per questa ricerca? Tanto, troppo!
Il knowledge management, si propone di sviluppare un sistema integrato per l’utilizzo delle conoscenze che l’azienda ha maturato nel corso degli anni trasformandole in uno strumento dinamico di distribuzione e condivisione. Una funzione dedicata alla knowledge nasce con l’obiettivo di migliorare la capacità dell’azienda di produrre e diffondere sapere al proprio interno, consentendo di ottenere diversi benefici come, tra gli altri, la possibilità di disporre velocemente delle informazioni necessarie e di adeguarle progressivamente al cambiamento, la gestione efficace degli imprevisti, il miglioramento continuo e l’innovazione. Due momenti, il primo che agisce sulla operatività attraverso i dati, la documentazione, le informazioni facilmente accessibili e l’altro che rappresenta un vero e proprio cambiamento culturale, per rispondere all’aumento della complessità e allo sviluppo tecnologico soprattutto attraverso un maggiore coinvolgimento e partecipazione delle persone. Due dunque i passaggi, i quali riguardano uno l’aspetto più o meno prevalentemente organizzativo (mansione, compito, etc.) e l’altro, che induce ad utilizzare sempre più e sempre meglio la conoscenza, arricchiti sempre più dal contributo di tutti.
È interessante riflettere su una considerazione di Gary Hamel, secondo cui: “Troppe società si definiscono per quello che fanno, piuttosto che per quello che sanno (le loro competenze fondamentali) e possiedono (gli asset strategici ). Così diventano prigioniere del concetto di business esistente”.
Ciò rappresenta la rinuncia a un pensiero strategico, teso al futuro, a una visione che includa il sempre possibile cambiamento.
Hamel evidenzia anche, nei suoi scritti, l’inadeguatezza dei sistemi manageriali in un mondo completamente cambiato per nuove tecnologie, prodotti, sistemi, modelli di comunicazione “tutto è cambiato, tranne gli stili di management”, che soffocano l’innovazione non consentendo di liberare le molte energie che, dal basso, potrebbero contribuire a generare “aria nuova” e valore aggiunto.
Le modifiche strutturali, organizzative e procedurali delle organizzazioni, che hanno caratterizzato questi ultimi anni hanno reso sempre più evidente l’importanza della conoscenza, sollecitando l’adozione di strumenti e tecniche come il knowledge management al fine di rispondere alla esigenza di una piena consapevolezza delle conoscenze disponibili e della loro ubicazione. I luoghi della conoscenza, infatti, debbono essere noti ed accessibili affinché l’organizzazione possa usufruirne in maniera utile ed efficace. Si tratta di sapere, in definitiva, quali sono le competenze, spesso esclusive, del personale dell’azienda, di conoscere quali sono i data base di riferimento, i sistemi organizzativi e societari, le procedure amministrative, solo per fare alcuni esempi.
Esiste l’esigenza di sapere quali sono le conoscenze, dove reperirle, in che modo selezionarle e arricchirle attraverso meccanismi e modelli di apprendimento, condivisione e possibile integrazione di valore.
In considerazione del fatto che la conoscenza è l’unica risorsa (immateriale) che si accresce attraverso la fruizione ed è presente ovunque, in modo esplicito (libri, banche dati, siti web) e in modo tacito (il know how, le esperienze delle persone, radicata nell’esperienza di ciascun uomo includendo credenze, valori, prospettive, desideri etc.) occorre fare in modo che essa diventi disponibile e utilizzabile.
Questa considerazione è alla base della evidente necessità di individuare, per le imprese, un insieme di attività e strumenti volti a selezionare e organizzare la conoscenza, a disseminarla, e a promuoverne la condivisione.
Nella maggior parte delle aziende le grandi e/o importanti unità di staff, come ad esempio la funzione risorse umane, la direzione finanziaria, la funzione comunicazione o la pianificazione strategica utilizzano numerose risorse umane, tutte, probabilmente adeguatamente in termini di competenze e motivazione, ma quante di queste risorse sono orientate al lavoro di squadra per costruire un vantaggio di management?
Secondo il già citato Hamel questa materia riguarda la responsabilizzazione degli individui:
“Nella mia esperienza, la maggior parte dei dipendenti si concentra su problemi di rispetto delle procedure e di efficienza. Ma se volete sviluppare una vera capacità di innovazione manageriale, dovete responsabilizzare i titolari dei processi interni sull’innovazione radicale. A questo fine, la domanda più importante che un Chief Executive Officier può rivolgere a un responsabile funzionale è questa: che percentuale del tuo budget e del tuo organico è dedicata a iniziative che potrebbero aiutare la nostra azienda a costruirsi un vantaggio decisivo in termini di management?”.
Uno dei modi possibili per risvegliare interesse e capacità di partecipazione e innovazione è di allargare a livelli e professionalità diverse la possibilità di interagire in maniera intelligente con l’intero sistema informativo e organizzativo, consentendo di partecipare con suggerimenti, aggiustamenti o miglioramenti indirizzati alla innovazione di processi, procedure e comportamenti.
La progettazione e implementazione di un sistema di Corporate knowledge management (CKM), attraverso il coinvolgimento di risorse ad hoc selezionate dall’interno sulla base del possesso di competenze ed esperienze, ma anche di autorevolezza ed empatia, può aggiungere valore alla organizzazione e alle persone fin dai primi momenti dello studio ed avviamento. L’interessamento alle persone, dimostrato inserendole in processi trasversali, produce di per sé coinvolgimento e la creazione di network di persone per famiglie professionali, o allargate a tutta la società, sviluppando solidarietà e senso del bene comune fra le persone, oltre alla già citata visibilità da parte degli altri.
In maniera più semplice, si può affermare che il knowledge management consente di gestire gli aspetti strategici, tecnologici e culturali del processo di acquisizione, conservazione e condivisione delle conoscenze considerate critiche per il vantaggio competitivo dell’impresa.
Abituarsi a riflettere su ciò che si fa e su come lo si fa, per metterlo in comune con altri, migliora indubbiamente il clima, il rapporto con le altre funzioni e persone dell’impresa e integra sempre più e sempre meglio l’utilizzo delle differenti professionalità e competenze, con progressivo arricchimento professionale e interesse concreto per tutti.
L’esistenza in azienda di progetti come il Corporate knowledge management, dimostra anche all’esterno l’interesse dell’azienda per le persone e rende più semplice l’emergere di nuove “risorse invisibili” importanti, come la capacità della azienda di attrarre talenti, il miglioramento della qualità delle scelte strategiche e della loro implementazione.
Naturalmente rispetto alle cosiddette e già richiamate risorse invisibili sorge spontanea, da parte di molti, la domanda: “ma come se ne possono valutare i benefici?”. Fra le risposte possibili, a prescindere dal miglioramento del clima aziendale, studi approfonditi sulla situazione mondiale da parte di mezzi di informazione come Fortune 500, che si basano su dati forniti da investitori e analisti, il valore del capitale intangibile arriva a pesare almeno il 35% della performance di impresa.
Il valore intangibile di una azienda ha assunto una rilevanza sempre maggiore tanto da divenire oggetto di quantificazione in oc...