Otto
giovedì 29 ottobre, primo pomeriggio
Il Dei Simone arrivò con una Vespa vecchia come e forse più di lui. Era un uomo di una cinquantina d’anni, basso, con due basette grigie e folte che gli si allungavano fino alla bocca e inquadravano il naso, che era schiacciato e un po’ rosso. “Si vede che avrà avuto freddo”, pensò il brigadiere Palombo.
Quando fu lì vicino e si stappò via il casco a casseruola nero, il brigadiere si accorse con un po’ di stupore che aveva solo le basette. Per il resto era calvo come il suo casco. Non si poteva dire un bell’uomo. Faceva bene a chiedere qualche grazia a padre Pio.
Il Palombo aveva parcheggiato l’Audi A3 del commissario Martello appena fuori del vialetto che immetteva al distributore, chiuso con la catena. Mentre il Dei apriva il lucchetto e lasciava libero il passaggio, lui lo guardava meglio. Portava un giaccone rosso, ed era ancora in tuta da lavoro. A differenza del De Blasio che tornava a casa solo la sera, lui faceva un salto per il pranzo, e poi riapriva alle 16. Evidentemente teneva famiglia.
«Buona sera», fece il Palombo, e del resto era già quasi buio, un pomeriggio di una giornata plumbea, «sono il brigadiere Palombo. Il signor Dei, immagino.»
«Ma non siete venuti già ieri? Io devo lavorare, non ho mica tanto tempo da perdere.»
Il Palombo sospirò. Ridài. Óh, porca miseria, ce ne fosse uno, anche un devoto di padre Pio, che quando ci vede è contento. Che lavoro di merda.
«Lo so, ma il commissario Martello mi ha mandato a fare il pieno alla sua macchina. O non va bene nemmeno questo?» E che cavolo. Fece qualche passo indietro, montò sull’Audi, e mise in moto. Quella si accese con un sussurro. Però, bella macchina. Aprì, vergognandosi un po’, il cassettino portaguanti lì a destra, e ci trovò uno specchio. E ti pareva.
«Il pieno di gasolio. E mi pulisca anche il vetro.»
Mentre il Dei, che da vicino era ancora più basso, si stendeva sul cofano per pulire il vetro, lui tirò fuori il cellulare e finse di rispondere. «Tutto a posto, commissario. Ci conti. Bene commissario. Eseguo e riferisco.» L’altro lo guardava praticamente steso sul parabrezza, dal di fuori. Era proprio brutto. Gli faceva senso dire queste scemenze, ma il Dei di sicuro era di quelli che vedevano i poliziotti in televisione, e quelli parlavano tutti così. Che dialoghi di merda.
Quando il bocchettone si bloccò, il Dei aveva finito. Aveva lustrato il vetro come se avesse fatto una scommessa con la Shell. Rimise a posto tutto, chiuse lo sportello del carburante, e lo guardò con un’aria come dire “e ora? che volete da me?”. Il Palombo non lo ringraziò perché in televisione gli sbirri non ringraziano, spostò la macchina più in là, ed uscì. Gli mise il cinquanta euro in mano. L’altro gli restituì due euro di resto.
«Bene. Mi ha chiamato ora il commissario Martello. Dobbiamo fare due chiacchiere, ma in pace. Perciò o lei viene con me in Questura, o chiude per cinque minuti il distributore…», alzò una mano per fermare l’obiezione, «no, per dieci minuti, e andiamo nel suo ufficio. Qui fuori è freddo.» Si avviò senza neanche guardarlo.
In quell’ufficio di tre metri per due scarsi c’erano due seggioline da campeggio, ripiegabili. Aprì quella chiusa e si sedette, quasi incastrandosi dentro. Il Dei si mise sull’altra, ma sul bordo. Aveva intorno un casottino brutto e scomodo per tre quarti di plexiglass sfregiato, tutto roba vecchia; il calendario delle donne nude era scomparso dall’unico posto dove poteva essere, la parete in metallo, e lì ora troneggiava una gigantografia di un frate con la barba, circondato dall’aureola. Era così brutta che il Palombo rimase stupefatto. Mah. Se a lui, proclamato beato e poi santo, avessero fatto poster così da esibire dovunque, col cavolo che avrebbe mandato grazie. Disgrazie, piuttosto. Accanto, più piccolo per fortuna, un calendario sempre padrepiesco, appeso con un filo sorretto da un pezzo di scotch alla parete, un po’ rugginosa. Si sentiva circondato. Sei occhi lo guardavano con aria ostile. Due, quelli del Dei, bovini e irrequieti. Gli altri quattro fissi ma non per questo più raccomandabili. Mamma mia.
Da qualche parte bisognava pur cominciare.
«Senta, intanto. Il De Blasio aveva un tavolo qui, un armadietto… Qualcosa?»
Il Dei si spostò con la seggiolina, per quanto poteva in quelle strettezze. Dietro di lui apparve un tavolinetto di ferro, di quelli da ufficio. Sopra qualche blocchetto per le ricevute, un portapenne marcato Shell con qualche penna spaiata e senza cappuccio, una copia del giornale locale, un thermos, una macchinetta per i pagamenti col Bancomat o la carta di credito. Un telefono vecchio ingiallito. Sotto il ripiano, due cassetti. «Qual è quello del De Blasio?»
«A destra. Di solito è chiuso.»
Questa volta era aperto. Scivolava benissimo. Vuoto. Solo un panno stesso con cura e ripiegato, di quelli giallo scuro che servono per rifinire la lavatura dei vetri. Il Palombo lo prese e lo annusò: olio lubrificante. Era lì che il morto teneva la Beretta 98 FS, quando metteva benzina e gasolio e olio da motore. Non gli ci volle molto a capire come funzionava: il De Blasio arrivava sempre per primo, posava la pistola nel cassetto chiudendolo a chiave, e la sera quando per ultimo ripartiva la riprendeva. La notte era inutile chiudere il cassetto, tanto non c’era nulla. In mano, quando l’avevano trovato steso a terra e sparato, stringeva un mazzo con sei chiavi: una del portone, una dell’ascensore, una di casa e l’altra, più piccola, che era evidentemente quella del cassettino. Le ultime due, come vederlo, erano del gabbiotto e del lucchetto per la catena, davanti al distributore. Di certo aveva pensato che se qualcuno avesse voluto fargli qualcosa non l’avrebbe fatto lì, in mezzo a testimoni, al distributore. La Beretta gli serviva per il tratto da lì a casa e viceversa, quando infatti la portava nella tasca destra dei pantaloni. Beh, aveva visto giusto. Fino a un certo punto, per lo meno.
Richiuse il cassetto e guardò fisso il Dei.
«Dunque. Lei è qui da…», finse di consultare un foglietto, dove Giuseppina aveva segnato una lista c...