La fidanzata olandese
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"La mente si spostò per un istante su un pomeriggio azzurro giallo di sole, su un barracuda dai mostruosi denti aguzzi agganciato in una partita di pesca d'altura al largo di Key West". Grecia, Borneo, America non tappe ma mete di viaggi. Luoghi ispiratori di storie a volte surreali al cui centro non ci sono le geografie ma lee persone, che però non potrebbero essere come sono né vivere le storie che vivono se non fossero lì e, spesso, di lì. Non sono racconti di viaggio, questi di Rosario Bonavoglia, ma racconti nel viaggio. Di amori, anche. Quello silenzioso e dolente ed eterno di Alekòs, i tanti fugaci e sensuali di Ignazia, quello non vissuto di Rubiana, quello perverso di Janine e quello finito di Chris. E di ricerca. Di amici, di ricordi, di immagini. Occasione, ogni storia, di raccontare un mondo: dei giornalisti inviati in lande esotiche, dei disoccupati greci, dei borghesi newyorkesi. Un caleidoscopio scrutando nel quale non si vedono solo colori ma frammenti di umanità.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788868741020
Angeliki
Alekòs Stratos non era un tipo ciarliero. Essere il capo della gendarmeria di Piros da tanti anni che neanche ricordava più quanti fossero, lo aveva reso di fatto l’archivio vivente. Chiuso e a doppia mandata. Tutto casa e caserma. Una vita che più tranquilla non poteva essere, da quando moglie e figli lo avevano lasciato. La prima per correre dietro a un tizio che aveva fatto fortuna aprendo un ristorante di pesce a Lubecca e gli altri, un maschio e una femmina, si facevano vivi per telefono un paio di volte all’anno dal chissà dove erano finiti.
Piros, poche case aggrappate a una montagna, era fuori strada da ogni destinazione importante. Un motivo perché le autorità provinciali mantenessero i cordoni della borsa ben serrati sulle spese di manutenzione dell’unica strada che lo collegava con la costa. Non li allentavano neanche d’estate, quando gli emigrati tornavano per le vacanze insieme a un manipolo di anziani inglesi che, dopo una giornata passata al mare, alla movida sulla costa preferivano la quiete e il fresco della collina.
Il dissesto peggiorava di anno in anno per effetto delle piogge autunnali che rendevano la strada una pista da Camel Trophy. Secondo alcuni paesani un vantaggio, una remora all’invasione di turisti che negli ultimi anni aveva eroso e volgarizzato le attrattive ambientali di altri siti della regione.
Piros era così rimasto un angolo di paradiso, se si vuole un’anticamera data l’altitudine. Una corriera faceva servizio giornaliero con i villaggi situati a valle. Una corsa al mattino e il ritorno nel tardo pomeriggio che terminava nell’unica piazzetta all’entrata del paese. Da qui si diramavano due vicoli che bucavano l’abitato di case di pietre, rosse come la montagna di ferrite da cui erano tratte. Da qui il nome Piros, “fuoco”. Un minerale che, oltre a conferire il brillante colore, rassicurava i paesani sulla tenuta dei fabbricati. Un fatto del tutto psicologico per esorcizzare il timore di terremoti che in quella zona non avevano mancato di fare danni tremendi negli ultimi cinquecento anni. Aveva sempre resistito alle scosse la chiesa parrocchiale, che sulla sommità del villaggio faceva bella figura nell’addobbo di bianco e celeste dell’intonaco. Era dedicata a una santa Trofiria di supposta verginità e martirologio, il cui corpo era stato trovato giù sulla spiaggia una mattina di novembre dell’Anno Domini 622, un’epoca in cui principi e signorotti locali facevano dovunque a gara per arricchire le chiese delle loro contrade con reliquie di santi e madonne per lo più inventate. Il ritrovamento veniva celebrato ogni anno con una solenne processione notturna con incappucciati bianchi e antiche litanie. L’immagine della santa veniva portata a spalla da dodici fanciulle insieme alla statua di una giovane miracolata, il cui nome, Teodolinda, faceva pensare che anche da quelle parti ci fosse stato un passaggio di longobardi, peraltro non segnalato da alcun libro di storia. Durante la processione le luci delle abitazioni venivano spente e contemporaneamente in tutto il paese si accendeva una miriade di lumini rossi che, visti da lontano, creavano un effetto di grande suggestione.
Alekòs conosceva tutti i segreti di quella comunità. Più di quanto non ne sapesse Alexandròs Potaikòs, il pope cui era affidata la chiesa bianca e celeste dove donne e uomini si recavano per confessare i loro peccati preferendolo al suo vicario. Temevano infatti che, essendo più giovane e per giunta sposato da poco, nell’intimità del talamo si lasciasse sfuggire delicati particolari confidati dietro la grata. Non che ci fossero grandi segreti, dal momento che quelli “veri” finivano presto per diventare di dominio pubblico: tresche, figli concepiti fuori dal letto nuziale, violenze familiari e incesti dalle più ardite combinazioni. Secretare ogni cosa di cui veniva a conoscenza era diventata per lui una prassi, con punte grottesche, fino a negare circostanze ormai note che lui asseriva di non conoscere. I compaesani seduti al bar lo prendevano in giro. “Vuoi vedere che se gli chiediamo l’ora risponde che non può dircela?”. Esagerazioni, certo, la gente di paese, e non solo quella, è fatta così. Coglie una peculiarità di una persona e ne fa oggetto di sfottò. Un argomento per passare un’ora a riderci sopra. Alekòs fingeva di non capire. Ignorava, come lui riteneva che il suo ruolo esigesse. Il rispetto badava a guadagnarselo con l’impegno che metteva nella sua professione. E di questo non c’era nessuno che non gliene desse atto. Sempre presente, pronto a rispondere a qualsiasi chiamata e a risolvere problemi grandi e piccoli: da un incendio a un incidente nei campi, dalla corriera rimasta in panne a un camion bloccato di traverso sul ghiaccio, all’auto di un turista con due gomme bucate.
Poco a poco s’era fatto una propria corazza. Dentro c’era lui e solo lui. La sua funzione esigeva distacco e tutti in paese rispettavano la sua persona, come avevano sempre fatto con quelli che lo avevano preceduto nella carica. Un isolamento che aveva radici ormai lontane, fin dall’inizio della carriera, che aveva finito per incidere sul suo carattere creando una sorta di segregazione, non solo fisica. Forse un’attitudine dovuta alla sua originaria insularità. Era infatti nativo di un’isola grande poco più di uno scoglio, dove era vissuto finché non lo avevano arruolato quando la guerra stava per finire e più che di combattenti c’era ormai bisogno di poliziotti. Un comodo “trasloco” da una carriera a un’altra, che di simile aveva un’uniforme, senza che neanche ricordasse di averlo deciso. Per anni non era più tornato alla sua minuscola isola, la più lontana tra le centinaia che punteggiavano un mare grande senza essere oceano, fatto ancora più grande dalla difficoltà dei collegamenti. Circondata da scogli, montagne e anche terre piatte che a stento potevano scorgersi e scomparivano alla vista durante le tempeste. Lontana… Nel suo girovagare da un villaggio all’altro, da una città all’altra senza avere alcuna cognizione geografica, s’era spesso chiesto lontana da dove essendo tutto quel mondo fuori dal mondo.
Il viso si contraeva in una smorfia quando qualcuno gli faceva domande sul suo passato in quella sua isola che nessuno aveva mai sentito nominare. Quando era di genio lui cercava di spiegare e si arrabbiava nel vedere che subito l’interlocutore assumeva un’espressione incredula, come se quell’isola l’avesse inventata, non esistesse e fosse un paravento per nascondere chissà cosa della sua vita. Sapeva per certo, glielo avevano riferito, che c’era chi riteneva che alla remota e insignificante gendarmeria di Piros ce lo avessero confinato per punizione. Mancanze, irregolarità, dissidi con capi ovvero peccati di gioventù, che nell’immaginario del gossip locale diventavano imprese non da poco e comunque deprecabili. Lui parlava a bassa voce, quasi sussurrando, e cercava di descrivere le sue spiagge con la corona di isolette intorno e le calette dove l’acqua rifletteva il colore delle rocce e del cielo in cangianti sfumature dal verde al blu, dall’ambra al giallo. Le ragazze vi si bagnavano nude dopo essersi sfilate i costumi immerse sotto il pelo dell’acqua, lontane dagli occhi del villaggio ma non da quelli dei loro giovani amanti provocati con schizzi e richiami, gli occhi rossi per l’eccitazione e l’acqua salata. Alekòs non rispondeva alle battute salaci, “e poi… cosa facevate… non fare il misterioso!” Rapito dal ricordo rimaneva silenzioso.
Alla sua isola tornava ogni volta che poteva. Quando riusciva a mettere da parte abbastanza per acquistare il biglietto della nave, permettersi le serate all’ouzerìa dove abbandonarsi ilare ai numerosi “giri” di liquore, farsi inebriare dal profumo di mare e anice in compagnia della rumorosa combriccola di impenitenti scapoloni - come tutti in cuor loro continuavano a sentirsi, anche se da tempo ammogliati e con numerosa prole - e ripercorrere ogni volta insieme avventure più volte raccontate di quando erano giovani e alcuni di loro erano a bordo di navi che contrabbandavano merci di ogni natura. Armi… sì anche, per conflitti e guerricciole sempre frequenti su quelle sponde, che una ne finiva e altre ne scoppiavano. I proventi dei loro commerci erano ben visibili, concretizzati nel paesaggio di case bianche che tutte uguali orlavano la costa e punteggiavano la collina depredando quello antico, austero di rocce e sterpi bruciati, come arrugginiti, dal sole. Anche storie di donne. A quel punto i toni si abbassavano, le voci diventate rauche per il gran bere o per saporose reminiscenze. Ciò avveniva verso la fine dei “giri”, quando la mente vagava ormai fuori controllo e man mano si diradava la piccola moltitudine che vi si era accrocchiata intorno, richiamata dal gran vociare e affascinata dalle sceneggiature che sembravano spacconate di vecchi e rimbambiti pirati.
Stavolta ci mancava da molto. Un’assenza fatta lunga dalla pigrizia. Così si sforzava di credere. Reazione, invece, alla sindrome di appartenenza comune a ogni emigrante, la palla di piombo al piede che impedisce di sentirsi a proprio agio in qualunque posto diverso da quello di origine. Per lui l’ultimo, Piros. Una residenza che dopo tanti anni avrebbe dovuto ormai considerare definitiva in quanto conclusiva. Una nuova patria, non avendone più una, che avrebbe dovuto consentirgli di rimuovere ricordi e nostalgie che gli avevano dato solo sconforto e senso di precarietà. Anche stavolta, invece, la sensazione di non volontario esilio deciso a tavolino in qualche polverosa stanza ministeriale. Lui un semplice numero, un soldatino di piombo spostato da un luogo all’altro dall’arbitrarietà di un oscuro regista o di un automatismo elettronico. Con il convincimento, via via che gli anni passavano, che il primo si fosse appisolato se non addirittura morto o il meccanismo si fosse inceppato, dimenticandolo in quello sperduto e remoto villaggio di pietre rosse. Come il leggendario soldato giapponese nella jungla filippina.
Era seduto al bar di fronte alla baia del porto quando la rivide. Gli anni erano passati non solo per lui ma quel portamento fiero, a suo modo provocante, era rimasto lo stesso. Diverso invece il vestito. Nero, segno inconfutabile di un lutto - vedovanza? - di cui nessuno gli aveva dato notizia. Angeliki la ricordava che erano ancora chiare, quasi sempre candide, le vesti con cui ricopriva il suo corpo possente per farne risaltare la pelle scura, di porosità e riflessi negroidi, su cui ricadeva liscia una cascata di capelli corvini, gli occhi neri che lanciavano bagliori taglienti come spade affilate. Anche nel colore del lutto gli ancheggi disegnavano ancora cosce e natiche possenti, per niente mortificate dal passare delle stagioni. Gli sembrò che per lei il tempo si fosse fermato e le avesse solo appannato la luce degli occhi. Quei guizzi sfrontati che lo avevano stregato e fatto impazzire fin dal primo incontro sulla passeggiata rasente la grande spiaggia ornata di tamerici.
Non erano solo gli occhi. Alekòs era ossessionato dal suo corpo. Dalle sue movenze. La immaginava mentre, tornata a casa, si sfilava quella veste nera e appariva… e la testa gli girava al pensiero del qualunque cosa portasse sotto nei colori e fogge che la sua ossessione feticistica creava di volta in volta. Non la figurava mai subito nuda, per non sottrarsi all’immaginazione malsana di sfilarle mutande, reggiseno e prolungare, esasperandolo, il suo desiderio. Al suo apparire dal fondo del vialetto ne seguiva l’incedere con gli occhi acquosi, aspettando quasi senza più respiro che gli passasse accanto, per riceverne un cenno di saluto che confermasse di averlo notato e cogliesse dall’espressione del suo viso sofferenza e passione. Il momento di respirare il profumo che emanava dal suo corpo e farne riserva per le lunghe ore di attesa prima di un altro incontro.
All’esperta Angeliki quei messaggi giungevano nella loro sofferta interezza. L’eccitazione di lui si intrufolava sotto la sua veste nera provocandole vampate di calore che dissimulava nel lieve saluto, le labbra strette mentre la mano premeva istintivamente il ventre rotondo e carnoso.
Era andata così per anni secondo una liturgia scandita da tradizioni antiche, i tempi di un corteggiamento anacronistici ma condivisi dalla generazione alla quale entrambi appartenevano. Non per questo meno frustranti. Una vera relazione mai nata, affidata a impercettibili cenni da lui interpretati col metro dell’illusione. Sofferta al punto di innescare bronci per torti immaginati, ripicche inespresse e vissute ognuno per proprio conto.
Il loro rapporto era rimasto così confinato nei limiti e nei tem...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Il libro
  3. L’autore
  4. L’isola di George
  5. La chambre de bonne
  6. Fegato indiano
  7. Merletti
  8. Ruruus@
  9. Esserci e non esserci
  10. Angeliki
  11. Un buon uomo
  12. Il contrabbasso
  13. La fidanzata olandese
  14. Giallo di colza
  15. Il divano a fiori grandi
  16. Il sentiero della regina
  17. Tsunami
  18. Eagle’s Peak
  19. Colophon