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Informazioni sul libro

Un uomo senza memoria, sdraiato, immobile, a occhi chiusi, cerca di ricostruire la sua identità. Incapace di capire che cosa gli stia succedendo, immagina di essere il protagonista di una recita in teatro. Inizia così un monologo surreale, grottesco, irridente nei confronti della società e delle sue storture. Allo stesso modo passa in rassegna eventuali sue professioni e di ognuna vede il lato buffo che tratta con sarcasmo e ironia. Alla fine dello spettacolo, lo smemorato suppone che si possa trattare anche di un sogno durante una notte agitata. Ma non esclude altre ipotesi che giustifichino la situazione. Inevitabilmente dovrà porsi una domanda: qual è la realtà e quale la fantasia? Il lettore lo scoprirà solo alla fine. Forse!

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788868741969
1.
Restare calmi e non farsi prendere dal panico, quindi a passo lento raggiungere l’ospedale più vicino e chiedere se per caso abbiano il siero specifico per quel tipo di veleno.
Più o meno sono questi i suggerimenti che vengono dati a chi sia stato morso dal serpente degli alberi. I tempi sono strettissimi, pertanto non bisogna sbagliare reparto e andare dritti in quello giusto: rivolgersi al chirurgo estetico potrebbe risultare fatale.
In realtà sono stati letteratura e cinema ad affibbiare una pessima fama al serpente degli alberi, alias Mamba. Invece si tratta di un animale riservato e timido, che se ne sta per i fatti suoi e a cui il morso bisogna quasi andarlo a chiedere per favore.
Ovvio che se viene calpestato, disturbato mentre dorme o infastidito quando fa l’amore, si irrita e cerca di allontanare l’intruso. Già è difficile prendere sonno stando in bilico su un ramo, col rischio di cadere di sotto e fratturarsi una vertebra; per non parlare dell’accoppiamento, con quell’intreccio di corpi a spirale, che se non stai attento poi per sbrogliare i nodi ci vuole una nottata intera. Insomma il serpente degli alberi a tutto pensa, salvo che a confrontarsi con quei trogloditi degli umani che non rispettano l’ambiente e la natura.
Ora, se io fossi un abitante di un villaggio immerso nella savana a cui piace stuzzicare i mamba, o anche solo l’inserviente disattento di un rettilario, avrei pronta la spiegazione di come sono ridotto: respirazione rallentata, immobilità degli arti, confusione mentale. Perché è questo che provocano le neurotossine inoculate dagli incisivi del dendroaspis, (il nome scientifico incute meno timore).
Invece ritengo di non abitare in Africa e di non essere addetto alla cura di rettili. Il fatto è che non ricordo altro, a partire dal mio nome, e questo è un bel guaio.
Sono disteso e non riesco ad aprire gli occhi o, ancora peggio, ho la sensazione di non vedere nulla nemmeno se li spalanco. Dormirei se non fosse per un rumore che, se pur non assordante, risulta fastidioso. Non sapendo fornire a me stesso una risposta convincente, mi vien da pensare che si tratti di una recita.
Un tizio, immobile e semi incosciente, si rende conto di aver scordato ogni notizia su di sé e prova a riattivare la memoria per capire cosa sia successo.
Una buona idea in effetti. Devo solo indagare se ciò sia un’eventualità possibile o una mia fantasiosa supposizione.
Sulla realtà non realtà, su cosa effettivamente accada o riteniamo che accada, sono stati scritti romanzi, racconti, poesie, saggi, poemi, canzoni. Ci hanno lavorato sopra artisti di ogni disciplina; teatro e cinema vi hanno attinto a piene mani. Credo sia davvero superfluo citare tutti coloro che se ne sono occupati da almeno tremila anni, dagli accesi dibattiti tra i seguaci di Platone e Aristotele, alla storiella dell’uomo addormentato sotto un albero che sognava di essere farfalla, ma forse era la farfalla a immaginare di essere un uomo assopito… e così via.
Tanto più che non bisogna mai abusare delle citazioni; se davvero mi state ascoltando da una platea, non apprezzereste un inizio zeppo di riferimenti storici e letterari su un tema così ampiamente arato da secoli. Si rischia di fare la figura di un liceale secchione o di un esibizionista di cultura spicciola. Ma si corrono pericoli ben più seri, tali da cambiare il corso della vita.
Supponete per esempio di essere stati invitati a un pranzo di lavoro dal vostro grande capo assieme ad alcuni colleghi in odore di avanzamento di carriera. Sapete bene che bisogna stare molto accorti: compiacere il boss senza apparire troppo servili è un’arte antica. Al tempo dei samurai bastava un niente per dover afferrare la wakizashi e sbudellarsi davanti a tutti, avendo cura di non versare il sangue sul kotatsu, onde permettere ai commensali di continuare a cenare senza turbamenti. Ma io non parlo giapponese, avrei dovuto dire spada e tavolino; come mai mi sono uscite di bocca quelle due parole? Forse me le ha bisbigliate il suggeritore dalla buca. Torniamo al pranzo.
Supponiamo che le insidie siano state evitate con destrezza, compreso lo spinoso argomento squadra del cuore. A domanda precisa, tutti i partecipanti hanno svicolato: non mi piace il calcio – guardo solo le partite della nazionale – sono appassionato di curling e thai box – mi dedico al tiro alla fune – pratico il lancio del martello indoor – mi diletto nel braccio di ferro.
Non è verosimile, ma il capo fa finta di crederci. Tutto liscio sino al dessert, quando il cameriere deposita sul tavolo una torta alla ricotta. Assaggiate e vi lasciate trasportare dall’entusiasmo.
“Sentite che morbidezza, che profumo, mi ricorda quella che faceva una mia zia. Capisco Proust quando magnificò la famosa madeleine.”
Vi è scappata, forse non tutto è perduto, ma il vostro collega Alfonso Pisciuneri sta per trascinare entrambi nel baratro.
“Già, è diventato persino un modo di dire: l’effetto madeleine. Quella sensazione che ti fa restare di stucco. Un po’ come la sindrome di Stendhal.
Interpretando in modo corretto il sorrisino del vostro capo, ci sarebbe ancora il tempo per rimediare sterzando in modo deciso: “ma secondo voi la Banca di Tokyo ritoccherà i tassi a breve termine?”
Purtroppo attribuite la smorfia, accompagnata da un leggero movimento della testa, a un gesto di assenso per la dotta discussione che si è appena avviata: “ma come sono colti i miei collaboratori!” Invece lui sta pensando ben altro: “di che cavolo stanno parlando questi due deficienti?”
Se il capo avesse il cellulare a portata di mano, lo metterebbe tra le gambe e in qualche modo darebbe una sbirciata a un motore di ricerca, giusto per dire la sua sull’argomento; invece il telefono è riposto nella tasca interna della giacca appesa dietro il tavolo. Per sembrare democratico, il boss all’inizio si era messo in maniche di camicia, imitato da tutti i commensali non appena aveva pronunciato la frase: “chi vuole può togliersela, così siamo meno formali”.
Soprattutto avete stranamente dimenticato ciò che tutti sanno in azienda, vale a dire che il boss è figlio, nipote, fratello e cugino di boss, che ha frequentato le medie in Svizzera, il liceo in Inghilterra, l’università in America e ha conseguito un master in business administration assieme a un paio di premi Nobel per l’economia. Insomma un manager che già mentre si rade la barba, calcola l’impatto dello spread sulla liquidità di cassa. Ma una tale formazione ha avuto un prezzo, sicché l’ultima volta che andò al cinema fu quando il nonno lo portò da bambino a vedere Ben Hur; quanto ai libri lo hanno sentito spesso affermare che solo i fannulloni sprecano tempo per leggere romanzi.
Niente da fare, avete perso il controllo e ribattete a Pisciuneri, mentre gli altri colleghi sono sprofondati con la testa nel piatto e non fiatano.
“Non è proprio la stessa cosa. Stendhal si riferiva al senso di straniamento dopo essere uscito da Santa Croce a Firenze e alla vertigine che si prova davanti a un’opera d’arte. Invece l’effetto madeleine ti rimanda al passato, generando nello stesso momento allegria e nostalgia.”
Vi siete rovinati, facendo fare la figura dell’ignorante al grande capo che non ha aperto bocca se non per ordinare il caffè.
“Ci si dovrebbe vedere più spesso attorno a un tavolo, ma il tempo è tiranno. Sapete che domani sarò a Madrid per chiudere quell’importante acquisizione. La società si espande ancora, ci sarà bisogno di riorganizzare il nostro management.
Nell’accennare alla sistemazione dell’organigramma si è guardato attorno, escludendo voi e Pisciuneri. Ghigliottinati.
Visto cosa può accadere nel volersi mostrare colti? Quindi, per coerenza, non citerò ciò che scrisse Schopenhauer a proposito del mondo reale o sognato perché lo sanno anche i buttafuori dei locali notturni, e lo posso testimoniare.
Stavo aspettando un’amica davanti al famoso Gilda, quello a due passi da piazza di Spagna a Roma, quando è nata una discussione tra gli energumeni a guardia dell’ingresso e un gruppo di clienti.
Nel parapiglia che ne è seguito mi è arrivata una manata sulla schiena, simile all’urto di un respingente di una carrozza ferroviaria. Voltandomi per inveire, ho subito ingoiato la saliva poiché mi sono trovato di fronte a un tizio ampio come il guardaroba di una casa colonica e con un collo più largo della mia coscia. Ritengo che il termine “gorilla” con cui vengono chiamati questi addetti alla sicurezza (di chi?) sia alquanto riduttivo. Ciò nonostante, pur usando la stessa voce di Paperino nella versione originale americana, ho fatto le mie rimostranze. Lui ha atteso che finissi di lamentarmi, poi mi ha appoggiato una mano estesa quanto una pala da pizzaiolo sulla spalla, che subito si è abbassata di un palmo.
“Sicuro che sia stato io? E poi è certo di essere stato colpito?”
“Guardi, temo che l’ematoma si stia estendendo a tutta la fascia lombare.”
“Questa è una sua supposizione. Lei sbaglia se fa riferimento ai sensi per valutare i fatti. Si ricordi cosa diceva Schopenhauer: il mondo è un nostro sogno, una nostra idea.”
Non ho potuto far altro che assentire. Mi ha dato la mano e ho pensato che avrei perso l’uso delle dita per qualche mese; ha sorriso ed è andato da un altro cliente che stava protestando. Immagino che gli abbia sussurrato all’orecchio qualcosa tipo: non commetta l’errore di considerare realtà solo ciò che vede, se non la smette di gridare le faccio ingoiare una copia di Doppio Sogno di Schnitzler in edizione tascabile. Ha funzionato perché l’uomo ha smesso all’istante di parlare.
A dir il vero, potrei formulare varie altre ipotesi sul perché io mi trovi nella condizione che ho descritto, ma insisto sulla messa in scena teatrale, talmente ben fatta che il pubblico possa avere la sensazione di essere davvero di fronte a un tizio che ha perso...

Indice dei contenuti

  1. Frontespizio
  2. Il libro
  3. L’autore
  4. 1.
  5. 2.
  6. 3.
  7. 4.
  8. 5.
  9. 6.
  10. 7.
  11. 8.
  12. 9.
  13. 10.
  14. 11.
  15. 12.
  16. 13.
  17. 14.
  18. 15.
  19. 16.
  20. 17.
  21. 18.
  22. Della stessa collana
  23. Copyright