L’anno di Marianne
“Coloro che non hanno niente da dire non diranno mai nulla. Solo gli altri mi interessano.”
Jean-Pierre Soisson
Descartes doveva essere belga, svizzero o americano, in ogni caso non francese.
Il francese è l’essere più illogico del mondo. Passa la vita a correre dietro al successo ma il successo degli altri lo indispone. Anzi lo rende aggressivo. Il successo per lui è sempre disonesto. Negli altri paesi, guadagnare vi fa guadagnare la stima dei vostri concittadini. Da noi, è il miglior modo di perderla. Il piccolo mondo della pubblicità, già seccata di vederci salire in cinque anni dal centesimo al secondo posto delle agenzie, perse ogni dignità davanti al successo dei Produits Libres. La stampa professionale non accennò a diminuire gli insulti. I salotti, le istituzioni, ci misero all’indice. Presto, alcuni nostri clienti, influenzati dalla durezza dei nostri concorrenti, passarono all’attacco.
Fu una Stalingrado. Arthur Martin ci ritirò le cucine a gas Faure. Le rappresaglie erano ancora più ingiuste per il fatto che non c’erano elettrodomestici nei Produits Libres. Perdita: cinque milioni di franchi. Lu-Brun, a sua volta, ci tagliò i viveri, per spirito d’alleanza. Assurdo, dal momento che Lu-Brun era il fornitore dei biscotti ripieni liberi.
Eravamo partiti all’assalto di diversi grossi budget, ma fummo respinti. Insomma, il vento napoleonico della Beresina soffiava su di noi. In questa ritirata allucinante, perdemmo in un mese quindici milioni di franchi di billing. Senza perdere il sorriso. Le guerre non fanno paura ai bambini...
Una disgrazia non arriva mai da sola. Mi sposai per la seconda volta.
Ho il dono della comunicazione con le casalinghe e dell’incomunicabilità con le donne. Il mio primo matrimonio fu un matrimonio d’amore e capii fin dal viaggio di nozze quanto l’amore sia un sentimento ragionevole. Anne-Marie aveva tutte le qualità dei miei difetti e viceversa. Sembrava che fosse stato un computer e non il destino a metterci insieme. Eravamo la coppia ideale. Ma formavamo un’associazione, non un’unione. Ahimè, le associazioni coniugali sono a responsabilità ancora più limitata delle associazioni commerciali. Non potei rinnovare il contratto del sesto anno.
Il mio secondo matrimonio fu quindi un matrimonio di pazzia. Incontrai Dorothée in occasione di una cena. Mi sconvolse al primo sguardo. Piansi al nostro secondo incontro, sia per l’intensità del mio amore sia per il presentimento di ciò che sarebbe avvenuto. Furono cinque anni di follia durante i quali ogni notte si lacerava al cominciar del giorno, per meglio ricucirsi ai bagliori della sera. Più io bruciavo, più lei mi consumava. Finimmo per ridurci reciprocamente in cenere. Dorothée ebbe l’ultimo coraggio di rompere un matrimonio che non aveva più respiro. Commise l’unico errore imperdonabile: fuggire con un cliente. Immaginare che mia moglie possa un giorno portare il nome di un aperitivo, foss’anche il leader del mercato, mi disincantò. Annunciato da un colpo di fulmine, il nostro matrimonio precipitava in un disastro.
Sei mesi dopo, feci il mio terzo matrimonio. Un matrimonio d’istinto, quello della vita e quindi della paternità. Sophie mi ha offerto un figlio. E la saggezza. Dandomi un frutto, mi ha dato delle radici. Poiché ha la metà dei miei anni e questo mi disturbava, mi citò l’esempio di José Artur: “Per il mio secondo matrimonio, ho sposato, vent’anni dopo, la ragazzina che teneva lo strascico della mia prima moglie. Per le nostre nozze, lei ha voluto semplicemente che non ci fossero damigelle d’onore.”
Sophie è della stoffa di cui si fanno le donne, quelle vere. Quelle che sanno essere presenti quando si è assenti, fino al giorno in cui sanno anche rendere la loro assenza insopportabilmente presente. In realtà una doppia donna. La mia donna ideale.
Il pubblicitario ha sempre bisogno di due compagne. Una donna che ama e una donna da amare. Tutte e due non sono altro che lo specchio del suo mestiere poiché un pubblicitario si divide tra due budget, quello che ha sposato e quello al quale fa la corte. Se perde questo bisogno viscerale di sedurre, comincia a languire, perde combattività. E i clienti.
La mia prima moglie era stata quella della mia sovramisura, la seconda quella della dismisura. La terza sarebbe stata quella della misura. È, credo, la vera definizione dell’amore, checchè ne dicano i poeti. E le donne soprattutto. Bisogna celebrare l’anno della coppia non quello della donna.
Ecco appunto una campagna che mi piacerebbe fare.
* * *
Ma non si fanno mai le campagne che si desiderano.
Ho la mia campagna impossibile come altri hanno amori impossibili per Raquel Welch o Marilyn Monroe. La mia fantasticheria professionale va a Marianne. Avevo sempre sognato di essere il pubblicitario della Repubblica.
Questo sogno si sarebbe realizzato all’alba del 1977. La Francia cercava dei sindaci e i candidati un’immagine. Il tempo stringeva. La posta in gioco era notevole. In aiuto chiamarono la pubblicità. Stranamente fu un concorrente a mettermi sulla pista. Jean-Pierre Audour, socialista militante e proprietario di una delle agenzie del gruppo Havas, mi chiese il manifesto del Partito Socialista. Era un’ammissione d’impotenza o un desiderio di ecumenismo, non lo saprò mai. Mi mandò un appunto di riflessione di una rara chiarezza. Il manifesto doveva rappresentare Mitterrand che si poneva al di sopra della mischia e tradurre, in questo modo, la volontà del partito e l’umanesimo dell’uomo. L’ultima richiesta era che il manifesto fosse fuori dal tempo. Tuttavia la sua preoccupazione era più di vincere le successive elezioni legislative, poi le presidenziali, che di volare in aiuto della vittoria, ormai assicurata, delle amministrative. Accettai, ma a due condizioni.
Prima: vedere Mitterrand almeno per un’ora.
Seconda: avere solo lui come giudice supremo.
Le mie richieste avevano un motivo: un primo incontro mancato. In occasione delle ultime elezioni presidenziali, lo stesso Audour aveva insistito perché facessi il manifesto socialista del secondo “tour”. Avevo fatto un semplice ragionamento. Mitterrand non poteva perdere, tra i due turni un solo voto dei suoi elettori del primo. Bisognava quindi concentrare tutto il nostro sforzo sui tre settori della popolazione che gli erano più sfavorevoli: le donne (i sondaggi davano Giscard come il più sexy), i giovani agricoltori arrabbiati e la terza età. Quella del conservatorismo. Tirai fuori quindi tre belle foto-simbolo: una donna che allatta, un adolescente che porta il trattore ai campi e una coppia di pensionati, mano nella mano. Il titolo era lo stesso per tutte e tre le immagini: “François Mitterrand, siate il nostro presidente”.
Audour si incaricò di presentarle allo stato maggiore del Partito. La riunione si svolse nella cucina di Mitterrand. Lui fu entusiasta, ma sua moglie Danielle e sua cognata, Christine Gouze-Reynal, arricciarono il naso: “François, gli dissero, non puoi non farti vedere su un manifesto di questa importanza. Ci si aspetta di vedere te, non i tuoi elettori!”
Mitterrand fece fare allora, in fretta, dal suo pubblicitario di servizio uno sbiadito manifesto che lo presentava più volpone del solito. Nessuno mi impedisce di credere che la mia Madre col bambino, il mio Adolescente ai campi e la mia Coppia eterna gli avrebbero strappato ognuno i voti di centomila loro simili.
Centomila per tre fa trecentomila: i voti che gli mancarono per essere presidente.
* * *
Accettate le mie due condizioni preliminari, il primo incontro si svolse a casa di Mitterrand, in rue de Bièvre. Mi aspettavo di vedere un appartamento insignificante. Entrai in un hotel particulier. Ascensore privato e mobili chiari, era il Programma comune del contemporaneo e dell’antico. Ebbi un riflesso stupido da francese medio: dunque il papa della sinistra viveva con i mezzi raffinati della gente di destra! Sacrilegio. Per maggior vergogna, mi ricordai di una risposta di Bob Dylan davanti a un giornalista aggressivo che lo trattava da nuovo ricco: “La guida dell’arte non è riservata esclusivamente ai poveri. Guardate Picasso”.
Lo studio del padrone di casa era al terzo piano, sotto i tetti. Travi a vista, intonaco bianco, finestre e montagne di libri, la tana del segretario generale del partito socialista aveva l’aspetto della casa di campagna di un accademico.
François Mitterrand mi misurò con lo sguardo. Questo primo silenzio già parlava. Gli uomini non si esprimono mai tanto intensamente come quando tacciono. Prudenza e pudore erano all’appuntamento.
Il nostro fisico è solitamente la fotografia del nostro carattere. Non per Mitterrand. La sua mente attira. Il suo aspetto sconcerta. Ad ogni istante l’uomo privato e l’uomo pubblico sono presenti. Tutta la stranezza del personaggio viene da questa estrema abilità in un corpo incline alla goffaggine. Mitterrand ragiona alla velocità dell’elettronica mentre i suoi pari pensano alla velocità dell’uomo. Stranamente, questo vantaggio, che in qualsiasi altro campo sarebbe un grande atout, in politica è un handicap. All’uomo piace riconoscersi nei suoi eroi, anche se li vuole sovrumani. Mitterrand è una formula 1 del pensiero. Un motore intellettuale che gira più in fretta degli altri. Ma le formule 1 non sono fatte per le strade nazionali e François Mitterrand ha forse sbagliato vocazione.
Figlio di Proust e Mauriac, la sua strada è anche quella della letteratura. Un’arte in cui il fisico dell’autore non è la condizione necessaria del successo. Prova ulteriore che l’uomo politico, diversamente dallo scrittore, è un prodotto di consumo.
Cominciai senza preamboli:
“Chi è lei, Signor Mitterrand?
– Non si tratta di me, ma del socialismo.
– Certamente, ma del socialismo insieme a lei.
– Sono solo la guida. È la strada che ha importanza....