Sono andata a letto presto
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Informazioni sul libro

Un casolare isolato e un bosco sterminato. Un sentiero, nascosto e poco battuto, per arrivarci. Un uomo che in quel posto nasconde il suo segreto.
È la storia di Clarissa, la protagonista di una vicenda che potrebbe avere dell'incredibile se gli episodi simili non fossero già accaduti, come dimostrano alcuni casi di cronaca e altri fatti dei quali, forse, non verremo mai a conoscenza.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788868821371

Quarta parte

1. Il passato

Passarono due anni nei quali la vita si svolse senza grandi cambiamenti.
Il fatto che le avesse permesso di dormire di sopra, nell'altra camera, rappresentò la novità più importante.
Ma il percorso che aveva portato Clarissa a vivere fuori dal seminterrato e ad avere una stanza tutta sua non si era ancora concluso: c'era ancora un passo da compiere. L'ultimo. Un passo che il suo aguzzino avrebbe affrontato solo quando in Clarissa la rassegnazione avrebbe raggiunto il massimo grado, un livello tale da non compromettere quelli che erano i suoi progetti.
E quel momento, a suo giudizio, era arrivato.
A fargli decidere di compiere quel passo aveva contribuito la reazione avuta da Clarissa quando il signor Castelletti si era presentato in casa sua: Clarissa non aveva gridato quando aveva sentito la voce di quell'uomo e aveva lasciato che la conducesse in cantina senza opporre resistenza.
In quel momento aveva compreso di essere vicino al risultato tanto sperato.
Solo vicino, però.
Sapeva che era ancora presto, che il suo obiettivo non era stato ancora raggiunto, che la rassegnazione in Clarissa non era ancora assoluta. Era consapevole che se non aveva cercato aiuto in quel forestiero era più per il timore della tanto paventata ritorsione nei confronti dei suoi genitori che per una resa dettata dalla rassegnazione.
Era, però, sulla strada giusta.
Presto la sua accondiscendenza sarebbe stata totale.
Non sapeva che quella di Clarissa non era una forma di acquiescenza, ma solo un'estrema cautela. Non sapeva che non era riuscito a sedarla e che lei l’aveva seguito di sopra, nella speranza che si presentasse l’opportunità giusta per farsi aiutare da quell’uomo, senza metterlo in pericolo. Non sapeva che, se non aveva richiesto aiuto, era solo perché l'occasione giusta non era mai arrivata.
E così un lunedì mattina, mentre facevano colazione, lui la guardò e le disse: «sul letto ti ho lasciato dei vestiti.»
Dei vestiti?
A parte i primi mesi di queste cose se ne occupava sempre lei. Era lei, ormai da tempo, a farsi carico di tutto il bucato. Escluse a priori che le avesse lavato e stirato qualcosa.
Forse le aveva comprato dei vestiti nuovi?
Quando entrò in camera, lo sguardo le cadde subito sulle scarpe che aveva lasciato ai piedi del letto. Non erano le solite pantofole che usava in casa: erano dei sandali, di quelli con i lacci che si avvolgono intorno alle caviglie. Era da tempo che non vedeva scarpe del genere, non si usavano più da un pezzo. Ricordava di averle viste indosso alla madre, quand’era ragazzina, ma adesso erano fuori moda. Alzò lo sguardo e, adagiato accuratamente sul letto, a fare bella nostra di sé, c'era un vestitino semplice, bianco, con dei fiorellini stilizzati. Sembrava che anche quel vestito fosse dello stesso periodo dei sandali.
Aveva saputo dell’altra ragazza rapita, e della tragica conclusione di quel rapimento. Eppure faceva fatica a credere che quei vestiti fossero i suoi. Quella ragazza era stata rapita solo qualche mese prima di lei, quei vestiti, invece, non si usavano più da almeno dieci anni. È vero, potevano essere della madre o della sorella maggiore che glieli avevano passati: ma anche fosse stato così, le sembrava strano che una ragazza della sua età non seguisse almeno un po' la moda.
A chi potevano appartenere, allora?
Forse il suo carceriere non era stato sempre solo?
Forse aveva avuto una moglie?
E in quel caso che fine aveva fatto?
La sua intuizione era corretta, quel vestito non apparteneva a quella ragazza, ma nemmeno alla moglie del suo aguzzino, perché non ne aveva mai avuto una. C’era stata una donna nella sua vita, ma quella storia era finita tanto tempo fa. Quando Nick - dopo sue insistenze le aveva detto di chiamarsi così, anche se non credeva per nulla che fosse il suo vero nome - il Nick di paese e non il Nick lupo solitario, ancora ragazzo, frequentava un gruppo di coetanei.
Se qualcuno avesse raccontato a Clarissa questo lato della vita del suo persecutore, sicuramente non avrebbe creduto alla veridicità di quelle affermazioni. Nick, infatti, non solo frequentava un nutrito gruppo di amici, nel quale, peraltro, si trovava completamente a suo agio, ma addirittura ne era il leader. Era accaduto in modo naturale senza che avesse mai fatto niente per ottenere quel ruolo: non si era proposto, né tantomeno aveva imposto niente a nessuno; era semplicemente successo.
Da quando era entrato nel gruppo, si era distinto da subito per le sue doti d’intrattenitore: raccontava in continuazione aneddoti e storie divertenti, riusciva in modo naturale ad attirare su di sé l'attenzione di tutti. Ci sapeva fare, i suoi amici pendevano letteralmente dalle sue labbra quando raccontava quelle storie.
Ma, soprattutto, era stato considerato da tutti un capo naturale per la sua infinita generosità. Non si tirava mai indietro quando c’era da spartire le sigarette o da anticipare i soldi per una birra, così come non si tirava indietro quando c'era da aiutare qualcuno in difficoltà.
Nick non si sarebbe mai aspettato di diventare il capo di una comitiva di coetanei. Non pensava minimamente di avere quelle caratteristiche, di riuscire a far presa su quelle persone, di avere la capacità di guidare e prendere decisioni per quel gruppo: era la prima volta che socializzava con qualcuno dopo gli anni passati in solitudine a seguito della perdita dei suoi genitori. Non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito a integrarsi in quel gruppo, non avrebbe mai immaginato di diventarne addirittura il leader.
E invece non solo si trovava bene in quel ruolo, ma addirittura gli sarebbe mancata terribilmente quella carica, nel caso l'avesse persa.
Ne acquisì consapevolezza quando scoprì una cosa che sulle prime lo sconcertò.
Accadde quando, una sera, una ragazza del gruppo portò con sé alcuni suoi amici nella speranza che entrassero a far parte della compagnia.
Fin qui nulla di strano, era successo altre volte che fossero proposte nuove persone da inserire nella comitiva: era in quel modo che il gruppo si era ampliato nel corso del tempo arrivando a essere composto da quasi tre decine di ragazzi rispetto alle poche unità che ne facevano parte inizialmente. Ed era in quel modo che Nick era entrato a far parte di quella combriccola, portato da una sua amica conosciuta ai tempi della scuola.
Fin qui nulla di strano, quindi. Eppure qualcosa non andava.
Tra i nuovi arrivati c’era un ragazzo che, da subito, aveva minato la sua tranquillità. Un ragazzo che, anche se non di proposito, era entrato in competizione con lui. Tutto era avvenuto per le sue qualità, per la sua giovialità e allegria. Era un vero buontempone, le sue beffe erano nutrite ma non scadevano mai nella volgarità; quelle facezie non portavano mai alla noia né erano moleste.
Così in poco tempo fu in grado di canalizzare su di se l’attenzione dell’intero gruppo.
Nick provò una strana sensazione nel vedersi rubare la scena. Accusò una particolare forma di disagio. S’isolò dal gruppo, diventando cupo e silenzioso.
Gli altri sembravano non essersi accorti di nulla, tanto erano presi dalla vitalità di Paolo, il nuovo venuto, che sembrava pronto a espugnare il suo regno: regno che non aveva né preteso né richiesto, ma che la perdita gli stava facendo provare una terribile sensazione di malessere.
Eppure era solo una sua impressione, per quanto fossero attratti dalla vivacità di Paolo, i suoi amici non avevano mai smesso di considerarlo il loro capo. Solo che adesso l’attenzione si era spostata sul nuovo venuto, come se qualcuno avesse posato una calamita nelle vicinanze di una bussola, modificando la direzione dell’ago.
Quel malessere aumentava ogni giorno di più, fino a quando non fu raggiunto il punto di rottura.
Prima di prendere quella decisione, Nick ci pensò su parecchio.
Valutò le alternative possibili.
L’unica che sembrava praticabile era l’allontanamento di quel ragazzo. Solo che non avrebbe mai potuto prendere un provvedimento del genere. Se l’avesse fatto, sarebbe stata un’azione talmente impopolare da portarlo ad avere tutti contro. Non avrebbe avuto motivo di proporre una cosa del genere, quel ragazzo era simpatico a tutti, avrebbe ottenuto come solo risultato una sommossa che l’avrebbe costretto ad abdicare. E Paolo non si sarebbe lasciato scappare l’occasione di occupare il posto del suo antagonista.
E allora, se non poteva più far parte della comitiva - perché mai sarebbe rimasto come semplice comparsa, o come un qualsiasi figurante; perché mai sarebbe rimasto se avesse dovuto rinunciare al ruolo da protagonista - che cosa gli impediva di vendicarsi di quel ragazzo che gli aveva rubato la scena, rompendo quell’idillio? E mentre faticava a trovare il modo di riprendersi la ribalta, rompicapo che sembrava non avere soluzione, gli fu facile immaginare una serie di modi per mettere in atto i suoi propositi di ritorsione.
Ma la buona stella di Paolo fece si che Nick non portasse mai a compimento i suoi intenti vendicativi. Perché un sentimento contrario a quello provato nei confronti del suo rivale, un sentimento radioso, si insinuò nel suo animo.
Era l’amore.
In quella tornata, infatti, era stata decretata l’ammissione nel gruppo anche di una ragazza. Una ragazza nei confronti della quale Nick provò da subito un trasporto totale.
Si chiamava Adele.
In principio Nick non le era per niente simpatico: era troppo estroverso per i suoi gusti. Si vedeva che provava piacere a essere al centro dell’attenzione, mentre lei, al contrario, era piuttosto schiva, non faceva altro che sfuggire dalla curiosità degli altri. Fosse stato per lei, non sarebbe mai entrata in un gruppo, solo che non aveva saputo vincere le insistenze della sua amica che aveva voluto a tutti i costi farla entrare in quella comitiva.
Non ce l’aveva con l’amica, sapeva che se aveva insistito tanto era solo perché ci teneva a lei, perché non sopportava che se ne stesse sempre sola, in disparte, rifiutando la compagnia di chiunque.
Ma quello era il suo carattere, era fatta così, non poteva farci niente. Lo capirono presto anche gli altri, soprattutto i ragazzi, che col tempo avevano imparato a non stuzzicarla troppo, che se voleva starsene in disparte era meglio lasciarla stare e non disturbarla. L’avevano imparato dopo aver assistito ad alcune sue esplosioni d’ira.
In particolare ciò che non sopportava nelle compagnie erano quei ragazzi che facevano di tutto per mettersi in mostra, per attirare l’attenzione. E se questo poteva piacere alle altre, a lei non interessava minimamente. Se qualcuno mostrava interesse, lei se ne infastidiva. Se quel qualcuno, poi, iniziava a fare lo scemo per attirare la sua attenzione, rendendola ridicola (a suo modo di vedere) agli occhi degli altri, allora perdeva completamente il lume della ragione e iniziava a urlare e inveire come un'indemoniata.
Non capitò molte volte, ben presto se ne guardarono tutti bene da azzardare un approccio di quel tipo.
Ma nel giro di poco qualcosa cambiò.
Quello che sembrava essere il capo di quella compagnia nella quale era stata introdotta controvoglia, quel ragazzo così spigliato e allegro che quasi incantava la platea che faceva capannello quando aveva da narrare le sue bravate o qualche altro avvenimento, d’un tratto s’incupì.
Diventò taciturno e introverso.
A dirla tutta, sembrava triste.
Se aveva apprezzato che, a differenza degli altri ragazzi, lui almeno non aveva tentato un approccio in quel modo che riteneva veramente scontato e infantile, adesso provava una sorta di attrazione nei suoi confronti. Benché la sua iniziale vivacità non avesse generato in lei sentimenti positivi, provava quasi pena per questa sua trasformazione. Se era avvenuta, era perché qualcosa doveva essere successo. Qualcosa di spiacevole, se si era spento come un rogo ormai esaurito che sprigiona gli ultimi crepitii prima di consumarsi definitivamente.
S’incontrarono nel loro rispettivo isolamento. Comunicarono con i loro silenzi. Si guardarono, senza incrociare i loro sguardi.
Nick aveva deciso di venire fuori da quel gruppo dopo la perdita del suo ascendente sui compagni, Adele avrebbe preferito non entrarci mai: le loro strade si unirono mentre entrambi si allontanavano dagli altri.
Ad accomunarli erano le loro rispettive debolezze. Nick con quel disagio che mostrava quando l’attenzione di tutti non era focalizzata su di sé; Adele con la sua ritrosia mutuata da un passato di delusioni.
Solo loro erano in grado di capirsi, gli altri non ci riuscivano. Non era per cattiveria. Non è che non volessero, o che non ci provassero: era che proprio non erano capaci di farlo. Non erano in grado di entrare in sintonia così come avevano fatto loro due. Non erano in grado di comprendere la loro intima sofferenza.
Quella storia non durò molto.
Per quanto fossero entrati in sintonia, per quanto fossero riusciti a comprendere le loro rispettive solitudini, non riuscirono a compenetrarsi completamente.
In particolare fu Adele a non aprirsi del tutto, fu lei a non essere in grado di vincere quel malessere esistenziale, quel disagio che l'avrebbe portata a gettare la spugna.
Ma questa è un'alta storia, accaduta in un'altra città e in un altro tempo. Una storia che trovò la sua conclusione qualche anno dopo la fine della loro relazione.
Una storia che Nick non conobbe mai perché aveva deciso di non volerne sapere più niente di lei. Perché per lei aveva provato amore vero. Un amore che era durato a lungo, anche dopo che l'aveva lasciato.
Non riuscì mai ad accettarlo.
Aveva dovuto rassegnarsi, per forza di cose, al fatto che i suoi genitori l'avessero lasciato per sempre. Aveva dovuto accettare che ai suoi amici di lui non importasse niente.
Ma che ad abbandonarlo fosse stata lei, no, questo proprio non riuscì ad accettarlo.
Non ebbe più altre storie; se capitava qualche incontro, faceva in modo di troncare sul nascere ogni possibile implicazione.
In seguito fu lui a scegliersi le ragazze e a seppellire, con loro, quella storia.
Clarissa aveva ragione. Quei vestiti non appartenevano alla ragazza rapita prima di lei. Non sapeva, però, che appartenessero a un'al...

Indice dei contenuti

  1. Prima parte
  2. Seconda parte
  3. Terza parte
  4. Quarta parte
  5. Epilogo