Distanze Impercettibili
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Distanze Impercettibili

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Distanze Impercettibili

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Informazioni sul libro

Aurora sta tornando a casa, nella sua adorata Lecce, il suo lungo viaggio in treno termina con una sorpresa, un vecchio abbandona uno strano diario sul sedile... la ragazza decide di prenderlo spinta dalla curiosità e scende di corsa dal treno. Ecco che comincia il viaggio attraverso tempi paralleli che per quanto lontani
sembrano continuare a sfiorarsi e quasi toccarsi... Aurora legge il diario tuffandosi nella vita di quel vecchio settant'anni e al contempo vive quella che sarà l'estate più intensa particolare della sua vita. Tempi diversi pieni di realtà e abitudini contrastanti, ma separati in fondo da "distanze impercettibili", quelle che
legano il significato profondo di questo racconto.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788868821739

1.

Un sorriso spuntò spontaneo sul volto di Aurora appena posò i piedi giù dal treno, finalmente era a casa! Iniziò a guardarsi intorno in cerca di un volto conosciuto, sapeva che sicuramente suo padre sarebbe stato lì ad aspettarla ma con sua enorme sorpresa il suo sguardo incrociò due enormi occhi castani che non erano sicuramente quelli del padre, il suo cuore iniziò a battere forte, sembrava quasi volesse uscirle dal petto, la gioia irrefrenabile spinse fuori dalla sua gola un urlo
-Andrea!
Gli corse incontro abbracciandolo, lo stringeva con forza, come se quell'energia eccessiva che saldava la presa potesse esprimere la gioia che provava rivedendolo.
-Che bella sorpresa, come facevi a sapere a che ora arrivavo? Mi sei mancato così tanto!
-Ho avuto una soffiata da tua madre. - Disse il ragazzo sorridendo teneramente, poi la strinse ancora una volta e aggiunse - Mi sei mancata tanto anche tu.
La felicità del rivedersi donava loro un senso d'estasi, i loro volti si illuminavano dei sorrisi che esplodevano spontanei nella soddisfazione di quella trepidante attesa di ritrovarsi che era finalmente stata soddisfatta. Andrea prese con galanteria le due enormi valigie della ragazza, arrivati all'auto iniziò a spingerle e schiacciarle energicamente per farle entrare nel cofano, ma le loro eccessive dimensioni gli creavano evidente difficoltà, quando finalmente riuscì a chiudere il cofano tirò un respiro di sollievo
-Uff! Ma ti sei portata dietro tutto il guardaroba?
-Mm... non proprio... però sai come sono nell'indecisione prendo tutto.
-Mi sembra giusto - sorrise - dai sali in macchina, andiamo subito a prendere un maxi gelato dal caro vecchio Bruno per festeggiare il tuo ritorno.
-Tu si che sai cosa mi rende felice, Bruno arriviamo! - Esclamò la ragazza elettrizzata - Prima però devo farti una domanda seria.
-Partiamo già dalle domande serie, dimmi tutto.
-Indossi il cappellino perché hai di nuovo fatto qualcosa di strano ai tuoi capelli vero? È peggio del caschetto alla Nick Carter di qualche anno fa?
-Non ti smentisci mai Aurora, avevo 14 anni e… beh andiamo a prendere questo gelato.
-No! Ho ragione! Fammi vedere cos’hai combinato, togli subito quel berretto.
-E va bene… tanto prima o poi dovrai vedere, ecco qui.
Il ragazzo tolse il berretto quasi timoroso, con estrema lentezza, consapevole della reazione che avrebbe avuto la ragazza e di quanto l’avrebbe deriso... non si sbagliava! Dal berretto spuntò fuori un ciuffo biondo chiaro tirato indietro e un taglio stravagante e asimmetrico, le gote del ragazzo si tinsero di rosso nell'imbarazzo di subire lo sguardo giudice dell'amica, sistemò il ciuffo da un lato come lo strano taglio richiedeva e guardò Aurora in attesa del suo verdetto.
-Oh mio Dio! Non ci posso credere… sei biondo! Come ti è venuta in mente una pazzia del genere? - disse Aurora sorpresa e al contempo divertita
-Dai sto bene, ho ricevuto molti complimenti, non ti piacciono proprio? - disse lui abbassando lo sguardo
-Posso chiamarti Ken? - disse sghignazzando la ragazza - Mi ricordi il mio pupazzo Ken che avevo da piccola, lo ricordi? Con i capelli biondi tirati da un lato e perfettamente in ordine.
-Ahah! Si mi sono ispirato a lui. Davvero non ti piacciono?
-Ma no stai bene, tu sei bello sempre e comunque mio Ken!
Andrea e Aurora potevano stare lontani per mesi ma quando si ritrovavano tutto continuava dal punto esatto in cui l’avevano lasciato, era come se lei fosse sempre stata li e nulla fosse cambiato. Il maxi gelato da Bruno era il metodo che Andrea usava per far tornare il sorriso alla sua amica ogni volta che questa era giù di morale, quella volta servì a farla sentire ancora più serena. Parlarono ininterrottamente per un’ora che gli sembrò una manciata di minuti, chiacchierarono di tutto e niente… non avevano bisogno di grandi discorsi il tempo quando erano insieme volava.
È strano rendersi conto di come riusciamo ad apprezzare realmente le cose solo quando sono lontane da noi… non è un discorso che vale solo nei rapporti, vale anche per la propria terra, per la propria casa, non solo perché è un posto pieno di ricordi, arriva a mancarti come fosse parte di te…perché probabilmente lo è davvero. Aurora riusciva a rendersi pienamente conto solo adesso di quanto le mancasse il posto in cui era cresciuta e la sua casa, a quei luoghi appartenevano tutti i suoi ricordi e sicuramente in loro risiedeva parte di ciò che era diventata, si inebriava di quei sapori e di quegli odori tipici delle sue vecchie abitudini che per tanto tempo aveva dato per scontate e solo ora riusciva realmente ad apprezzare.
La sofferenza maggiore nell'andare via da quel paesino vicino Lecce fu appunto separarsi da Andrea, lui era il suo migliore amico. I due avevano un legame fortissimo, si conoscevano da sempre, sin da quando il primo giorno di scuola elementare misero i loro banchi uno accanto all'altro e le lacrime disperate del bimbo commossero Aurora al punto da regalargli la sua gomma a forma di macchinina per farlo smettere. Erano cresciuti insieme, lui l'aveva rialzata da terra ogni volta che si era sbucciata un ginocchio nel tentativo di stargli dietro mentre correva e lei aveva assistito ad ogni scandaloso taglio di capelli che negli anni avevano abitato la testa del ragazzo... li legava un bene fraterno e profondo. L’unica ombra nel loro limpido rapporto abitava in qualcosa che Andrea non riusciva a confessare alla sua amica, per lui iniziava a diventare un peso insostenibile la consapevolezza di quel segreto tenuto ormai da troppo tempo, sentiva di non poter più tacere, sentiva che era giunta l’ora di liberarsi del peso di quel silenzio… gliene avrebbe parlato in quei giorni doveva solo aspettare il momento giusto.
-Questa dev’essere Aurora!
Il campanello non fece in tempo a suonare che la madre della ragazza si precipitò ad aprire. Iniziò a correre per casa per arrivare in fretta alla porta, seguita da suo marito che però cercava di mantenere contenuto l’entusiasmo e si limitava a camminare a passo svelto.
-Ciao famiglia! - Disse Aurora sorridendo.
-Vieni qui fatti abbracciare. - Esclamò la donna, dai suoi occhi traspariva l'entusiasmo del poter finalmente stringere la sua piccola - Hai mangiato? Ti ho cucinato la parmigiana!
-Oh mamma ti adoro! La divorerò tutta!
-È andato bene il viaggio? - Incalzò il padre dandole un bacio sulla guancia e accarezzandole teneramente il viso. Lui era un omone di quasi due metri massiccio e scuro, i suoi capelli riccioluti un tempo nero corvino ora iniziavano a ingrigirsi e anche i suoi baffi iniziavano a perdere la tonalità scura ma restava un bell'uomo. Anche lui era estremamente contento di rivedere sua figlia ma non amava mostrare il suo lato tenero... anche se quando si trattava di Aurora non gli riusciva bene trattenersi.
-Si è stato lungo ma tutto sommato è andato bene dai… l’importante è che ora sono qui.
-Andrea non scende a mangiare con noi?
-No, aveva un impegno, vi manda i suoi saluti.
Aurora adorava la sua famiglia, si era sempre sentita molto fortunata per lo splendido rapporto che aveva con i suoi genitori e adorava tornare a casa e farsi coccolare da loro.
Dopo aver mangiato e aver fatto una lunga doccia rilassante si sdraiò sul letto esausta. Era troppo stanca per uscire, osservava intorno a lei i dettagli della sua cameretta... anche quella era riuscita a mancarle. Le piaceva la sensazione di sicurezza che le provocava l'essere tornata a casa, mentre si perdeva tra i pensieri e i ricordi le tornò alla mente il quaderno che aveva preso nel treno. Voleva saziare la sua curiosità così lo prese e tornò a sdraiarsi sul letto. Lo studiò per bene esternamente prima di aprirlo, era conservato in una fodera in pelle nera abbastanza consumata dal tempo, di un nero oramai sbiadito, un elastico cucito agli estremi della parte posteriore della copertina ne attraversava verticalmente la parte anteriore tenendo chiuse le pagine. Sfilò l’elastico, un corsivo ordinato e tondeggiante riempiva le pagine ingiallite, iniziò a leggere.
Quanti sbagli conosce la vita di un uomo? Credo di aver dimenticato più della metà dei miei... peccato che non si possano dimenticare tutti, peccato che alcuni riescano a diventare tormenti e assillanti mi seguono ovunque vada...
Sono cresciuto in una realtà diversa da quella di oggi, un epoca scomoda, difficile.
Il 30 gennaio 1939 venivo al mondo, lo stesso giorno in cui al Parlamento tedesco il discorso di un folle, Adolf Hitler, dava il via quello che sarebbe stato il più grande scempio e flagello che l'umanità ha conosciuto.
Non ricordo molto della guerra, ero troppo piccolo, ma l'ombra che ha lasciato al suo passaggio quella non potrei dimenticarla... mi ha segnato ed è l'unica motivazione che riesco a darmi per giustificare ciò che sono oggi.
La miseria ha accompagnato la mia giovinezza, ho conosciuto la fame che ossessiva porta a compiere le azioni più disparate.
Mio padre era un contadino, le sue mani erano dure come pietra e segnate dal lavoro a cui dedicava gran parte della sua giornata ma quando tornava a casa con la schiena a pezzi trovava sempre un po' di tempo per chiacchierare con me, mi sembrava invincibile, dalla sua bocca non ho mai sentito un lamento, mi capitava di origliare durante la notte le sue preoccupazioni bisbigliate a mia madre riguardo il poco cibo e i pochi soldi ma ci teneva a non farmi sentire ne pesare la nostra situazione, continuava sempre a sorridermi nonostante tutto ed io fingevo di non capire. In quel periodo a causa della carestia provocata dalla guerra il regime impose l’uso di una tessera per acquistare i beni di prima necessità, in modo da permettere un equa distribuzione dei pochi alimenti presenti… ma il cibo era sempre troppo poco e la fame assillante. Il razionamento del cibo portava alla confisca dei generi alimentari raccolti dai contadini e quindi mio padre era costretto a nascondere quel poco che la terra gli donava, nascondeva il misero raccolto nel suo carretto sotto la legna... eravamo costretti a rubare ciò che era nostro, ricordo come fosse ieri il suo rientro a casa e la gioia nel conservare la refurtiva. Gran parte del vicinato non aspettava altro che aiutarci a far presto per svuotare il carretto ed entrare il cibo in casa, ovviamente lo faceva sperando in una ricompensa, la fame attanagliava tutti, ma mio padre era generoso e anche se avevamo molto poco per noi donava sempre qualcosa a chi aveva ancora meno.
Come ho già detto la miseria porta a compiere gesti sconsiderati... soprattutto se negli anni accompagna il tuo cammino senza dare un attimo di sollievo, all'epoca la gente contrabbandava di tutto, farina, grano... mio padre per placare i lamenti dei nostri stomaci iniziò a contrabbandare polvere da sparo e la prendeva dalle bombe inesplose che ...

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