Travolto da una insolita slavina mi sono messo a parlare con Dio
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Travolto da una insolita slavina mi sono messo a parlare con Dio

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Travolto da una insolita slavina mi sono messo a parlare con Dio

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Ignazio De La Luz e il suo amico Fernando Interrato vengono travolti da una slavina durante un'escursione in alta montagna. I due trovano rifugio in una grotta dove passano diverse ore prima che arrivino i soccorsi. In quelle ore Nanni (Ignazio) rivive i momenti della sua vita raccontandoli all'amico che nel frattempo, caduto in ipotermia, è scivolato in uno stato di coma irreversibile. Attanagliato dal freddo e dalla fame il protagonista di questo racconto passa da momenti di lucidità a momenti di estasi in cui, vedendosi già morto, inizia a parlare con Dio interrogandosi sui perché della vita. Il finale a sorpresa è garantito.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788868822781

Travolto Da Una Insolita Slavina Mi Sono Messo A Parlare Con Dio

...mai possa l'uomo vivere con la sola strana dottrina e con un solo Dio
Il pensiero volge lo sguardo nella profonda immensità del dono che tu, Dio, regali all'uomo.
Io, uomo, rinchiuso come belva inferocita dentro la malinconia della fragile e vecchia gabbia di bianche e grigie ossa che avvolge le membra ormai putride. Non oso pensare al sommo Crono che tesse e ritesse con sapiente maestria sulla nera tela il filo rosso della vita. Senza capo, senza coda. Filo nato dal primordiale bozzolo emanato, poi nutrito e cresciuto nel caotico fragoroso nulla. Gocce di fermento esistenziale mi pervadono cercando e ricercando la giusta risposta alla domanda se credere in qualcosa o in qualcheduno al quale io, uomo, possa sorreggermi. Nettare amaro attinto dalla mera illusione nel volgere lo sguardo all'interno della cesta della vita intrecciata con sciami di umani pensieri, ritorti e rigirati su se stessi. La vita, la morte e poi ancora la vita. Poi subito la morte. Vorrei dare un senso a tutto e vivere d'incanto. Ma continuo a navigare in mezzo a questi spumeggianti flutti di lacrime che si infrangono sull'anfratto dello scoglio della gioia; spesso nel dolore. L'attesa è esistenza vana. Sperando di scampare chiedendo redenzione in ogni dove, pur sempre a ogni costo.
Io, uomo, devoto nello spirito ma confuso nella mente. Arde il mio cuore davanti a te, Dio. Brucia come ceppo di quercia solitario avvolto nell'acre fumo di ramoscelli rinsecchiti e maltagliati, spezzati per metà. Canta il mio cuore a te, Dio, l'inno alla dolce e ancestrale melodia del viaggio percorso a ritroso nel tempo. Tempo divenuto oramai insaziabile assassino.
Ma l'effetto furibondo di una vita senza senso inonda ogni singola cellula disintegrandola fin dentro l'infinito dell'atomo sornione che attende con giudizio l'aberrante segnale di imminente deflagrazione. Intima, interiore. Mi dicono sia vero possa esistere qualcosa o qualcheduno a cui si debba demandare la giusta soluzione al fine di conoscere il senso delle cose, il senso della vita. Che sia un unico Dio. O che sia uomo o animale. O albero o batterio, financo una vibrazione. Di certo già convive nel pensiero-forma di metafisica trascendenza che occupa lo spazio illimitato dentro il tempo.
Mens super omnia, mens insita in omnibus. Ti do atto, Dio, che vivi in noi in veste di presunta proprietà dell'umana specie. Non hai occhi per vedere ma vedi attraverso i nostri occhi. Non hai orecchie per sentire ma ascolti attraverso le nostre orecchie. Non hai voce per parlare ma parli attraverso le nostre voci. Non hai corpo per esistere ma esisti attraverso i nostri corpi.
Vive in me la necessità di dare un nome e poi un cognome alle cose. Di voler esprimerle con un significato. Di poter credere che tutto sia scindibile. Così rinasco in questa mia preghiera. Inesauribile, inossidabile. Fonte ineguagliabile di approvvigionamento di cosmica energia. Scompongo il tuo nome, Dio. D'io. Parte di me, della mia esistenza, del mio sé, dei miei ma. Entro con te nell'energia positiva e costruttiva. Ed ora armiamo le genti con la sana e nutriente consapevolezza che alimenta il ciclo continuo della vibrazione madre. E tutto si trasforma nel lento divenire delle cose. La percezione della vera verità illumina la rotta rendendo dolce, financo amena, questa lunga traversata. Un filo bianco di speranza avvolge la pura essenza in questo nostro perpetuo eterno navigar...
« Dio santo! Non voglio morire proprio adesso...Fernando, Fernando mi senti? Dai, coraggio. Fai un bel respiro. Proprio così, bello profondo. E uno. E due... » , sussurrò Ignazio con la bocca impastata di neve mista a fango.
« Resisti Nando. Resisti cazzo! Ora provo a chiamare i soccorsi. Vedrai che prima che faccia buio arriveranno e ci porteranno via da questo inferno », mormorò all'amico con un filo di voce cercando di liberarsi dall'ammasso di neve ghiacciata che lo imprigionava per più della metà del corpo.
Ignazio e Fernando erano stati colti di sorpresa e sotterrati fino al collo da una fottuta slavina, lassù, sul crinale del sentiero della Civetta che portava al rifugio Vittorio Emanuele.
Fernando ansimava a ritmo intermittente. La gamba destra era completamente bloccata. Attanagliata in una morsa che andava sempre più restringendosi ogni qualvolta provava a disincagliarla. Si capiva che aveva sbattuto la testa contro qualcosa di non particolarmente duro o di grosse dimensioni considerato che non presentava nessun segno di ecchimosi.
La tormenta di neve imperversava a spron battuto oscurando completamente la vista.
Ignazio aveva tutte le nove dita delle mani anchilosate e fare presa diventò difficile. Questo complicò maggiormente il tentativo di estrarre dallo zaino ancorato sulle spalle la borraccetta di alluminio che conteneva poco più di un sorso di grappa schioppettina. Con una manovra da abile contorsionista riuscì a ruotare di centottanta gradi il gomito destro. Infilò la mano nel taschino a reticella aiutandosi con un improbabile quanto prolungato allungamento dell'avambraccio fino a raggiungere la massima estensione procurandosi di conseguenza una dolorosissima lussazione alla spalla.
Prese tra le mani la testa di Fernando. Provò a sollevarla di una decina di centimetri, forse venti, dalla coltre ghiacciata e fece scivolare sotto il collo il cuscinetto da campeggio arrotolato. Avvicinò il becchetto della fredda borraccia al labbro tumefatto e ormai già divenuto completamente viola.
« Dai Nando, butta giù. Questa ti fa bene. Bevi un sorso. Vedrai che ti sentirai meglio. »
« Nanni, ce la faremo? », sussurrò Fernando a occhi chiusi, con voce tremolante.
In quel momento Ignazio non riuscì a essere sincero. Le speranze erano davvero finite. Non poteva chiamare i soccorsi visto che il cellulare era completamente distrutto e la pistola lanciarazzi era rimasta inspiegabilmente dentro lo zaino di Alex. Le condizioni atmosferiche erano proibitive e non potevano di certo aiutarlo. Neve, freddo e ghiaccio in ogni dove con la temperatura che sfiorava di mezzo grado i meno venticinque.
« Certo Nando, non ti preoccupare. Ora pensa solo a tirare fuori la gamba. Dai che ce la facciamo», lo incoraggiò con tono fermo e deciso.
Si fece forza. Legò una corda di canapa intorno alla vita di Fernando. Si sfilò i guanti a mezzo dito completamente ghiacciati, freddi più del marmo. Nonostante l'acutizzarsi della insensibilità delle mani incominciò a scavare intorno alla gamba imprigionata dell'amico. E il dolore lancinante alla spalla aumentò d'intensità. Si muoveva come un forsennato. Senza pensare, senza fare calcoli. Preso unicamente dalla foga di dissotterrare la gamba di Fernando. Afferrò la corda di canapa con la mano destra, la fece glissare sulla sinistra e tirò. Più tirava e più vedeva che il corpo di Fernando scivolava verso di lui. Ormai stremato, senza fiato e forze, cadde a terra. La faccia a muso duro nella neve. Si girò. Fece un lunghissimo e interminabile respiro. Prese la borraccia tra le mani e bevve l'ultima stilla rimasta.
Anche la tempesta tentò di aiutarli rallentando leggermente la intensità.
Si vedeva meglio, ma ancora poco. Ma soprattutto si riusciva a respirare un po' di più senza tenere indossato il passamontagna termico completamente irrigidito dai candelotti di ghiaccio che lo facevano rimanere appiccicato al viso incollandolo. Quello che rincuorava maggiormente era vedere che Fernando stava meglio. Certo le condizioni non erano delle migliori, se non dire disperate, ma il fatto che fosse riuscito a liberarsi dalla morsa lo aveva fatto reagire recuperando quel briciolo di energia e di forza necessaria per evitare lo sfioramento della ellittica e inesorabile traiettoria della nera falce mietitrice, lì pronta e in agguato.
La vecchia Signora, vigile, sempre attenta a banchettare con le anime delle sue prede, quella volta dovette proprio desistere e mollare il colpo. Dover rimandare nel tempo l'ineluttabile incontro con Fernando e Ignazio non le piacque proprio. Lei che amava la precisione e la puntualità, si risentì di quel mancato doppio amplesso. Difficilmente falliva. L'utilizzo delle più svariate tecniche persuasive era sempre stato il suo forte; da una vita. Prima si faceva presentare, come una grande nobildonna, con eloquenti segnali, più o meno diretti, ma pur sempre inequivocabili. Ammaliava con lo sguardo. Avvolgeva con maestria le inanimate membra dei prescelti tonificando il loro dolore fino a trasformarlo in piacere.
Poi, con suprema forza e rapidità, estraeva di scatto la lama da sotto il nero mantello mostrando la cruda essenza dello scheletrico corpo ormai putrefatto. Taglio riuscito, missione compiuta. Il bacio finale suggellava il candido incontro. Le labbra sfioravano l'ennesimo anonimo amante ormai posseduto. La voce suadente pareva sussurrare parole di laconico addio:
« Ti stavo aspettando », sussurrava ogni volta la Morte.
Ma qualcosa o qualcuno la fece scappare quella sera. Un grido di donna, forse. Un urlo di disperazione, di sicuro. Poi una voce altisonante sovrastò la coltre ghiacciata squarciando le cangianti nuvole cariche di neve. Tutto sembrò fermarsi per qualche secondo.
« Vattene via! Torna da dove sei venuta, vecchia! Non è ancora giunto il momento. Ci penso io a quei due poveracci laggiù. Pussa via, che porti pure sfiga. Menagramo insaziabile. »
« Lasciamene almeno uno », sussurrò la morte, intristita.
« Fernando, Fernando... hai sentito anche tu quelle voci? »
« Sì, le ho sentite. Ma deve essere stato il vento, Ignazio. Dobbiamo andare via da qui. Non è cosa...ci faremo divorare dalla neve, muoviamoci. »
Si trascinarono tutti e due a passo di leopardo per diversi metri lungo il crinale che sovrastava uno spaventoso e profondo dirupo. Il transito era maledettamente stretto. Poco più di una cinquantina di centimetri di larghezza, forse meno. Strisciavano come due serpenti feriti, uno in fila all'altro. Ignazio in testa. Fernando dietro legato alla corda di canapa che teneva saldamente cinturata in vita. Cercarono di accelerare i movimenti per raggiungere il rifugio il più rapidamente possibile anche se la temperatura stava ulteriormente ribassando rendendo il vento più tagliente. Da lì a qualche minuto sarebbe discesa la notte.
« Nanni, Nanni, guarda laggiù, a destra. Lo vedi ? », disse con tono concitato.
« Cosa, Fernando? »
« Proprio lì a dieci metri da noi, verso destra. In quella rientranza. Sembra ci sia un pertugio laggiù. Un riparo, non so cosa diavolo sia. Non lo vedo bene. »
Ignazio guardò in basso, verso destra, e intravide una roccia nera o qualcosa di simile che bucava la bianca coltre facendo emergere un fazzoletto di terra brulla mescolata a neve.
« Si, ora la vedo Nando. Ma se ci rotoliamo giù rischiamo di finire nel burrone. Non si può' fare. Come possiamo...come facciamo a risalire da lì? », urlò strappandosi di dosso un lembo del passamontagna.
« Nanni che cosa abbiamo da perdere? Non possiamo fare altro. Il rifugio È ancora troppo lontano. Non ci arriveremo mai. Muoviti e non fare storie, seguimi. »
Era arrivato giusto a sillabare l'ultima parola che già si era rigirato sul fianco destro e sparito nel vuoto trascinando inevitabilmente Ignazio dietro di lui. Il rotolamento fu brevissimo e nell'arco di quattro, al massimo cinque secondi, si ritrovarono con i corpi ammassati l'uno sopra l'altro. Furono attimi di buio totale seguiti da un intenso accecante e bianco bagliore. Come fosse una luce alla fine di un tunnel. Quella luce che molte persone dicono di poter vedere nell'istante del più o meno glorioso trapasso.
Ma qualcosa non quadrava. Forse un metafisico conflitto di interessi si stava combattendo lassù, negli alti cieli, tra le alte e innevate vette del Gran Paradiso. La vita o la morte? Luce o tenebre? Chissà.....Ignazio alzò lo sguardo per cercare di capire dove fossero finiti. Si scrollò dagli occhi la poltiglia nevosa mischiata con il fango e realizzò che erano piombati su un minuscolo spiazzo antistante l'ingresso di una grotta.
Con l'ultimo disperato sforzo si allungò carponi verso la copertura e con il filo di voce rimasto chiamò Fernando:
« Ce l'abbiamo fatta. Ce l'hai fatta Nando! »
Ignazio ricordò vagamente quei minuti o forse quelle ore successive. Di sicuro aveva perduto i sensi e era andato in ipotermia dentro quel ricovero che li aveva messi in salvo, o meglio. La brillante e coraggiosa quanto temeraria decisione di Fernando aveva rimandato a data da destinarsi l'indesiderato e improcrastinabile appuntamento con l'angelo della morte. Adesso qualcosa non quadrava veramente. Angelo o signora? Insomma, diatribe filosofiche e guerre di potere a parte, possiamo dire che erano salvi tutti e due. Malconci e sderenati, ma di fatto vivi. Ripresero coscienza dopo un paio di ore, non si poteva dire bene di preciso quante. Riprese coscienza dopo un paio di ore, non si poteva dire bene di preciso quante. Anche se l'orologio svizzero da polso segnava un improbabile dodici e trentasei. Per un motivo sconosciuto, forse la temperatura troppo bassa o forse l'effetto ritardante di una tempesta magnetica, insomma qualcosa aveva risettato completamente tutte le funzioni. Compreso il cardiofrequenzimetro incorporato che scandiva ben tre virgola quattordici battiti al minuto come fosse impazzito. Un po' pochino per riuscire a respirare autonomamente come Ignazio stava facendo.
« Nanni, hai qualcosa da mangiare? », chiese Fernando con un filo di voce.
« Nulla Nando. Nulla. »
La cerniera dello zaino si era rotta durante la rapida caduta verso il basso facendo fuoriuscire tutto il contenuto. Provò ad aprire la zip della tasca interna ma il gelo l'aveva sigillata. Con l' insostituibile bisturi elvetico recise la tela gommata facendo cadere a terra la bustina semivuota di bastonetti di pollo e tacchino di Aramis, il caro e amato Lhasa Apso di sette anni.
Aramis era stato legalmente prelevato da una cucciolata di Lhasa Apso presso la casa di Ottaviano Bertoldo, anziano e pacioso contadino della Val Soana, quando aveva poco più di due mesi di vita. Il cucciolo, intendevo dire. Stava infatti nel palmo di una mano e grazie alle prime dolci sonore effusioni instaurò subito una intesa perfetta con Ignazio nonostante per lui fosse la prima esperienza di convivenza con un animale.
A dire il vero non proprio la primissima in assoluto.
Quando Ignazio era un ragazzetto si imbatté per un paio di ore con l'animale Furia.
Furia era un piccolo ma carino pesciolino rosso immerso in una bustina trasparente di plastica che il gestore di un tiro a segno di un Luna Park aveva consegnato al padre di Ignazio come premio per aver fatto un filotto di dieci centri consecutivi al tiro al barattolo con la carabina ad aria compressa. Figuriamoci se poteva fallire lui, il babbo di Ignazio. Accanito e rispettoso cacciatore che imbracciò la mitica doppietta Benelli di nonno Gino quando aveva poco più di nove anni impallinando un vagabondo e solitario sfigato beccaccino che ...

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