Diario di un fumatore
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Morris Semproni è un superficiale ragazzo di un paesino del sud Italia, incallito fumatore e confuso sognatore. Conduce una vita senza squilli affranto dal bisogno di liberarsi dall'apatia con cui affronta le sue giornate, convinto nel suo intimo che lo attenda una vita piena di successi.
Non essendo in grado di definire il modo migliore per cambiare rotta si convince assurdamente che solo liberandosi del suo fardello otterrà ciò che ritiene di meritare. Così decide di smettere di fumare e affida ad un diario il compito di aiutarlo in questo intento, riempendone le pagine ogni qualvolta sente il bisogno di fumare e promettendosi che lo terminerà solo quando avrà smesso.
Finalmente con uno scopo, seppur banale, si sente pervaso dalla voglia di rincorrere i suoi sogni di ascesa sociale. Rimuginando progetti su progetti, sigaretta dopo sigaretta continua però la sua vita di sempre e gli incontri con personaggi come la focosa Helga o il bizzaro Jim Beam accentuano ancora di più il suo malessere.
Sarà però il caso a dargli in qualche modo una mano. Dopo un banale e improvviso incidente in seguito al quale perde il lavoro comincia una discesa agli inferi dove conosce l'illusorio mondo della droga e dell'alcol che lo costringerà a scappare dal suo paese per rifugiarsi da un cugino nella "luccicante" Costa Azzurra.
Catapultato in una realtà per lui nuova sente che finalmente è giunta per lui l'occasione per cominciare la tanto agognata ascesa sociale. La sua illusione dura però ben poco. Trovato impiego come maggiordomo in una villa di aristocratici del posto infatti si rende conto di quanto la realtà si discosti dai suoi sogni. E quando s'innamora della figlia di questi, Giselle, si sente ancora più accecato dal bisogno di far parte di quella società altolocata, consapevole che altrimenti nella sua condizione difficilmente potrà aspirare a sposare la sua amata.
Ma questa volta il caso agisce in suo favore: con la tragica fine del padrone di casa, riesce finalmente a stabilirsi nella villa non più come maggiordomo ma come compagno di Giselle. Soddisfatto del suo nuovo ruolo sente che oltre all'amore della ragazza anche il suo sogno di ascesa sociale è ormai vicino. Ma il malessere della sua amata, l'ozio e il fervore del giovane ragazzo di provincia che ritorna a galla finiscono per fargli perdere completamente interesse per i sentimenti, concentrando tutta la sua attenzione sulla ricchezza e sul benessere materiale. Ciò lo porterà a scontrarsi con Giselle, tanto da spingerlo ad aizzare il fratello Luc contro di lei. Finirà addirittura per odiarla, pensando anche all'omicidio quando si convincerà che di quanto lei sia diversa dalla figura che in principio aveva idealizzato.
Ma anche questa volta sarà il caso a sconvolgere ogni sua certezza. E con la tragica fine di Giselle da lui in qualche modo causata, capirà la sua inadeguatezza a questa nuova vita e deciderà di ritornare in paese, a vivere nell'apatia proprio come aveva sempre fatto prima di allora.
"Ma la vita sa prepotentemente cambiare le carte in tavola quando meno te lo aspetti e anche questa volta sarebbe stato così". Dopo aver trascorso anni bui a rimuginare sui suoi errori arriverà infatti la svolta che tanto aveva sognato nel modo più imprevedibile. Riuscirà così a concludere finalmente il suo diario e lo farà fumando l'ultima sigaretta, la "Lucky Strike del caro Jim Beam" metafora dell'incertezza, nonostante tutto, che la sua nuova vita rappresenti davvero la strada giusta da percorrere.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788868823290

CAPITOLO XIV

Un’altra lei
I giorni continuavano a passare lenti e sempre uguali, fra i capricci della vecchia pazza e i silenzi del vecchio taciturno. Stavo vedendo tante persone entrare e uscire da questa casa ma ciò nonostante non c’era stata nessuna scossa al mio vivere quotidiano, nessuna conoscenza utile ai miei progetti. Tutti quei personaggi mi passavano davanti come se nemmeno esistessi ed io pian piano stavo facendo l’abitudine a questo mio essere invisibile.
Di certo mi sarebbe piaciuto esserlo anche agli occhi della signora Allegra, ma i suoi continui rimbrotti mi facevano ricordare la mia condizione di essere inferiore, ma ben visibile. Ho l’impressione che man mano che il tempo scorreva la sua pazzia stesse aumentando, dal momento che continuava a perdersi in sproloqui fuori luogo che non suscitavano nessuna reazione del marito. Le sue note bizzarrie l’avevano portata a credersi un’artista, ma dai suoi scarabocchi non si evinceva alcuna dote, tutt’al più solo le sue follie potevano essere ricondotte alla tormentata vita di un artista. a esempio aveva preso l’abitudine a uscire in vestaglia nei giorni di pioggia; se ne stava in giardino sotto l’acqua per una decina di minuti come se fosse chissà quale fonte d’ispirazione, in realtà ciò finiva per procurarle solo brutti raffreddori.
Il signor Carlo continuava invece ad accettare passivamente tutto quanto lo circondava. Anche quel paio di ore di svago del mercoledì sembravano ormai suscitargli solo tristi pensieri. In quei momenti io continuavo a servirlo con molta lentezza perché quel pezzo di lirica rappresentava per me il momento più bello della settimana. Anche fumare nella mia stanza il mercoledì aveva un gusto particolare, continuavo a sentire le note di quella melodia nelle mie orecchie in modo vivo e reale e mi perdevo nei miei sogni di una vita agiata, nello sfarzo e nell’eleganza.
Quand’ecco che l’inaspettata notizia, per me, che sarebbero arrivati a trascorrere un po’ di tempo a casa i figli dei coniugi De’ Bartolomeis, gettò in trepidazione tutti gli abitanti della villa. Persino il signor Carlo pareva più voglioso di vivere. La signora Allegra invece avanzava pretese assurde dal personale di servizio, con pulizie in ogni angolo della già splendente villa e continui cambiamenti di menù per i giorni a venire. Sarebbero arrivati il lunedì, quindi quel fine settimana non ci fu nessuna festa e nessun ospite, per mia fortuna.
Arrivò così il lunedì. Il primo ad arrivare fu Luc, con la sua bella decappottabile. Ci fu imposto, a tutto il personale di servizio, di attenderlo fuori, tutti schierati, compreso il signor Carlo. La signora Allegra invece ritenne opportuno stare ad aspettar dentro, come una regina che riceva i suoi sudditi.
Il signorino è un uomo sui quaranta di bell’aspetto e basta già un’occhiata per rendersi conto di che classe sociale faccia parte. Quello che mi colpì subito però, facendomelo risultare quasi simpatico, fu l’energia che sprizzava da tutti i pori e un’allegria contagiosa, che da quando scese dalla macchina invase tutta la villa, mascherandone l’austerità.
Il signor Carlo parve sinceramente felice di vederlo e credo fosse anche molto fiero di quel brillante figlio. A vederli abbracciarsi mi è venuta in mente la mia famiglia e come mi avrebbero accolto quando mi avrebbero visto, ma l’idea che dovessi andar loro incontro senza alcun successo o motivo per essere fiero di me, mi fece subito scacciare tale pensiero, anche perché dopo l’abbraccio con il padre ora mi stavano presentando al signor Luc.
Quando lo ebbi di fronte tirai fuori un sorriso smagliante come non mai, tanto smagliante che pensai potesse risultare innaturale agli occhi del signor Carlo e del personale di servizio, dal momento che non avevano mai avuto occasione di vedermi sorridere in quel modo. Ma a me interessava solo far colpo sul signor Luc, chissà, pensai, magari riuscirò a stringere con lui un bel rapporto di amicizia che possa essere utile ai miei scopi di ascesa sociale… Mi strinse la mano con vigore, sorridendo amichevolmente a sua volta e mi disse:
«Finalmente un po’ di gioventù in questa casa! Mi raccomando però, tieni alta la reputazione di noi ragazzi!» e con una risatina si accinse a entrare in casa a braccetto del padre, seguito da tutti noi. Anche con la madre tirò fuori tutta la sua allegria ma questa sembrava continuasse a essere immersa nella sua follia, tanto che lo accolse come se l’avesse visto il giorno precedente. Luc sembrò non fare caso a tanta freddezza e continuò a parlare e ridere con il padre.
Dopo questi scambi di convenevoli, con la scusa di una chiamata importante uscì fuori in giardino. Qui però pensò subito di accendersi una bella sigaretta senza fare alcuna chiamata e ciò mi sembrò un tale sbeffeggio per quell’altezzosa della madre che avrei voluto correre per abbracciarlo e fumare con lui. La signora odia il fumo e il figlio è un gran fumatore, che gran smacco per una dama anti-fumo come lei!
Passò un’altra oretta fra racconti e risate quando un suono insistente di clacson annunciò l’arrivo di Giselle. A quel suono notai nell’espressione della signora Allegra una smorfia di disapprovazione, mentre il volto del signor Carlo s’illuminò di una luce nuova e vivissima.
Ci precipitammo fuori, lasciando nella sala Luc e la signora, mi aspettavo di rivedere la stessa scena vissuta poco prima con l’arrivo del primogenito. Invece ciò che vidi fu di una semplicità sorprendente.
La signorina Giselle scese da una Peugeot nella quale rimanevano due ragazzi e una ragazza e a me nel vederla sembrò di rivedere una scena già vista nel mio paese. Aveva un look non diverso da quello delle ragazze della sua età, jeans, felpa e scarpe da tennis. Non attese nemmeno che il personale di servizio si avvicinasse che già aveva in spalla il suo borsone e aveva salutato i suoi amici. Quella semplicità non toglieva nulla alla sua bellezza, mi sembrò da subito un angelo in quell’inferno di ricchezza e noia. Capelli biondi, occhi verdi, forme al punto giusto che nulla toglievano al suo corpo aggraziato ed esile. E poi c’era quel sorriso splendente, pieno di vita, che mi fece andare subito in estasi facendomi sognare a ogni aperti. Mi vedevo abbracciato a lei, nella quiete di un campo fiorito, ad accarezzarla e a baciarla dolcemente, lontani da tutto ciò che avrebbe voluto tenerci separati, da quelle differenti caste sociali, da quel diverso modo di vivere…
Fantasticando a quel modo non ebbi nemmeno il tempo di destarmi e preparare un bel sorriso per lei che me la trovai di fronte e quasi mi venne da svenire. Non penso fosse per la seppur notevole bellezza, ne avevo viste di altre anche più belle, ma era ciò che rappresentava in quel momento a lasciarmi senza parole. Così quando dovetti presentarmi mi uscì dalla bocca un saluto semplice e distaccato.
«Benarrivata signorina, io sono Morris» senza alcun sorriso o particolare gentilezza
«Grazie! Chiamami pure Giselle».
Quella semplice risposta assunse per me un significato importantissimo e un impulso nuovo, come se in quel momento si aprisse uno spiraglio grazie al quale avrei potuto ottenere quel cambiamento della mia vita che tanto sognavo e aspettavo. Ma l’intervento della madre, che nel frattempo si era affacciata alla soglia della porta mi riportò subito alla mia realtà di giovane insoddisfatto: «Continua a chiamarla signorina invece, altrimenti non si toglierà mai il vizio di mischiarsi alla gente comune».
Il vizio? Mi venne in mente il mio vizio e pensai che la signora fosse ancora più pazza di quanto credevo. “Mischiarsi alla gente comune”, che cavolo significava? Era solo un modo per offendermi? O voleva stroncare qualsiasi rapporto confidenziale fra me e sua figlia? Se la risposta di Giselle mi aveva fatto intravedere uno spiraglio di luce quella della signora Allegra mi gettò nell’oscurità più assoluta. L’unica piccola soddisfazione fu che la figlia si rabbuiò in volto dopo quell’intervento e la salutò con freddezza e distacco, come se avesse imparato la lezione a sue spese.
La odiavo quella vecchia, non tanto perché aveva rimarcato, com’era solita fare, la mia condizione sociale, ormai mi ci ero abituato, quanto perché a causa sua non potevo vedere più quello splendido sorriso, che mi aveva riempito di un’immane voglia di fare e di non mollare di fronte alle avversità. E poi, continuava a far pesare a tutti la sua ricchezza, persino a suo marito, che a quanto pare era invece il vero motivo per cui lei poteva permettersi quelle arie di gran dama. L’accenno di quel barista al suo passato, unito a tutti questi episodi, mi fa ritenere che quella donna abbia conosciuto la povertà più di ogni altro, se ne sia vergognata e che ciò la spinga a odiare il ricordo di quei momenti. Per questo considera opportuno farla pesare a tutti, forse perché così riesce a convincere prima di tutto se stessa che quello del passato è stato solo un incidente di percorso e il suo posto ora è qua, ricca fra i ricchi.
Ma pensare ai vaneggiamenti della vecchia non mi andava proprio in quel momento, c’era lei e ogni mio pensiero doveva essere a lei rivolto, a tutto vantaggio del mio benessere mentale. Per questo ringraziai l’intervento del signor Carlo, che, sciogliendo l’imbarazzo creato, prese a braccetto la figlia e la condusse dentro, con un fare allegro e gioioso che mai avevo visto in lui.
Quel giorno servii il pranzo e la cena con una voglia tutta nuova. Ero così felice che per la prima volta mi sembrava di essere parte di quella famiglia e avrei voluto che si rimpinzassero di mangiare a più non posso, così che io sarei dovuto entrare di continuo nella sala. Purtroppo non fu così, ma quei pochi momenti mi bastarono per vedere ancora quel sorriso e quel suo rivolgersi con gentilezza e semplicità.
Quella sera dovetti fumare più del dovuto, tanta era l’agitazione. Pensavo a lei, sognavo e fantasticavo e pensavo al domani come a un giorno pieno di incognite. In quale direzione si sarebbe evoluta la situazione? In quella voluta dalla madre o in quella voluta da me? Così mi addormentai con la convinzione che allora più che mai fosse il momento di agire, di creare il mio destino. Non sapevo come, ma le circostanze mi avrebbero aiutato.
Ed effettivamente nei giorni successivi qualcosa si mosse, non grazie alle mie azioni, ma a quelle di Giselle. Sembrava infatti che si interessasse a me più del dovuto e, almeno in un primo momento, di questo probabilmente dovevo ringraziare quella pazza della madre perché forse si sentiva spinta a legare con me dal bisogno di una ribellione a quel soffocante modo di pensare.
Questo ovviamente non fece che acuire il disprezzo della signora nei miei confronti, ma di lei non mi curavo proprio, pensavo solo a svolgere bene il mio lavoro così avrei avuto dalla mia parte tutto il resto della famiglia e lei si sarebbe trovata in minoranza.
Una mattina Giselle mi chiese di accompagnarla a fare qualche compera. Ovviamente dovetti chiedere il permesso al signor Carlo, ma questo, che davanti la figlia sembrava sciogliersi come neve al sole, accordò senza esitazioni.
E così ecco il momento a me favorevole, mi ritrovavo solo con lei a decidere il mio futuro con le mie azioni. Devo ammettere che ero un po’ imbarazzato ma la sua allegria e quel continuo parlare mi misero subito a mio agio. Mi raccontò così dei suoi viaggi e di tutte le avventure che in questi aveva vissuto, mentre lei parlava a me sembrava di vivere quei momenti con lei, ora in Messico, in Africa, in Australia… I miei viaggi non erano andati oltre l’Italia e quindi, non potendo competere con lei, preferii stare zitto ad ascoltare ridendo e commentando di tanto in tanto le sue storie. a un certo punto lei sembrò carpire questo mio stato d’animo e mi disse, guardandomi con quei suoi occhioni verdi: «Ora tocca a te raccontarmi qualcosa, mi si è seccata la gola a parlare tanto!».
Non lo disse con malizia, sembrava sinceramente interessata a sapere qualcosa in più da me. Ma cosa avrei potuto raccontarle io? Che il vizio del fumo mi aveva portato a una serie di spiacevoli eventi? Che ero scappato da un monotono paesello dopo essere stato aggredito da alcuni spacciatori con i quali avevo contratto un debito? Che ero rimasto senza lavoro dopo essermi rotto il naso per fuggire dietro una ragazza di cui non conoscevo nemmeno il nome? No, non avrei mai potuto raccontarle storie simili, pensai che sarebbe finito ogni nostro rapporto già dopo il primo racconto. Di mentirle però non me la sentivo proprio, così pensai di raccontarle la mia vita, sorvolando su quegli episodi decisivi.
Credevo che si sarebbe annoiata, invece mi ascoltò con vivo interesse, facendomi domande sul posto in cui vivevo. Ovviamente il racconto della mia vita, epurata dagli episodi negativi, terminò subito e così pensai bene di fingerne un’interruzione chiedendole dove avremmo dovuto fermarci. Giselle sospirò e mi disse che le era passata la voglia di fare compere ma di tornare a casa proprio non se la sentiva. Così pensai bene di proporle di andare a vedere il mare su una spiaggetta poco distante da lì. Fu entusiasta di questa idea e quell’euforia mi riempì di soddisfazione, avevo fatto una scelta giusta e dovevo continuare così.
Arrivammo così alla spiaggetta e fui sorpreso di vedere Giselle, in un primo momento, camminare e scrutare il mare come se mai l’avesse visto prima d’ora. Cominciavo a non essere più sicuro di aver fatto la scelta giusta, anche perché nel suo volto aleggiava una certa tristezza. Avrei voluto abbracciarla e darle conforto ma mi trovavo un po’ in imbarazzo visto che non sapevo nemmeno se fosse una tristezza passeggera o se la vista di quella spiaggia le evocasse brutti ricordi. Ma non me la sentii proprio di chiederle spiegazioni e pensai bene di starmene zitto accanto a lei. Così senza proferir parola ci sedemmo. Per più di dieci minuti stemmo così, guardando il mare, quando a un certo punto Giselle mi disse, senza guardarmi negli occhi: «Pensavo che ormai potessi rivedere questi luoghi senza star male, invece…».
Fui scosso nel sentire quelle parole e, pur essendo quasi costretto a rispondere qualcosa, avrei voluto tacere per paura di sbagliare o di essere troppo invadente.
«Brutti ricordi?» dissi così senza più pensarci
«I peggiori che ci possano essere…».
Non pianse ma sentivo che in cuor suo lo stava facendo. Cosa poteva rattristire così tanto quella dolce e allegra ragazza? Ora la curiosità crescente cominciava a tormentarmi, ma continuai a essere prudente, pur lasciando all’istinto ogni mia frase.
«Non pensavo che rivedere questo luogo ti facesse male, altrimenti non ti ci avrei portato, ti chiedo scusa»
«Non devi scusarti, cosa ne potevi sapere tu? E poi è stata una mia scelta»
«Va bene, se hai voglia di parlare puoi farlo, altrimenti possiamo starcene in silenzio, tutto il tempo che vuoi… poi con tua madre ci parli tu però, eh!».
Fu un’intuizione felicissima quella battuta, perché riuscii a farla sorridere e penso che mi fosse grata di questo. Subito dopo ci alzammo e camminando sulla sabbia decise di raccontarmi qualcosa.
Così venni a sapere che a quei luoghi era legato il ricordo di una tragedia di circa vent’anni prima, che la costringevano a dover partire quando stava per troppo tempo nella dimora paterna. Successe che Giselle e una sua amica, durante una giornata trascorsa al mare con i genitori, ebbero la spregiudicata idea di farsi una nuotata al largo, nonostante il mare fosse parecchio agitato. Il signor Carlo non aveva saputo dire di no alla figlia e non si era curato del fatto che man mano che si allontanavano le difficoltà delle due bambine a nuotare si stessero facendo crescenti. Così, quando si rese conto del pericolo il signor Carlo si tuffò, ma purtroppo riuscì a salvare solo la figlia, la sua amica quando fu portata in salvo da un altro signore intervenuto in seguito era ormai annegata.
Ora capivo quanta malinconia potesse evocarle quel posto ma capivo anche quella tristezza che accompagna il signor Carlo ogni giorno, il rimorso che gli roderà dentro per non essere riuscito a salvare quella ragazzina, il senso di colpa per non aver loro impedito di andare al largo con il mare grosso… Povero signor Carlo!
Mentre stavo pensando a lui non mi accorsi però che Giselle, dopo esserci seduti nuovamente, aveva poggiato la testa sulla mia spalla. Mi irrigidii di colpo, ma cercai di mantenermi naturale il più possibile perché volevo che quel momento si prolungasse il più possibile.
«Sai Morris? È la prima volta che racconto la tragedia proprio nel luogo dove avvenne e devo dire che mi sento molto meglio. Anche perché per la prima volta sono riuscita a sorridere qui, proprio qui dove non sono mai riuscita a trattenere le lacrime…».
Dopo quella frase mi diede un bacio sulla guancia e, saltata in piedi cominciò a correre verso la macchina, gridandomi che si era fatto tardi e ce ne saremmo dovuti andare. Io mi sentivo invece sprofondare nella sabbia, quel bacio sulla guancia mi diede un’emozione indescrivibile, superiore a qualsiasi rapporto sessuale avessi avuto fino ad allora. Ma dovetti seguirla, anche se dall’emozione a correre non ce la facevo proprio!
In macchina mi disse di non far parola di quello che mi aveva raccontato e del fatto che eravamo stati proprio su quella spiaggia, perché il padre non era mai riuscito a parlarne e ci soffriva troppo. Così tornammo a casa e fui felice di mettermi a lavorare, lanciandomi di tanto in tanto sguardi di complicità con lei, che sentivo sarebbe diventata la mia lei prima o poi.
Nei giorni che seguirono continuai ad accompagnare Giselle con la scusa che dovesse fare qualche compera o dovesse andare da qualche amica. In realtà ci facevamo delle lunghe passeggiate chiacchierando su un po’ di tutto, ma era bene stare lontani dalla vista soprattutto della madre, che mal avrebbe digerito quel rapporto, nonostante fosse fino ad allora una semplice amicizia. Io mi sentivo così bene in sua compagnia che nonostante avessi potuto approfittarne di quelle ore di libertà per fumare non ci pensavo proprio, perché preferivo inebriarmi dei momenti vissuti con lei (recuperavo la sera però, allorché tornavo in stanza e cominciavo a fantasticare!). Giselle si dimostrava una ragazza acuta e brillante, allegra, sempre pronta a ridere e a scherzare, ed io mi stavo abituando così tanto a quella compagnia che mi comportavo con naturalezza, come forse mai avevo fatto prima d’ora.
Ero riuscito a farle vincere persino la sua ritrosia a stare nel luogo dove vent’anni prima si era consumata la tragedia e fu inevitabile così, che un bel giorno, proprio in quel luogo, ci scappò un lungo e appassion...

Indice dei contenuti

  1. CAPITOLO I
  2. CAPITOLO II
  3. CAPITOLO III
  4. CAPITOLO IV
  5. CAPITOLO V
  6. CAPITOLO VI
  7. CAPITOLO VII
  8. CAPITOLO VIII
  9. CAPITOLO IX
  10. CAPITOLO X
  11. CAPITOLO XI
  12. CAPITOLO XII
  13. CAPITOLO XIII
  14. CAPITOLO XIV
  15. CAPITOLO XV
  16. CAPITOLO XVI
  17. CAPITOLO XVII
  18. CAPITOLO XVIII
  19. CAPITOLO XIX
  20. CAPITOLO XX