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Informazioni sul libro

Sandra è ormai giunta alla fine dei suoi giorni, lo sa.
Il cancro la sta bramosamente sradicando dalla vita.
L'unico desiderio che le rimane è quello di raccontare all'eterna compagna che la sta attendendo, la morte, il racconto di Sergio, l'unico uomo che riuscì ad amare, in grado di farle raggiungere le piramidi dell'esistenza. Comprendendo la sua rapida fine si trasforma in un'abile narratrice pronta a cimentarsi nell'arte del racconto, mentre la morte in trepida attesa l' ascolta.
L'affresco della memoria prende forma dal momento in cui Sergio, brillante psichiatra in carriera, decide di lasciare l'Italia per accettare un incarico nell'ospedale psichiatrico di Losanna.
Sergio intuisce sin da subito che da quel momento avrebbe dovuto scontrarsi con una rigida e degenerata impostazione della psichiatria, secondo la quale il compito prioritario del medico consiste nel contenere e annullare il paziente, nell'abolire qualsiasi suo desiderio. Folgorato dall'urlo lacerante di uomini e donne, Sergio percepisce il crescendo del loro dolore mentre la loro lontana quotidianità sta sprofondando in una voragine senza respiro.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788868825720
Adriana Pitacco
Maledettamente
Lettere Animate Editore
ISBN: 978886825720
Copyright Lettere Animate 2015
www.lettereanimate.com
Dedicato ai miei figli, pura essenza della follia
Prova a immaginarti un uomo…
prova a immaginarti un uomo che vive, che esiste, non fatto solo di parole …
prova a sentire un uomo che vive ogni respiro.
Forse è quello che vorremmo…
immaginare i nostri personaggi e sentirli vivi,
magari confondendoci tra le loro parole,
tra i loro respiri.
Ho chiesto che mi raccontassero altre storie, l’ho chiesto facendo l’amore con l’altra parte di me; uomo dai tratti simili a una donna che non ha mai perso la sua grazia ambigua. Ho deciso di scrivere delle storie, i ricordi naufraghi di chi si diverte ad assaggiare il gusto della follia. Per notti insonni ho tinteggiato la calura della mente con incubi, su creature che ancor di più mistificavano le mie storie, troppo vere o forse troppo nascoste per rinascere in nuovi racconti.
E il prima e il dopo del dubbio della narrazione?
Ho fatto l’amore ogni giorno ascoltando le mie storie nel moltiplicarsi dei miei respiri; respingevo l’ultimo orgasmo perché prima dell’ultimo vi fosse l’inizio del successivo.
Oggi, naturalmente oggi, senza scrivere parodie sulla follia, la vivo e la racconto in punta di piedi, nell’insostenibile leggerezza
dell’essere.
Profonda come il primo o l’ultimo orgasmo.
Noioso è il tempo, e staccato fa dimenticar la pena di definire la visione degli unici oggetti sopravvissuti nella stanza. A fianco un comodino asettico pulito con l’ordine ospedaliero, in fondo una tenda di mussola ingrigita si stacca dalla parete con la visita della nuova frescura primaverile. Ma dentro al silenzio tirato a lucido, Sandra sente stirare parole ripiegate con cura dall’infermiera di turno:
“Lasciamola riposare! Prima della morte dicono che entrino nel sogno. Sono disperati, tentano di esaudire desideri non vissuti”.
“Ma sorride!” afferma perplessa la giovane infermiera.
“Sorriso involontario, abitudine, semplice abitudine...”
Nota lunga la morte, punto e basta, placido rintocco; ma rimane il tempo per tornar su una vecchia storia. Sarà ancora sconvolto il destino dalla fine? La morte risponde imbarazzata, perché è la prima volta che esaudisce il racconto d’una vita. Diventa affascinante il racconto nella veglia degli eventi, nell’ascolto di un nostalgico richiamo.
“Voci di corridoio dicono che era una gran donna” dichiara con l’ombra del dubbio l’innocua infermiera.
“Oh! Una come noi, come noi” aggiunge la vecchia infermiera.
Ma che ne sanno loro di Sandra? Pietà, sacra pietà, continuano a replicare, ma Sandra non è frutto di nessuna pietà! Incorreggibili gli ignoranti. Un po’ di scompiglio ci vuole; mai gelosi delle loro storie i vecchi moribondi le raccontano nel loro ultimo atto teatrale.
Improvvise le parole mi si arrancano in gola e due chiare mani mi tastano il corpo: “Tranquilla, stia tranquilla!” mi dice la nuova guardiola bianca; poi regola, benedicendolo, l’afflusso della stupida ampolla.
“Battito rallentato, il valium ha fatto il suo effetto”. E lindo il camice rivela alle infermiere che la morte potrebbe agire con movimento lento o interagire con il destino degli organi interni.
Ma forse la morte mi concederà ancora qualche giorno per dar vita in questo commiserevole tempo a uomini e donne mai dimenticati. Senza finzione li accompagnerò per mano, come si accompagna un bambino, e con aria d’abitudine prenderò nuove informazioni sul vecchio racconto. Ma ora? È in arrivo l’unica nipotina dell’inquilina di fianco. Novant’anni
portati senza denti! E su di lei si fanno tante domande : “Quanti denti ha ancora, mamma? Perché non racconta niente?”
Mi avessero fatto queste domande, avrei solo risposto che ho ancora tanto da raccontare. Pagine bianche le mie le dipingerei col tempo della memoria. Astuzia del gioco che i vecchi imparano da soli annullando pure il pianto perché non vogliono veder piangere nessuno! Li vogliono vedere piangere per altre rispettabili questioni. Da annullare le parole sul destino : da quello che annienta l’uomo raccontando la sua precarietà, a quello che proietta lacrime pensando a qualche rassicurazione eterna. Giochi di inutili parole! Contrario alla morte diventa il destino di una povera vecchia così difficile da far morire perché sa ancora raccontare una storia. In fin dei conti solo i vecchi personaggi chiedono di cimentarsi nell’arte del racconto. Fanculo i morti viventi! Quelli che sicuramente andranno in paradiso! Si ritorna giovani solo quando si è vecchi perché il rispetto dell’orgasmo, così vero, lo si deve sempre anche quando la narrazione incomincia dalla fine.
E vestita di sera, trapuntata di giorno
con parole di stelle
alza il sipario...
Anche la morte ascolta
Vaporoso, in piena lotta contro il tempo, che indomabile urlava il tradimento della fine, se ne andò anche l’ultimo respiro, mentre vibravano i due corpi staccandosi inesorabilmente in due mondi che non s’affinavano più l’uno con l'altro.
Improvvisamente fuggirono gli odori di Sandra, gli odori di Sergio.
Si fermò Sandra, annullò ogni desiderio del corpo pronto a scaldare le parole nell’urlo straziante del dolore. Stanche se ne andarono, mentre il corpo ricomponeva i segni del tempo in piccole rughe, nei capelli scomposti, nelle mani che coprivano il travagliato volto: “Mi sfuggi Sergio, mi sfugge anche la tua ombra! Fuggi! Fuggi! Te ne vai in sogni che non esistono! Non ricordi? Hanno il volto dell’abitudine gli uomini…hai perso anche quello? A chi ti vuoi sostituire? A quale volto? Tu credi che la follia tra le tue mani ritorni ad avere il volto di Dio?”Si spezzarono le parole isolandosi tra i ricordi scelti, tra le ultime visioni della rabbia che ritornava a ogni abbandono.
Poi ritta, in piedi, imitò l’andatura della follia. Lentamente esplorò ogni dettaglio del suo esile corpo, tentando di reclamare una risposta in quel turgore acceso del seno, ma improvvisamente il desiderio annaspò. Con lenti movimenti eseguì una serie di figure assunte ai vari volti della follia. E nei tratti stanchi del corpo nutrì l’aria con il trascorrere inevitabile del suo dolore. Camaleontica si avvicinò a Sergio : “Come mi vuoi?... Come dipingerai la pazzia? Persa ancora di te? Sarò pazza anch’io Sergio! Qualche pazza non nasconderà più il suo corpo e così potrà avvicinarti, tenerti ancora”.
Intuì Sergio il quadro che si stava presentando, preparandosi così alle svariate immagini del dolore. Vide le mani di Sandra sfiorare avidamente ogni desiderio, perfette nella nuova natura scomparvero senza pudore all’incitamento dei sensi.
“Ora dimmi se ogni volto potrà essere anche il mio… dimmelo prima che rimanga un solo colore tra le mie mani…Io...Io... ci sarò...?”
Ma finì il viaggio in un leggero sussurro
dal tono sbiadito.
In un brevissimo spazio
senza colore.
Il viaggio
Sferzante l’aria sfilava il rapido movimento delle montagne che s’adombravano al di là dello sguardo. L’aria era gravida di pensieri.
Il cielo sfollò il suo blu sanguinando nuove linee simili a volti nati ancor prima dell’uomo, in splendida solitudine.
Erano i volti della follia? Così vicini alla realtà?
Inevitabile fu la vertigine! Seguì i loro volti Sergio, vivo tra volti nudi. Comparvero nel nuovo dipinto intimi soggetti pronti a svelare l’idea originaria della realtà. Attenti a ogni dettaglio della follia, i volti incominciarono a dipingersi nella forma selvaggia di un universo senza tempo, nell’arte dell’evento inatteso.
Filamenti di pensieri, fluttuanti nella solitudine delle domande, si formarono tra lo sguardo di Sergio e le voci narranti dell’inquieta cornice.
Cosa negava il mondo ai nuovi volti? Vi era l’immenso sforzo della realtà a programmare negli uomini un rapporto di perfetta similitudine.
Simili dovevano diventare i nuovi volti, senza affermazioni differenti, cacciando dallo spazio ogni diversità.
Moltiplicandosi così simili, replicavano la monotonia delle abitudini, diventando non volti, negando la loro nascita, le loro differenti caratteristiche.
Ogni volto, diverso dalla comune esistenza, era già stato programmato per essere rinviato al nulla perché tutti potessero pronunciarne il decreto
finale: “Questo non è un uomo! Questa non è una donna!”
Improvvisamente, volti senza nome lasciarono l’impronta di una voce senza tempo, prigioniera senza luogo, rinchiusa con una chiave di cenere.
S’aprì a Sergio l’incantevole mondo della follia.
Insolente il giardino s’intensificava amplificando lo spazio.
Colori vivi s’affrescavano sotto i portici.
Cipressi dalla chioma disinvolta ne brandivano l’entrata invitando gli ospiti a passeggiare in una sorta di raffinata danza, mentre l’equilibrio cromatico conduceva lo sguardo verso il grande viale dove piante e fiori erano così vicini che nessuna luce lo poteva attraversare.
Si sviluppava così il giardino, lasciando nel suo cammino il disinvolto racconto degli ospiti, che si districava abilmente tra i fiori, sussurranti un destino contrario alla morte. Ma le muse del giardino vivevano al di là dei grandi cipressi, dove custodivano delicati segreti tessendo la trama giornaliera. Lenti i loro passi, strazianti, si ricreavano in un prodigioso movimento, sperando di esistere nei pensieri dell’uomo, senza frantumarsi nelle vaghe parole di medici e ricercatori, scienziati della fine delle idee. Perduta nell’oblio, nessuna voce umana riusciva a sconfiggere chi da sempre aveva detestato la follia, costringendola a volgere lo sguardo solo nell’arco di tempo elogiato da questa perfetta medicina. Perché medici, così squisitamente scientifici, mercanteggiavano i pensieri umani in cambio di qualche idolatria che li venerasse a nuovi Dei della medicina psichiatrica.
Ma l’invito era ancora lì…
Le muse del giardino chiamarono Sergio per rivivere assieme l’origine della loro follia. Animali divini apparvero nelle sembianze di figure umane, intenti a interrompere le visioni dello sguardo per crearne altre, non più estranee alle loro parole, pronti a sfidare la fine delle idee, pronti a rincorrere il tempo dei sogni.
S’ostinò lo sguardo di Sergio a osservare la scrittura del paesaggio umano, mentre richiamati dai loro ricordi si polverizzavano i loro corpi, mostrandosi esili al cospetto di chi barattava volti trucidati con la nascita di nuove parole tecniche e il compiaciuto successo diagnostico di qualche campionario encefalico in vendita.
Ma quel giorno si animavano in uno spazio privo di divieti.
Dalla ronda degli uomini si defilò un individuo dalla fulgida andatura, in contrasto col capo, che dondolava leggero come un piccolo fiore. Incredulo, si soffermò a esplorare ogni linea espressiva del nuovo ospite, con sospirata grazia, scrutò l’aria limandola con le mani in un rito compulsivo, imponendo il richiamo verso i segreti da lui custoditi.
Nel quieto abbandono si accesero le lucciole dei sogni, di uomini e donne intenti a oltrepassare le linee uniformi imposte dal retaggio di una cinica medicina.
Nasceva la follia tra le voci degli Dei?
Si fermò il silenzio, relegandosi allo scandir del giorno, aspettando inquieto e dubbioso l’ora fatidica dell’arrivo dei nuovi medici.
Era l’ora che non si faceva aspettare.
E il dott. Muller rifiutava il ritardo, non lo sopportava.
Fu avvistato dal medico di turno, abile nel riconoscere i giovani medici dal portamento fiero, ma poco puntuali. Sempre all’erta, tesa allo spasimo la vista, metodico predatore, sgusciò dal grande viale per avvicinarsi all’ennesima preda. Stupidamente arrogante e ridicolo, con occhio cinico e tono ragguardevole, Jonathan s’avventava sui nuovi medici per scoprirne il grado di preparazione. Con rapidi scatti si appropriò dello spazio confinante con il nuovo ospite.
“Modello all’avanguardia di medico atleta!” pensò Sergio osservandone l’incarnato del volto stranamente levigato come lo zaffiro, dalla mimica facciale sviluppata in movimenti meccanici a car...

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