Storie di donne
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Storie di donne

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Storie di donne

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Storie di Donne è un insieme di racconti il cui fil rouge è costituito dal fatto che la donna è la protagonista di ogni racconto. Si tratta di donne che non sempre vivono nella nostra epoca, ma che sempre si trovano al centro di una situazione problematica, proprio perché sono donne. La parità completa con l'altro sesso non sarà mai raggiunta? O sarà, anzi è stata raggiunta giuridicamente, ma non è fattuale, essendo la donna molto diversa dall'uomo.

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Informazioni

Anno
2015
ISBN
9788868825928

CARO DIARIO…

1
Napoli, a.d. 18…
Caro diario, Talvolta penso che sia proprio stata una fortuna per me che i miei genitori, all’antica come sono, abbiano comunque voluto che io imparassi a leggere e scrivere, a differenza di tante altre ragazze, di famiglia nobile come la mia, che però i genitori hanno risoluto di lasciare del tutto ignoranti e analfabete, perché ritengono che l’istruzione, anche se minima, può essere dannosa al genere femminile e può condurlo al male.
Io non capisco però perché si faccia una simile distinzione tra i maschi che, varcata la soglia dell’infanzia, hanno subito a loro disposizione un precettore che insegna loro tante cose, mentre noi ragazze tutto questo ce le possiamo soltanto sognare.
Però io, come ho già detto, sono stata fortunata perché al precettore di mio fratello maggiore è stato chiesto, non so se da mia padre o da mia madre, di insegnare a leggere e scrivere anche a me, che lo desideravo tanto ma che non avevo il coraggio di dirlo.
Comunque, il precettore ha assolto ben volentieri questo compito, anche perché mi ha trovata capace e disponibile a imparare, tanto che una volta, origliando, ho sentito che diceva a mia madre che era un peccato non farmi continuare gli studi, visto che ero così predisposta.
Mia madre ha risposto qualcosa che io non sono riuscita a capire, e la cosa è finita lì. Certo, non posso dire di avere una grande istruzione.
Però approfitto di quello che so per leggere tutto quello che mi capita a tiro, anche se non sempre capisco cosa è scritto, e soprattutto, per scrivere a te, caro diario che mi sei stato donato dai miei genitori che mi hanno detto:“Ecco, Concetta, questo è per te. Sappiamo che ti piace scrivere, e qui potrai scrivere tutto quello che vuoi e nessuno lo leggerà, perché rimarrà chiuso a chiave” e mi hanno mostrato una piccola chiave che chiudeva il quadernetto segreto.
Quanto mi sono sentita felice! Li ho baciati e abbracciati con trasporto autentico, il che non mi accadeva da molto tempo, e poi mi sono ritirata nella mia camera con il mio nuovo tesoro a meditare.
Pensavo che su quelle pagine ancora bianche avrei scritto i miei sentimenti più segreti, e sarebbe stato come rivelarli a me stessa, e nel contempo speravo che le cose che avrei scritto sarebbero state tutte liete.
Ed infatti, caro diario, per parecchio tempo è stato così, e tu ne sei testimone. Io ho vissuto spensieratamente fino all’altro giorno, quando…
Ma, caro diario, continuerò un’altra volta: adesso non me la sento proprio di raccontarti quelli che è avvenuto ieri.
2
Caro diario, sono di nuovo io, e cercherò di raccogliere tutte le mie forze per raccontarti quello che mi è successo ultimamente.
Dunque, tu sai che io ho ormai compiuto diciott’anni, che ho una buona dote, e puoi bene immaginare che da tempo mio padre si aspettava che qualcuno mi chiedesse in moglie.
Io per parte mi a non conoscevo nessuno di sesso maschile (sono vissuta, come avrai capito, in un ambiente molto ristretto), fatta eccezione per il giovane giardiniere che tiene in ordine il nostro giardino e vi fa germogliare dei fiori stupendi. Ed è accaduto, ultimamente, che, poiché io amo i fiori, spesso sono andata nel giardino ad ammirarli e vi ho incontrato il giardiniere, che è un ragazzo simpaticissimo, con un ciuffo di capelli che ricadono sulla fronte come io non ho mai visto a nessuno.
Io scendevo quasi tutti i giorni in giardino col pretesto dei fiori, ma in realtà (tu sai che io con te sono sempre sincera) anche per scambiare qualche parola col giardiniere che mi disse di chiamarsi Peppino e mi raccontò molte cose di sé e della sua famiglia che è, come pensavo, poverissima. Ma, nonostante io sapessi che mai i miei genitori avrebbero acconsentito a farmi sposare Peppino, gli occhi azzurri che lampeggiavano sotto il ciuffo e gli sguardi che questi occhi mi lanciavano, che erano sicuramente gli sguardi di una persona innamorata, fecero innamorare anche me.
Quando ci pensavo (e ci pensavo spesso) cercavo di convincere me stessa che, se io ero felice con Peppino, anche i miei genitori dovevano accettare la mia felicità, altrimenti…peggio per loro. Io sarei comunque andata via con lui.
Ma non potevo immaginare certamente quello che stava per accadere. Ieri mio padre mi fece chiamare nel suo studio e mi disse che un nobiluomo a me sconosciuto che aveva chiesto la mia mano. Io avrei conosciuto questo nobiluomo a pranzo, e mio padre, prima ancora che io lo vedessi, mi disse subito che questo era un’occasione di quelle che capitano una volta sola nella vita di una ragazza, e che io dovevo assolutamente non lasciarmela sfuggire.
Immagina tu, caro diario, come mi sono sentita in quel momento: la mia anima era divisa tra il mio amore verso Peppino e la paura che ho sempre provato per mio padre. Ma ben presto suonò il gong che richiamava tutti in sala da pranzo. Io mi ci recai, con le gambe che mi tremavano, e vidi che, oltre ai miei genitori e a mio fratello, c’era anche uno sconosciuto, che era sicuramente l’uomo di cui mio padre mi aveva parlato.
Costui era non più giovane (seppi successivamente che era vedovo), dall’aspetto imponente e dalla barba fluente che gli scendeva, nera, sul petto. In me la sua vista destò, più che altro, spavento, ma poi, sentendolo parlare, capii che egli non era una persona malvagia, ma soltanto triste: aveva perso da non molto tempo la giovane moglie, e adesso cercava un po’ di compagnia, perché si sentiva veramente troppo solo.
Egli parlò con me rivolgendomi la parola con grande riguardo: mi disse di chiamarsi Niccolò, omettendo il titolo di barone, e mi chiese il mio nome. Io, intimidita e pensando sempre a Peppino, gli risposi appena.
Salita poi, finito il pranzo, in camera mia, cominciai a riflettere sulla mia situazione: so che è ormai per me arrivato il tempo di prendere una decisione. Come tu, caro diario, sai bene, io dovevo decidere se ubbidire ai miei genitori e dimenticare Peppino, oppure trasgredire alla famiglia e allontanarmi per sempre da essa, unendomi a Peppino, che già amavo, nel bene e nel male. A poco più di diciotto anni, quale può essere la risposta che una fanciulla può dare al suo cuore? E’ facile immaginarlo.
Perciò, non appena ritenni che fosse l’ora opportuna, scesi in giardino per parlare con Peppino e stabilire con lui i passi da fare.
Ma in giardino mi attendeva un’amara sorpresa: al posto del giardiniere trovai una vecchia che conoscevo perché, antica domestica, era ospitata dai miei genitori per carità, e che non era gradevole a vedersi, brutta e grinzosa com’era, con il mento ricurvo che tentava invano di unirsi al naso lungo e arcuato, e per la quale nutrivo, chissà perché, un’antipatia istintiva. Non vedendo altri, mi rivolsi a lei per chiedere notizie di Peppino, e lei con un certo malgarbo mi rispose che Peppino se ne era andato, non se ne sapeva il perché, e che la mattina successiva sarebbe arrivato un altro giardiniere.
Io tornai allora subito in camera mia a riflettere. Pensavo che, evidentemente, qualcuno della servitù aveva parlato e aveva detto dell’amore tra me e Peppino, e mio padre, per troncare questa relazione che egli sicuramente riteneva, a dir poco, sconveniente, aveva licenziato Peppino, che adesso chissà dov’era.
Nel frattempo, si era presentato il marchese Niccolò e mio padre aveva fatto coincidere le due cose: l’allontanamento di Peppino, e la conoscenza col marchese, per convincermi a sposare Niccolò.
Dopo aver pianto alquanto sulla mia situazione, cercai di riflettere.
Peppino ormai per me era perduto perché, anche volendo, non avrei saputo come ritrovarlo, né lui aveva fatto in modo di lasciarmi un recapito qualsiasi. Niccolò, invece, era a portata di mano, era chiaro che io lo interessavo, e forse mi avrebbe voluto anche un po’ di bene.
Inoltre, era un ottimo partito, e sposandolo avrei fatto felice tutta la mia famiglia. Così presi la mia decisione e, quando mio padre mi chiamò a colloquio, dissi che ero disposta a sposare Niccolò.
-----(Per molto tempo sul diario non viene scritto nulla. Che mai sarà accaduto a Concetta? La prosecuzione della sua storia la conosciamo da altre fonti: Concetta, unitasi in matrimonio senza amore a Niccolò, inizialmente tenta di adattarsi alla situazione di moglie che non ama il marito, e gli dà perfino un figlio. Ma la continua finzione di sentimenti non provati agisce negativamente sul sistema nervoso di Concetta che incomincia a dimostrarsi incoerente e strana, tanto da far preoccupare la sua famiglia che chiama illustri medici a esaminare lo stato di Concetta per cercare di curarlo.
Il verdetto di questi medici non è incoraggiante: essi parlano di psicosi allucinatoria, e consigliano l’internamento nel manicomio di Aversa, dove appunto si curano siffatte malattie. E Concetta viene internata in manicomio dove viene curata con tutti i riguardi, dal momento che la famiglia, essendo facoltosa, si fa carico della sua permanenza e delle cure, pagando una retta quotidiana. )
Ma adesso possiamo tornare al diario.
Caro diario,
non ti do più mie notizie da molto tempo, e in questo periodo molte cose sono accadute.
Mi pare che ti dissi che avrei sposato Niccolò, e infatti lo sposai, promettendo a me stessa e a lui che non avrei mancato ai miei doveri di moglie. E infatti, per quanto il ricordo di Peppino non mi abbandonasse mai, io ho adempiuto a tutti i miei doveri verso di lui, e gli ho dato anche un figlio che è tutta la mia gioia.
Ma forse la ferita nell’anima mia era troppo profonda, forse la parte più intima di me non ha mai accettato la violenza commessa a danno dei miei sentimenti, o forse io ero naturalmente predisposta alla malattia.
Non so per quale di questi motivi mi sono ammalata, il fatto è che ho manifestato gravi sintomi di una malattia nervosa che mi dà grande inquietudine perché è accompagnata da allucinazioni, che invano gli illustri medici chiamati al mio capezzale hanno cercato di curare.
Perciò, vista l’inutilità di queste cure, si è deciso di farmi internare qui, nel manicomio di Aversa, dove io vengo seguita con una attenzione particolare, perché pago la retta. La terapia consigliata è molto leggera: bagni tiepidi, lunghe passeggiate nel parco e alimentazione leggera ma nutriente.
Veramente non posso lamentarmi di questo trattamento, soprattutto se lo paragono a quello delle altre, ancora più sventurate di me, che, non potendo pagare, non possono neanche reclamare.
Io non avrei nulla da reclamare, tranne il fatto che qui non c’è spazio per la libertà dell’individuo, e tu, caro diario, sai quanto io ci tenga.
Io temo sempre che l’osservanza alle regole, cosa alla quale qui tengono molto, finisca con l’annullare la mia personalità, e questo a me è più caro della vita. Ah, se potessi uscire e tornare a casa! Forse questo avverrà, ma non so quando.
Voglio però provare ad aprire l’anima mia scrivendo ai miei congiunti, ossia a mio marito e a mio fratello: chissà che non ne esca qualcosa di positivo!(e infatti la donna scrisse tre lettere: una al fratello maggiore, e due al coniuge. Queste lettere non furono mai inoltrate, ma sono state ritrovate nell’archivio. Ed ecco un estratto della lettera al fratello:“Lo scopo più importante della presente è di autorizzarti a dire a mio marito che non voglio più far vita assieme a lui, perciò…vedete quello che c’è da fare in Tribunale. Quando tutto è pronto mi fate comparire davanti ai magistrati, e io dirò che mi voglio separare da mio marito per incompatibilità di carattere.”
Ecco quindi il motivo di fondo per il quale Concetta è stata relegata tra i matti: lei desidera separarsi dal marito, questo comportamento allora era considerato scandaloso e folle.
E, poiché lei sa bene che la famiglia risente del suo comportamento ribelle, e potrebbe risentirne ancora di più, minaccia, scrivendo al fratello: “Non farti illusioni: se mi lasci ancora del tempo qua, io non voglio stare neanche con voi, ma mi metto con uno qualunque alla faccia vostra perché non mi avete trattato da sorella.”
Ma questa minaccia, disperata e estrema, non può essere attuata, e Concetta lo sa bene. Perciò, certo dopo avere molto riflettuto, non potendo più sopportare l’arida solitudine del manicomio, ella scrive che, pur di vedere “sia pure per cinque minuti una faccia che mi sorrida e che mi parla e ascolta le mie parole, sono pronta a fare qualche altro sacrificio… Perciò se c’è qualcuno che ha pietà del mio stato disperato ed è generoso e nobile da pregare per me per ottenere il perdono, io resto in piedi finché mi reggo… Ho finito ormai tutto il mio coraggio.”
Queste parole erano rivolte al marito, al quale Concetta incomincia a scrivere, dopo aver capito che dalla famiglia non può attendersi nessun aiuto. Ella infatti incomincia a scrivere al marito, mutando completamente tono. Adesso non vuole più separarsi, ma vuole solo riconciliarsi, naturalmente per uscire dal manicomio.
“Mio caro Acuzzo,
mi decido a scriverti visto che con le chiamate a voce non ti decidi a venire. Mi sembra che eravamo marito e moglie, e adesso siamo ritornati fidanzati e si deve incominciare con le letterine amorose. Ti prego di perdonarmi se la presente non è scritta su un foglietto profumato e con frasi troppo espansive perché il recapito è per mezzo di una suora, e io ti so attaccato alla decenza e geloso. Stai pur tranquillo che di scritti finché non arrivi non te ne farò mancare…”
All’incirca in questo periodo il medico nota un miglioramento: Concetta è più calma e sembra ritornata in sé.
Ecco ancora un’altra lettera, la successiva:“Mio caro Aguzzo, stasera prendo la penna per scrivere a te caro tesorone mio. Prima di tutto mi auguro che stai benone assieme agli altri e che ti sei dimenticato il brutto ricevimento (accoglienza) che ti feci l’ultima volta che mi sei venuto a vedere. Ti prego di perdonarmi che ero talmente esasperata che non sapevo quello che facevo, ma del resto hai avuto tante prove del bene che ti voglio che queste sgarbatezze che ti ho fatto durante questa malattia non le perdoni…”
Queste parole di Concetta giustificano davanti ai medici il comportamento precedente della donna che, evidentemente, allora, non era in sé e non si rendeva conto di quel che faceva.
Invece, se guardiamo la situazione dalla parte di Concetta, essa tramite la sofferenza psichica ha espresso la sua protesta nei confronti di una realtà che non rius...

Indice dei contenuti

  1. INTRODUZIONE
  2. STORIA DI AMAL
  3. Il caso di Carla
  4. Sabrina e le altre
  5. Woodstock 1969
  6. STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
  7. La sirena
  8. SENTIRSI VECCHI
  9. VENDESI SCARPETTE DA NEONATO NON USATE
  10. UN FEMMINICIDIO
  11. UNA MAESTRA a ORGOSOLO
  12. ELISA
  13. LA STREGA DELLE MONTAGNE
  14. MARGHERITA
  15. Storia di Mary
  16. IL PERCORSO DI MIRIAM
  17. CARO DIARIO…