La mia sosta perfetta
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La mia sosta perfetta

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Informazioni sul libro

Una volta mi è stato detto di scrivere solo delle cose che conoscevo e di cui avevo avuto esperienza perché, sulle pagine, sarebbero sembrate molto più vive.
Questo libro è tutto quello che so e, per me, queste pagine trasudano vita a ogni parola. Spero che voi possiate sentirla, perché, adesso, sono così grato di poterla avere che quasi mi esplode il cuore.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788868826017

Giorno -1

 
Abbiamo saltato l'ultima lezione per poter sfruttare le poche ore di luce del pomeriggio. Dobbiamo parlare meglio del nostro progetto - se così vogliamo chiamarlo. Abbiamo scelto una panchina al sole al parco e ci siamo seduti lì. Durante il viaggio un paio di volte siamo caduti nel consueto silenzio imbarazzante, ma è normale. Dobbiamo ancora iniziare con il nostro piano. Dopo non succederà più. Ci ho pensato questa notte e ho pensato che potrebbe funzionare davvero. Ci voglio credere.
«Ho pensato che dobbiamo farci una promessa in modo ufficiale» dice lei poco dopo che ci siamo seduti.
«Sì, mi sembra lecito» rispondo.
Stringere una promessa rappresenta un ulteriore obbligo morale cui non posso sottrarmi. Non amo venire meno alle mie promesse.
«Bene, allora... promettiamo di essere sempre sinceri l'uno con l'altro se vogliamo che questo funzioni. Niente bugie, mai. E poi... potremmo sempre chiedere all'altro qualsiasi cosa lo riguardi...»
È partita carica, come se avesse un elenco infinito di cose da dire, ma non ha già più niente da aggiungere.
«Ti viene in mente altro?» mi domanda.
Aspetto un attimo prima di rispondere e sposto lo sguardo su due bambini che, nel prato, si stanno rincorrendo. Sorrido.
«Sì, una cosa c'è. Promettiamo anche di parlare solo così, faccia a faccia. Niente messaggi, niente Facebook, niente se non questo».
Mi è venuto in mente adesso, sul momento, ma mi sembra una bella idea, un bell'esperimento.
«Neanche un sms?»
«Solo per metterci d'accordo, niente di più».
Lei mi guarda per un po' con espressione concentrata. Sta valutando la mia proposta.
«Sì, ci sto» conclude alla fine. Tende il suo mignolo verso di me. Sorrido ancora perché mi ricorda quando ero bambino, proprio come quei due che continuano a rincorrersi poco lontano da noi. Lo facevo spesso. I nostri mignoli si avvinghiano l'un l'altro e ci guardiamo intensamente come se stessimo stringendo un patto con il sangue. Sono solo due mignoli che si stringono, ma in quel momento sembrano la cosa più importante del mondo. La promessa che ci impegneremo e combatteremo contro le nostre paure, per diventare più forti, per diventare migliori.
Sono quasi le quattro. Siamo a metà Dicembre e nonostante questo il sole si è affacciato oltre le nuvole e sta riscaldando la terra, l'erba, le panchine, con la sua luce timida. Sembra quasi primavera.
«Oggi è proprio una bella giornata, vero?» domando dopo un po' di silenzio. Lei accenna un sorriso e scuote appena il capo.
«Che c'è?» domando io sorridendo a mia volta.
«Niente, è solo che siamo qui per cercare di superare questo imbarazzo che ci ostacola continuamente nella nostra vita e tu... tu parli del tempo. È risaputo che è l'argomento tappabuchi per eccellenza. Mi fa sorridere» dice lei sostenendo il mio sguardo.
«Non è come dici tu, questa volta... non intendevo quello» rispondo io. Non è tutto ciò che volevo dire e lei sembra capirlo dal mio sguardo. Ecco il blocco, che mi ferma. Le parole incastrate in gola. È più forte di me, non riesco a continuare.
«E cosa intendevi?» mi incita lei continuando a cercare il mio sguardo.
Sono qui per questo. Per combattere questa stupida paura. Devo farcela.
«Ho pensato che questa è proprio una bella giornata e che mi piace come la sto passando e mi piacerebbe passarla così fino a quando non va via il sole. Con te. Magari possiamo sdraiarci sull'erba e stare semplicemente così. Che ne dici?»
Dico tutto di un fiato, come se prendere una pausa fosse sufficiente a farmi fermare definitivamente.
«Penso che io e te andremo molto d'accordo» dice alzandosi. Fa qualche passo e studia il prato prima di lasciarsi cadere dove l'erba le sembra più soffice e verde. Sto per alzarmi quando la sento esclamare «Fanculo!». Si tira velocemente su e io studio divertito la sua espressione schifata.
«C'è una merda di cane!»
Scoppio a ridere. Allora non sono l'unica persona sfigata a questo mondo. Ride anche lei e si mette di fianco a me che intanto mi sono seduto per terra. Quando finiamo di ridere ci sdraiamo uno al fianco dell'altra.
«Qui non c'è nessuna merda, ho guardato» dico infine.
«E comunque... anche tu sei carina» aggiungo poco dopo. Se non glielo devo dire guardandola negli occhi è più facile. Non ci sto provando, ma mi sembra doveroso farglielo sapere.
«Bè, ci hai messo giusto ventiquattro ore per dirlo, ma... grazie».
Poi rimaniamo per lo più in silenzio a guardare il cielo e ogni tanto proviamo a indovinare qualche forma tra le nuvole.
 
Quando torno a casa sono quasi le otto, ma è uno strano silenzio quello che mi accoglie dopo che ho varcato la soglia. Mia sorella ha la camera al piano di sopra, ma dalla scala a chiocciola non vedo scendere nessuna luce, quindi deduco che non sia in casa. Probabilmente è fuori con i suoi amici. Anche la luce del salotto è spenta però e così anche la televisione. Questo lo trovo abbastanza strano. Sia mio padre che mia madre dovrebbero essere a casa. Lascio la giacca sull'attaccapanni e apro la porta della cucina. Non c'è nessuno neanche qui. La tavola è spoglia: né una tovaglia, né la cena pronta. Niente di niente. Solo una pentola sui fornelli con un po' di patate a mollo nell'acqua. Percorro il breve corridoio ed entro nella camera da letto. La luce è spenta e gli scuri sono chiusi, quindi faccio fatica a vedere anche dove sono i mobili, ma sento che mia madre è lì. La sento singhiozzare. Accendo la luce e la trovo seduta sul letto con la testa tra le mani. Di mio padre nemmeno la traccia. Hanno litigato, come sempre ormai. Mi siedo di fianco a lei e la stringo un po' a me, odio vederla così.
«Cosa è successo?» domando.
Continua a piangere come se non avessi detto nulla e si allunga verso il comodino per afferrare un rotolo di carta igienica. Ne strappa due pezzi, con uno si soffia il naso e con l'altro si tampona gli occhi gonfi di lacrime.
«Se ne è andato» sussurra nei pochi secondi in cui riesce a trattenere le lacrime per poi riprendere a singhiozzare.
«Tornerà, lo sai».
Non sono mai stato bravo a consolare le persone, ma non smetto mai di provare. Odio vedere le persone stare male.
«Sì, lo so» risponde adesso che ha ormai soffocato tutte le lacrime.
«E allora che piangi a fare?» le chiedo sistemandole la frangia che continua a caderle davanti agli occhi.
«Non è più l'uomo che ho sposato. Non lo riconosco più. Cosa ci è successo?»
Quella domanda rompe tutti i freni che aveva messo alle lacrime che adesso riprendono a scorrere dai suoi occhi come pioggia da nuvole gonfie e grigie.
«Ancora per le sigarette?» le domando con tono sfinito. È da quando sono piccolo che assisto sempre al solito teatrino. Mio padre promette a mia madre che non fumerà mai più. Lei fa finta di crederci, poi, per un motivo o per un altro, mio padre riesce sempre a fregarsi e lei lo scopre e litigano. E poi riprendono da capo: lui promette, lei fa finta di credergli, poi lo scopre e litigano e così via da quando ne ho memoria.
Lei annuisce semplicemente con il capo.
«Mà, lo sai cosa penso. È un uomo di cinquant'anni ormai e sarà una vita che cerchi di farlo smettere. Non ce l'ha mai fatta, non ce la farà certo ora. Lasciagli fare quello che vuole, è un uomo adulto e vaccinato. Lo sa che fa male, non è uno stupido».
Anche io odio il fatto che mio padre fumi. Io delle sigarette odio anche solo l'odore e del sapore non posso dire nulla perché non le ho mai provate. Ricordo che il primo anno dopo aver scoperto che Babbo Natale non esisteva avevo scritto una letterina a mio padre chiedendogli come regalo che lui smettesse di fumare. Ovviamente non l'ha fatto.
«Non è il fatto che fumi che mi manda su tutte le furie, ma il fatto che continui a dirmi che ha smesso anche se non è così. Perché cavolo deve mentire!?»
Anche se è parecchio amareggiata e arrabbiata, mantiene il tono basso. È fatta così, cerca sempre di controllarsi.
«Perché non gli lasci altra scelta» la rimprovero io.
Lei mi riserva un'occhiataccia ma non dice nulla.
«Non gli hai mai lasciato libertà di scegliere, ecco perché continua a rifilarti bugie su bugie» concludo.
«Lo faccio per il suo bene».
«Lo so».
Si avvicina a me e si lascia abbracciare. Stiamo in silenzio per un po' e ogni tanto le bacio il capo.
«Tu non fumerai mai, vero?» mi chiede poi.
Io sbuffo. Lo sa che mi fa schifo.
«Mà, come te lo devo dire? Io vado solo di cannoni».
«Scemo» sussurra e mi allontana con la spinta di una mano. Mi sorride e si alza per andare in cucina dove le patate stanno aspettando di diventare la nostra cena.
 
 
Cosa ci è successo?
Quella domanda mi ronza in testa e non vuole saperne di andarsene. A volte la vita ci porta dove vuole lei, cambia destinazione e nemmeno ce ne rendiamo conto. Siamo isole in balia della corrente che difficilmente possono gettare un'ancora per salvarsi.

Giorno 1

Controllo ancora una volta il cellulare. Ho scambiato un paio di sms con Sara, ma solo per accordarci, come avevamo promesso. Abbiamo deciso di incontrarci a casa sua, ha detto di avere una cantina molto grande dove nessuno ci verrà a disturbare. Mi ha dato l'indirizzo di casa sua e io sto provando ad arrivarci con il navigatore perché senza sarei perso. Dopo circa cinque minuti di macchina sono arrivato. Sara mi sta aspettando di fronte al cancello di casa sua e con le mani si sta sfregando le braccia. È uscita fuori in maniche corte ma è mattino presto e fa ancora freschino. Abbiamo deciso di vederci prima di andare a lezione dato che oggi le abbiamo solo nel pomeriggio. Mi affretto per raggiungerla perché non voglio vederla morire di freddo.
«Allora, l'hai trovata subito?» mi domanda iniziando ad aprire il piccolo cancello bianco. Ieri a lezione le ho raccontato che sono una frana e mi perdo di continuo.
«Sì, questa volta sì. Solo perché la strada è molto facile, praticamente tutta dritta» rispondo cominciando a seguirla lungo il giardino. La casa è molto grande e si sviluppa su tre piani. Fortunata lei. Casa mia è praticamente una tana. Per andare in cantina non dobbiamo nemmeno passare per la casa, una scala ci conduce direttamente lì dal giardino. Quando entriamo per un attimo mi fermo in contemplazione: è una cantina, eppure è quasi più bella del mio salotto. È molto luminosa perché ci sono parecchie luci e la cosa mi piace: odio i posti bui. Ci sono quattro poltrone messe a cerchio al centro della stanza e in mezzo un tavolino. Alla parete c'è un camino su cui svettano due corna di cervo.
«Ho preso un po' di patatine, qualche schifezza e da bere» dice indicando il tavolino in mezzo alle poltrone.
«Wow, grazie, non ce n'era bisogno» rispondo io un po' intimidito. Quando qualcuno dimostra di aver fatto qualcosa per me, per quanto di poco conto, la cosa mi mette in imbarazzo. Credo che Sara l'abbia capito perché subito ironizza:
«Bè, non ti abituare. L'ho fatto solo perché è la prima volta e devo fare una buona impressione, altrimenti non saresti più tornato. Acqua, coca o aranciata?» domanda infine prendendo posto sulla poltrona.
«Aranciata, sempre e comunque, ma ci penso io. Tu cosa vuoi?»
«Coca».
Verso con attenzione le bibite nei due bicchieri e poi le porgo quello con la coca. Lei mi ringrazia e io mi siedo sulla poltrona esattamente di fronte a lei iniziando a sorseggiare l'aranciata.
«Bene, è giunto il momento. Prima iniziamo, meglio è» dice lei posando il bicchiere sul tavolino.
«Già» dico io annuendo lentamente con il capo.
«Il primo giorno di questo strambo esperimento» aggiunge poi. Ho l'impressione che stia temporeggiando e quindi la assecondo, anche se in realtà avrei voglia di iniziare subito.
«Dovremmo tenere un diario dove annotiamo tutto quello che facciamo e anche per monitorare i miglioramenti? Come fa il protagonista di Avatar?»
«Sì sì, fai pure lo scemo. Intanto sappi che se funziona questo metodo lo brevetto a nome mio e divento ricca. Tu al massimo puoi accompagnarmi alle conferenze».
«Mi sembra giusto. L'idea è tua, io sono solo una cavia. Anche se... almeno un dieci per cento, così, in amicizia...» provo a convincerla, come se stessimo parlando di cose reali.
«Ci penserò su» conclude lei.
Poi scende il silenzio. Lei riprende in mano il bicchiere e sorseggia la sua coca cola. A occhio e croce toccherà a me rompere il ghiaccio se non vogliamo rimanere qua tutta la mattina senza nulla di fatto.
«Allora, iniziamo? L'argomento di oggi dovevi sceglierlo tu, no?»
Lei annuisce con il capo e con le labbra ancora impegnate con il bicchiere. Mentre si protende verso il tavolino per appoggiarlo nuovamente le chiedo:
«Devo avere paura?»
«Forse... l'altro giorno in università hai accennato di non essere molto fortunato in amicizia. Perché non mi parli del tuo migliore amico o la tua migliore amica, chi è, come vi siete conosciu...

Indice dei contenuti

  1. Giorno -2
  2. Giorno -1
  3. Giorno 1
  4. Giorno 3
  5. Giorno 4
  6. Giorno 5 – Giorno 62
  7. Giorno 63
  8. Giorno 65
  9. Giorno 66
  10. Giorno 67
  11. Giorno 68
  12. Giorno 71
  13. Giorno 74
  14. Giorno 75
  15. Giorno 78
  16. Giorno 79
  17. Giorno 81
  18. Giorno 84
  19. Giorno 89
  20. Giorno 99
  21. Giorno 100
  22. Giorno 101
  23. Giorno 102
  24. Giorno 103
  25. Giorno 104
  26. Giorno 105
  27. Giorno 112
  28. Giorno 113 – 119
  29. Giorno 120
  30. Giorno 121
  31. Giorno 121
  32. Giorno 122
  33. Giorno 129
  34. Giorno 131
  35. Giorno 132
  36. Giorno 133
  37. Giorno 80
  38. Giorno 134
  39. Giorno 135
  40. Giorno 107
  41. Giorno 138
  42. Giorno 139
  43. Giorno 146
  44. Giorno 148
  45. Giorno 149
  46. Ringraziamenti