Vado, ma poi torno
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Vado, ma poi torno

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Solamente se sei disposto a guardarti dentro, nel tuo profondo, potrai capire davvero chi sei e quale cammino intraprendere nella vita. Non conta quanto tempo ci impiegherai, se sbaglierai, se dovrai "correggere il tiro", se dovrai fermarti e ripartire, se dovrai cambiare strada, se i tuoi piani saranno sconvolti, sparigliati, scombinati, ma importa se sarai capace di ascoltare la carezza del vento, di farti toccare dal calore del sole, di scrutare l'irruenza del mare, di annusare la grazia della pioggia, di gustare la forza della vita. Conta se, alla fine, sarai capace di osservarti allo specchio e riconoscerti realmente. Nick è lì e si guarda; ripercorre il suo passato, costruisce il suo presente e pensa al suo futuro; per fortuna non è solo, non lo è mai stato, e questa, insieme ai suoi amici, è l'unica certezza che lo accompagnerà in questo viaggio. DAVIDE BARIGELLI è nato nel 1984 ad Ancona, dove vive; è laureato in Economia del Territorio e del Turismo. E questo è il suo primo romanzo.

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788868827564

CAPITOLO VIII

Era passato un mese da quella nottata, l’immagine era ancora nitida e facevo fatica a parlare di ricordo visto che tutto ciò era ancora stampato nella mia mente, ma dopo quella sera travagliata avevo deciso di trascorrere il mio tempo in piena solitudine, esclusa la frequentazione scolastica e qualche uscita sporadica, ero come nei più classici dei ritiri, simile ai calciatori che si preparano al meglio per affrontare il campionato, così anche io mi ero ritirato, con la scusa di essere rimasto indietro con lo studio per l’esame di maturità, per compiere invece un viaggio interiore che mi aiutasse a riarrotolare l’intera matassa del gomitolo che il filo della mia vita aveva intrecciato ben benino.
La primavera fortunatamente aveva deciso di anticipare il suo arrivo e Marzo, classico mese pazzerello, portò sole, dolce brezza, tiepido calore, alberi fioriti, prati verdi e giornate più lunghe, il tutto come a volermi fare da cornice per facilitare la mia comprensione, per aiutarmi a ritrovare la via; in fondo meditare, riflettere, pensare, assaporare la vita era molto più semplice da fare fuori casa, in mezzo alla natura.
Io, come sempre, avevo trovato il mio rifugio lungo il mare, ogni giorno facevo grandi passeggiate in quella distesa di sabbia disordinata, orfana dell’estate, scompaginata dall’irruenza del mare invernale che ancora portava i suoi strascichi.
Non importa che tempo facesse, il mio appuntamento era comunque all’aria aperta, a dialogare con me stesso, ad evadere da quelle quattro mura che erano troppo strette per trovare la forza di uscire dall’ordinarietà della mia vita e tendere allo straordinario, in casa effettivamente ero prigioniero di me stesso, delle mie paure, della mia stabilità, della mia famiglia e io. in quel momento. avevo bisogno di lasciare tutto per capire realmente.
I primi giorni furono difficili, già giustificarmi a scuola con gli amici per la scarsa partecipazione ad ogni cosa che esulasse dalla frequentazione mattutina non fu semplice, ma ancora più difficile fu convincere mia madre quando uscivo di pomeriggio con la pioggia, “ma dove vai? Non vedi che piove? Prendi l’ombrello, ma ti sembra il caso di andare a correre, ti bagnerai tutto! Nick, ma mi ascolti?!?”; lo sapevo che mi vedeva strano, che provava a capirmi, ma non ci riusciva, alla fine ero passato dallo sballo totale e dal tirare tardi ogni week-end all’isolamento totale con la necessità di uscire ogni pomeriggio, il tutto ovviamente condito dal “non-dialogo”, perché sapevo che se avessi appena accennato a qualsiasi bisogno personale di chiarirmi con me stesso lei avrebbe subito trovato qualche sua amica pseudo-psicologa da cui andare in analisi, ma io non avevo bisogno di quello, avevo bisogno solo di ascoltare il mio cuore.
La mia prima settimana, l’ultima di Febbraio, presi veramente tanta acqua, come se qualcuno volesse farmi recedere dall’idea di scavarmi dentro, ma io sapevo che l’inizio sarebbe stato duro, nonostante ciò non avevo alcuna intenzione di lasciar perdere; anzi mi piaceva il mare d’inverno, la sabbia bagnata conservava intatte le mie impronte, incastonandole nel suo cuore nell’attesa che la forza delle onde le sciogliesse con la sua bianca schiuma, le gocce di pioggia, briciole sull’immensità del mare, erano acqua che nutriva altra acqua nel più classico e perfetto ciclo della vita. Con me sempre portavo quel bigliettino che aveva segnato la mia vita, quello che avevo pescato dopo aver dialogato l’intera notte con quel sacerdote:
“Quando si agitava il mio cuore
e nell'intimo mi tormentavo,
io ero stolto e non capivo,
davanti a te stavo come una bestia.
Ma io sono con te sempre:
tu mi hai preso per la mano destra.
Mi guiderai con il tuo consiglio
e poi mi accoglierai nella gloria.”
(Salmo 73)
Tutto era partito da quella notte, dalla mia festa dei diciotto anni finita prima per colpa del tempo, dalla lettera di mio padre, dagli occhi sorridenti di quella ragazza, dalla intensa chiacchierata con il sacerdote, dalle risposte che quel bigliettino dava in poche righe a tutte le mie domande, dal mio sentirmi strano, nuovo, pieno di vita come non mai.
Le settimane successive combaciarono con un Marzo strepitoso, una primavera anticipata era segno di novità anche per me, infatti tutto piano piano si stava facendo assolutamente più chiaro, il mio ritiro era straordinariamente efficace, stavo ritrovando me stesso, o meglio, avevo trovato un nuovo Nicola, certo mi spaventava, ma al tempo stesso questa consapevolezza mi faceva star bene.
Aveva ragione la mamma, alla fine ero riuscito a trasformare quei sassi in fiori e la primavera era lì a dimostrarmelo, a farmi capire che la strada intrapresa era quella esatta: margherite, primule, calendule, violaciocche, pratoline, sassifraghe, tutte sbocciate in un tripudio di colori e di profumi, ma nessuna rosa, no quelle hanno le spine che da troppo poco tempo avevano punto profondamente la mia vita. Tutti quei fiori infondevano in me serenità e gioia, ecco anche la natura era lì a confermare che la strada scelta era quella giusta.
Non mi sembrava possibile, ma il tempo ci aveva già portato alla vigilia dell’appuntamento che ormai avevamo stabilito per il primo week-end di Aprile da passare come lo scorso anno al casolare del nonno di Ale; rispetto alla spensieratezza dell’anno passato questa volta arrivavo ad intraprendere il week-end con la responsabilità della maggior età che finora mi aveva portato tanta, troppa confusione anche se sentivo di essermi incamminato nella strada giusta per riordinarmi.
Partenza sempre dopo la scuola, quest’anno Ale aveva accettato di viaggiare con la macchina di Tommi, almeno così avevo appreso proprio la mattina quando avevamo caricato i bagagli nella sua Opel, ricordo per me di tutte quelle notti di trasgressione passate insieme e frutto poi della mia rinascita personale.
Avevo un po’ timore di questo viaggio perché dopo qualche mese di forzata “assenza” mi si presentava la possibilità di riprendere il contatto con loro, i miei amici, effettivamente mi rendevo conto di averli trascurato per ritrovare me stesso e capivo la loro difficoltà, soprattutto quella di Tommi da cui percepivo una certa insofferenza nei miei confronti.
“Ah, ci sei anche tu? Pensavo ti fossi dimenticato di noi!” mi disse proprio lui, quasi a voler ergersi a difensore anche di Ale e Jack “dai muoviti, carica lo zaino in macchina che poi dobbiamo andare a lezione”.
“Hai ragione, scusami…se è un problema la mia presenza forse è meglio che non vengo, ma se mi sarà permesso poi vi spiegherò tutto…”
Chiuse il bagagliaio senza rispondere, in fondo voleva anche lui capire che mi fosse realmente successo anche se non aveva proprio apprezzato quel mio comportamento, dopo che lui effettivamente mi aveva preso sotto la sua “aura protettiva”.
Finita la mattinata scolastica intraprendemmo un viaggio veramente strano, ovviamente davanti, vicino a Tommi ci stava Ale che faceva da copilota per indicare la strada esatta per Sigillo, dietro sedevamo comodamente io e Jack, l’atmosfera soporifera e silenziosa fortunatamente veniva coperta dalla musica “imposta” da Tommi, il suo repertorio era piuttosto variegato, passava dalla musica italiana al rock puro almeno per quello che avevo saggiato nei mesi trascorsi assieme a fare serate, ma stranamente questa volta, per tutto il viaggio, aveva scelto di farci ascoltare interamente l’ultimo cd di Vasco Rossi “Gli spari sopra”; una scelta che avevo apprezzato molto e che mi era sembrata assolutamente azzeccata soprattutto grazie a quella bellissima canzone “Vivere” che, senza bisogno di confessarcelo, toccava ognuno di noi, le nostre menti, i nostri silenzi, i nostri pensieri.
Vivere è passato tanto tempo
vivere è un ricordo senza tempo
vivere è un po' come perder tempo
vivere e sorridere!
Vivere è passato tanto tempo
vivere è un ricordo senza tempo
vivere è un po' come perder tempo
vivere e sorridere dei guai così come non hai fatto mai
e poi pensare che domani sarà sempre meglio
oggi non ho tempo, oggi voglio stare spento!
Vivere e sperare di star meglio
vivere e non essere mai contento
vivere come stare sempre al vento
vivere come ridere!
Vivere anche se sei morto dentro
vivere e devi essere sempre contento
vivere è come un comandamento
vivere o sopravvivere
senza perdersi d'animo mai
e combattere e lottare contro tutto contro
oggi non ho tempo oggi voglio stare spento!
Vivere e sperare di star meglio
vivere e non essere mai contento
vivere e restare sempre al vento
a vivere e sorridere dei guai
proprio come non hai fatto mai
e pensare che domani sarà sempre meglio!
Guardando fuori dal finestrino, mentre osservavo le meraviglia della natura con quelle belle distese di campi sulle colline marchigiane che anticipavano in lontananza gli imponenti e accattivanti monti del San Vicino, sulle note della canzone scorrevano nella mia mente le diapositive di tutti quei momenti personali da poco trascorsi, delle lotte interiori intraprese, delle salite e delle discese percorse strenuamente in solitaria per arrivare a quella libertà che il mio cuore ora serbava e di cui avrei reso partecipi di lì a poco i miei migliori amici; si, aveva proprio ragione Vasco, avevo sorriso dei guai, avevo pensato di stare spento, avevo deciso di essere morto dentro facendo finta di essere sempre contento, avevo anche pensato di sopravvivere, ma alla fine, dopo tutto, avevo scelto di vivere e di “pensare che domani sarà sempre meglio”.
Arrivammo a Sigillo, il paese era sempre lo stesso, come in un’atmosfera fiabesca nulla era cambiato, la stessa quieta, la stessa calma, la stessa serenità, con gli anziani beati davanti al bar del Circolo, i bambini, visto il pomeriggio primaverile, che giocavano nel piccolo e curatissimo parco cittadino, sotto lo sguardo vigile delle tante mamme apprensive.
Noi ci dirigemmo subito al casolare, anche qui tutto era come lo avevamo lasciato, in fondo nessuno veniva mai, Ale ce lo aveva detto, l’unico momento di vitalità che passava la casa era questo nostro week-end che lo animava e gli faceva rivivere i fasti gloriosi di quando il nonno e tutta la famiglia ci vivevano.
Sapevamo che anche questa volta avremmo dovuto risistemare ogni cosa, pulire le stanze interne, il salone, la cucina, il bagno, lasciando sempre intatto, senza metterci piede, il piano inferiore “off limits” per volontà di Ale, ma non era un problema perché faceva parte del gioco.
Questa volta però eravamo più tranquilli, conoscevamo il casolare e non potevamo avere grandi novità, visto che ormai eravamo di casa, anzi, in accordo con Ale, ci eravamo attrezzati proprio per passare la notte in maniera più comoda rispetto all’anno precedente, infatti avevamo portato dei materassini gonfiabili da campeggio, in modo tale che nessuno avrebbe dovuto sacrificarsi a dormire in quei nobilissimi divani d’antiquariato, tanto belli, quanto scomodi per appisolarsi.
L’atmosfera, sarà stata l’aria umbra, si era fatta molto più tranquilla, effettivamente ognuno aveva da preparare qualcosa, Ale e Tommi si davano il cambio per gonfiare i quattro materassini con la pompa a piede che comportava uno sforzo “immane” di gambe e muscoli, soprattutto per noi quattro ragazzi assolutamente poco atletici, io mi ero dato alla pulizia del bagno, argomento tabù che tutti avevamo bisogno di utilizzare, ma nessuno però voleva rassettare, mentre Jack, dopo aver sistemato la cucina, si era messo a impastare la pizza, quest’anno aveva deciso di prenderci per la gola e aveva ben pensato di mettersi all’opera in questo piatto che diceva gli riuscisse molto bene e noi ben lieti avevamo accettato di fare da cavie.
Finito di pulire scesi con Ale a fare la legna, mentre Tommi proseguiva nel gonfiaggio dell’ultimo materassino e Jack nella preparazione dei condimenti, mentre la pizza, inizialmente maltrattata e poi coccolata, lievitava dolcemente.
“Ale, che hai, ti vedo assente…tutto bene?”, effettivamente mi sentivo in colpa con ognuno di loro, in questi ultimi mesi egoisticamente avevo dedicato il mio tempo esclusivamente alla ricercare di me stesso e spesso ero stato sfuggente, magari anche nel momento del bisogno e ora, scrutandolo percepivo qualche difficoltà.
“Sì, tutto ok Nick…pensieri…chi non ne ha alla nostra età?!?” la sua risposta era sibillina, capii che mi nascondeva qualcosa.
“Già, chi non ne ha…e i tuoi quali sono?”
“Il futuro, Nick, tra poco avremo l’esame di maturità e poi, cosa ci riserverà la vita, tu lo sai? Io, adesso, sì”
“Bella domanda Ale, il futuro che parola difficile…io piuttosto userei il ‘domani’ e su questo, come diceva la canzone di Vasco oggi in macchina, so solo che sarà sempre meglio…”
“Beato te Nick che hai questa certezza, io invece del domani ho una gran paura, mi sento ancora piccolo, ma il domani già mi vuole grande.”
Non capivo che cosa intendesse con quelle parole, vedevo solamente quegli occhi azzurri, tremanti di paura, fissare il vuoto nel piccolo bosco dove eravamo andati a raccogliere la legna, camminava per inerzia e notavo che respirava avidamente quell’aria “montanara” come stesse in preda ad un attacco di panico. Ed io così mi sentivo ancora più in debito con lui, visto che invece avevo la pace nel cuore e non vedevo l’ora di potermi confrontare proprio con loro.
“Ale ma che hai, non capisco, ti vedo confuso, smarrito, indifeso…come posso aiutarti?”
“Niente Nick, ho una bellissima cosa da confessarvi che però mi pesa enormemente…guarda ve ne avrei voluto parlare a tutti questa sera, ma forse è bene che te la anticipi, così mi potrai anche essere di supporto.”
“Dimmi Ale, sono qui apposta…”
“Nick questo autunno, quando tu, ancora non so bene il perché, hai iniziato a frequentare, soprattutto nei week-end, Tommi in maniera ossessiva, cercando di fare la sua stessa vita trasgressiva, io avevo conosciuto una ragazza, Sonia ci siamo frequentati per un paio di settimane e poi niente, lei con una scusa mi aveva fatto capire che si era rimessa con il suo ex ed io, nonostante mi piacesse molto, a malincuore, in silenzio, mi ero messo da parte…”
“Ok, quindi…”
“Poi una sera di Gennaio, per puro caso, tu pensa io nemmeno volevo uscire, ci siamo rincontrati ad Ancona in Corso Mazzini davanti a Caffè Lombardo, io avevo preso la macchina quella sera perché appunto non avevo una gran voglia di far due passi e allora avevo deciso di muovermi con gli altri, ma in autonomia, e quando inaspettatamente ho incontrato Sonia non ho potuto non fermarmi a parlare con lei e mi sono staccato da loro perché avevo capito che lei sentiva il bisogno di chiarirsi con me ed io non potevo non ascoltarla… si, ok, lei mi aveva ferito, ma io ero innamorato, capisci?!?
Anche lei era in compagnia, con un paio di amiche, ma aveva lasciato loro intendere che aveva bisogno di far quattro chiacchiere con me e quindi eravamo entrati da Caffè Lombardo a berci una cioccolata calda.
Abbiamo parlato tanto…principalmente mi ha raccontato della storia con il suo ex e mi dava l’impressione che si rivolgesse a me come io fossi solo un grande amico ed io a quel punto ho cercato di fare un pochino la parte del “saggio in ascolto”, e mi faceva strano sentirla parlare di un altra persona, mi dava più l'impressione che avesse solo bisogno di confrontarsi con qualcuno. Poi invece, si è fatta seria, e mi ha chiesto scusa per come si era comportata con me e questo mi ha fatto un enorme piacere, anche se io già ero contento e soddisfatto di chiacchierare tranquillamente con lei, in fondo mi piaceva e guardarla negli occhi mi bastava.
Sai Nick, penso che avrebbe parlato con chiunque quella sera, mi dava l'impressione che si rapportasse a me quasi non fosse mai successo nulla, quasi non ci fossimo mai frequentati prima, a tratti era assente si guardava sempre intorno e si sentiva già una merda con se stessa per come mi aveva trattato per cui non me la sono sentita di insistere più di tanto nel chiedergli spiegazioni del suo comportamento che mi aveva ferito.”
“Che stupido che sono Ale, non ti sono stato vicino in quel periodo perché ero preso solamente da me stesso…beh sicuramente lei, quella sera quando vi siete rincontrati in Ancona aveva bisogno di parlare, av...

Indice dei contenuti

  1. PROLOGO
  2. CAPITOLO I
  3. CAPITOLO II
  4. CAPITOLO III
  5. CAPITOLO IV
  6. CAPITOLO V
  7. CAPITOLO VI
  8. CAPITOLO VII
  9. CAPITOLO VIII
  10. CAPITOLO IX
  11. CAPITOLO X
  12. CAPITOLO XI
  13. CAPITOLO XII
  14. CAPITOLO XIII
  15. EPILOGO
  16. RINGRAZIAMENTI
  17. Indice