LETTERE A FRANCESCA
Uno schianto
che non si può dire
CARCERE DI REGINA COELI, GIUGNO 1983
Mia cara Francesca,
so che non vuoi che io dica “grazie”, ma è difficile evitarlo. Spero di far uscire questa lettera: qui tutto è infinitamente, (per me, assurdamente) difficile, burocratico, lunare. Mi tiene in piedi, solo, la volontà di dimostrare a quelli che amo, di essere innocente, e di uscirne a testa alta. Ma è stato atroce, Francesca: uno schianto che non si può dire. Ancora oggi, a sei giorni dall’arresto, chiuso in questa cella 16 bis, con altri cinque disperati, non so capacitarmi, trovare un perché, una ragione: trovo solo un muro di follia. Se è possibile questo, Francesca, è possibile tutto. Sono cambiato dentro, credimi. Sono diverso. Amaro, distrutto. Se resisto, lo faccio per un orgoglio disperato, e per dimostrare alle figlie, a tutte le persone che mi stimano e che mi hanno amato, a te, a tutti, che non sono un gangster. Mi verrebbe da ridere, amore, se la cella non fosse vera, le manette autentiche, le notizie emesse sul serio. Non so, Cicciotta, se domani, giorno dell’interrogatorio, il tuo buon Dio o i miei Dei o la rabbia lucida che mi divora, mi daranno la forza di convincere i magistrati che hanno preso un abbaglio mostruoso, che è tutta una montatura (ma di chi?) e che questo è solo un incubo terribile. Ma il male è fatto, sai, e il mio lavoro polverizzato. Sarà lunga, forse improbabile ricostruire la verità. Perché io non voglio mezze misure. Voglio battermi fino all’ultimo per uscire pulito, amore: non so niente, credimi, te lo giuro con le lacrime agli occhi, è come se mi avessero catapultato sulla luna.
Ora so che tutto è possibile. È come se mi avessero accusato di aver ucciso mia madre, e dicessero di averne le prove.
Grazie, Cicciotta, per le tue parole.
Ti stringo forte al cuore, ma non ti nascondo: ho paura. Per la prima volta in vita mia, ho paura. Sei giovane. Cambia paese. Questo non esiste più. Se è possibile annientare un innocente così, è possibile tutto.
Sì, spero di vederti. Ma debbo dire: spero, Francesca.
Sarò forte per voi. Ma il cuore mi si spezza dentro a poco a poco. L’umiliazione è indicibile. Qui non si è più uomini. Ma bestie, Francesca. Sono una bestia che ragiona e parla come un uomo.
Ma a che serve? Sono innocente quanto te o Silvia: ma a che serve?
Grazie. Ti stringo forte al cuore. Sì, dormirò in questo lezzo, (e gli unici amici sai chi sono? I detenuti in cella, che mi hanno guardato in faccia e m’hanno detto “non c’entri”) e terrò la tua mano nella mia. Ti stringo forte, prima di giocarmi tutto, o quasi tutto, nell’interrogatorio di domani.
Amore, sii benedetta
Enzo
Ora ci pigiano in 7
in pochi metri
SABATO 2 L. E MERCOLEDÌ 6
Mio caro amore,
è il 16° giorno. Capisco, da un telegramma (qui arriva tutto in ritardo, e censurato) che la mia lettera, confusa, angosciata, ma mia, t’è arrivata. Ho messo i tuoi telegrammi in una busta, e ogni tanto rileggo le tue parole. Ti ricordi, grillo, il mio terrore per le “stanze dei sassofonisti”?1 Beh, mi hanno accontentato. Ora ci pigiano, in sette, in pochi metri. Come puoi immaginare, non è esattamente il Circolo del Golf. Ma oggi i miei amici sono qui, e sono questi. E ho imparato ad amarli, con il loro mondo così lontano. Ti dirò. Ma quando? Questo, Francesca, è il punto. Non so quando: (martedì o giovedì avrò, a quel che si dice, un “confronto” con un criminale o due che non ho mai visto: a questo è ridotto il diritto italiano) e poi non so. Quello che so, è che la lotta fra me, innocente, e l’Accusa, ormai impegnatissima a dover dimostrare il contrario (è un altro aspetto di questa farsa italiana) continuerà a lungo. Spero che Anna2 ti informi. Io non voglio uscire con nessuna formula vaga, con nessuna libertà di tipo “provvisorio”. Credo che chiederò di restare in carcere (qui, in un’isola, dove vogliono) fino a che non ne esco a testa alta. Non ho alternative, Francesca. Penso tu mi capisca. Lo spero, anzi. Ma questo può voler dire mesi. Mesi, amore.
Ho ritrovato, in questa avventura, in questo schianto che s’è abbattuto sulla mia vita, i frammenti di un mosaico spezzato: la mia povera vita, così balorda e nomade, così impulsiva e febbrile, s’è ricostituita in visi, volti, in figure, soprattutto femminili: le donne che ho amato, che mi hanno dato figli, alle quali ho dato dolori, non volendolo. Ti ricordi, amore, quello che (nemmeno fosse stato un presagio) ti dicevo a Genova, una notte? Quella mia ansia di chiudere i conti, di fare un bilancio, di scrivere davvero la parola “fine” su questa mia storia privata, che ora vedrai deformata e ignobile come solo i rotocalchi sanno rendere, in foto, in articoli, in figure. Beh, tutte queste donne, sono state con me molto care, molto buone, molto dolci. Lo devo ammettere. Io spero abbiano capito che non ho barato, non ho mentito, ho detto loro, con dolore, quello che pensavo. Ora sono alla fine, Francesca: tu sei l’ultimo viso, quello che nessuno conosce e quello che, con le mie figlie, mi è più caro. Sappilo. Ma sappi anche che tutto diventa orrendamente duro, difficile, angoscioso. Parti subito per le tue vacanze, Francesca. Non aspettare, ora. Questo è il mio pensiero. Per soffrire, basta uno. Sapessi cos’è il tempo, qui dentro. Un gocciolare interminabile, inutile, assurdo. Sapessi cos’è l’umiliazione di dover scrivere per ogni cosa (la più futile, come una lametta da barba, una lozione, un telegramma che verrà letto prima) “con ossequio”, in fondo ad una “domandina”. Si dice proprio così, come all’asilo, “domandina”. Sapessi la faccia dei secondini, che godono della tua miseria, e, di notte, vengono a vedere dalla grata Tortora che sta steso sulla branda. Sapessi l’afa, la puzza, il freddo, l’orrendo televisore acceso sempre a fortissimo volume, perché qui si stordiscono con tutto, è logico: so più cose sulle carceri, ormai, di qualunque infame Ministro della Giustizia. Una vita malsana che ti spezza. Difficile isolarsi, leggere, studiare. Sono cose che porterò, per sempre, chiuse nel mio cuore.
Tu m’ hai detto d’aver scoperto che è una balla dire “il primo amore non si scorda mai”. Ricordi? Ora imprimiti bene in mente un’altra balla, una consacratissima frase fatta: “il sonno del giusto”, “il sonno dell’innocenza”. Io non dormo affatto, amore. Io giro, ciabattando, attorno ai 10 metri che il regolamento mi concede. Li dividiamo in 7. Gli altri sì, dormono. Io no. Non ci riesco, eppure non ho rapinato, scippato, fatto mai male a una mosca. Vedi dunque, Francesca, come tutto qui subisca una scossa fatale, ultima, estrema.
Di’ a Renata3 che ho letto “Sissi”, e l’ho lasciato con dedica, a un compagno di sventura. Non credo l’apprezzerà. Ma noblesse oblige.
S’è tanto annoiato che me l’ha restituito.
Ogni tanto anch’io viaggio con te. Ma i miei compagni berciano facendo interminabili partite a carte. Penso a te, e invidio il tuo passato di giocatrice. Qui sono veramente, assolutamente solo.
Ho interrotto, scusami, e riprendo dopo la “botta” (ancora una) di quel mascalzone di avvocato4 di cui ti dirà Anna. Ma capisci?? Cicciotta, io non voglio impressionarti: ma l’uomo che uscirà di qui non sarà più lo stesso. Mancano 24, 48 ore a un interrogatorio (ma su che? Con chi?) si incrociano le voci, ogni TG è un colpo al cuore, ogni giornale una vertigine. Come spiegartelo? Amore, un incubo con tutto vero. Dalle chiavi della guardia alla vergogna di questo trascinare il tempo come forzati. Non mandarmi, amore, troppi telegrammi: lo so, lo so che significano. Ma dai retta a me. Scrivimi e, a fine settimana, aspetta. O la va, o la spacca. È una lotta incredibile, assurda. Non si può concepire. Purtroppo sto male. Teso come non mai, mi reggo solo per orgoglio. E per voi. Non so vivere che minuto per minuto, non so fare progetti. Non so fare più niente. Qui ci si abbrutisce, lentamente, inesorabilmente, tra un giaciglio e pochi passi.
Aria? Un cortile da incubo. Sogno di volare. Ma, purtroppo, sogno poco. Ho gli occhi sbarrati, non sono ancora convinto di essere qui, di essere io, capisci Cicciotta? Sii buona, non soffrire più di me, ti prego. Basto io. Ma vedrai: sarà lunga. Ho scritto ad Anna, amaramente. O la difesa scatena un pandemonio, o ci ingoiano come le sabbie mobili. Quante cose ho imparato, angelo mio… Non so se mi porteranno a Napoli, se resterò qui. Non so niente.
Ti abbraccio. Non piangere, greca. Ti giuro che se Ulisse torna, il bacio più grande sarà il tuo
Enzo
Sono due disonesti intellettuali
arroccati al loro errore
GIOVEDÌ 11 LUGLIO
Mio caro amore, visto?
Annullato anche questo interrogatorio. Non hanno niente, in mano. Ora cercano follie fiscali, si ridurranno a dimostrare che non ho pagato l’Iva o che i soldi della Grappa Piave5 erano di Turatello. Non ridere. È così. Sono due disonesti intellettuali, arroccati al loro errore. Gli avvocati (loro) sono ottimisti. Io, ti ho detto. Un “confronto” tra i loro bei soggetti è fallito a mio favore. Crolleranno anche gli altri, ma il tempo, i mesi, i giorni passeranno. Sto diventando un bruto.
Ogni notte vedo le Plejadi, mio dolce trapezio celeste e terrestre: ti bacio tanto, Cicciotta. Ma ti ripeto: vai in vacanza. Io aspetto un cenno dai miei legali e poi chiederò come ti ho detto la traduzione a Bergamo. Più vicino a loro, meno frastornante di Regina Coeli: ho bisogno di pace. Ti sembrerà strano: ma in cella è sempre un frenetico muoversi, agitarsi, urlare, camminare, giocare (per chi gioca) a carte: e non ti dico il resto. Siamo 7. Sette in dieci metri e mezzo. Fai i conti. E dimmi cos’è lo spazio vitale, l’area privata. Ma ora basta. Sii forte. Doveva capitare a me. Ho anche chiara, netta, la visione del danno, irreparabile, alla professione. La mia intenzione di andarmene, strappando il passaporto, è sempre più forte.
Ti abbraccio amore mio. Pensa a me… Ma vivi.
Enzo
Fa impallidire
le peggiori retate naziste e di Pinochet
MARTEDÌ 12 LUGLIO
Mio caro amore,
nessuno, credimi, tradisce, in queste ore. Per me questo è l’unico sollievo. L’ultimo tuo telegramma dice che “il conto alla rovescia è cominciato”. Certo. Domani, avrò, dopo tanti rinvii, umilianti spostamenti (anche questi dimostrativi di un partito già preso) un confronto con i giudici, magari con i gaglioffi che mi accusano. Sì: avrò il conforto degli avvocati. Ma, amore mio, io ti debbo essere sincero. Sarà dura. Essi hanno già deciso. Attaccata al mio nome c’è la credibilità di tutto il loro lavoro, quel blitz del 17 giugno che fa impallidire, come rozzezza di esecuzione, labilità di indizi, garanzie costituzionali, le peggiori retate naziste o di Pinochet. La “posta”, dunque, sono io. E sai che ho testa lucida, “politica”. L’avrei fatta, ricordi? E dunque amore: non t’illudere. Non siamo alla fine. Siamo solo al principio.
Non piangere, ti prego. E vai in vacanza, anche se sarà dura perché mi ami, ma vai. Io credo che chiederò, piuttosto, un cambiamento di carcere. Andrò a Bergamo. Mi è stato consigliato perché più piccolo, più vivibile. Ne uscirò, certo. Ma fra mesi. Mettitelo, amore, in testa e inchiodatelo nel cuore. Sono diventato ancora più bianco, sai? Sembro papà Natale. Tra qualche giorno, farò piazza pulita dei capelli (qui c’è un detenuto bravissimo col rasoio) e così sarò ancora più simile a quello che in fondo sono: un forzato.
L’importante è che il cuore regga, ma non dipende completamente da me. Sarà una lunga, terribile, sfibrante battaglia. E alleati (che mostruosità!) sono due giudici che non hanno l’onestà intellettuale di ammettere la loro cosmica gaffe, e dei criminali disposti a tutto pur di far fumo, seminare infamie, dire follie. In mezzo io, con la vita e il lavoro distrutti.
Francesca, amore, io preferisco essere chiaro. Mi capisci, vero?
Tu hai bisogno di riposo, inizi un’attività nuov...