L’ALABASTRO
Sono davvero poche le materie che si possono completamente identificare con un luogo: uniche e irripetibili come un paesaggio mai uguale a sé stesso, o come una città dalle mille facce e dalle infinite storie, così simili ai riflessi di luce che penetrano tra le vene della pietra e ne escono rigenerate. È questo il caso del rapporto speciale e indissolubile che lega Volterra e la sua “materia” per eccellenza: l’alabastro.
La storia dell’alabastro a Volterra è tanto antica quanto attuale. L’impiego del materiale estratto da alcuni dei filoni bianchi più belli del volterrano risale all’età etrusca, in particolare al periodo ellenistico – tra la fine del IV e il II secolo a.C. – epoca in cui tutta la cultura delle popolazioni italiche fu plasmata da quella koinè culturale del mondo mediterraneo nata nelle corti ellenistiche, eredi delle conquiste di Alessandro Magno. La circolazione di idee, di opere d’arte e di artisti, grazie soprattutto alla conquista del Mediterraneo orientale da parte della potenza di Roma, ebbe il suo potente riflesso anche nelle città etrusche e a Volterra in particolar modo, soprattutto in una precisa classe di monumenti: le urne cinerarie a cassetta. Ben presto, sin dall’inizio della produzione, i rilievi realizzati sulle casse delle urne trovarono proprio nell’alabastro – ancor più che nel pur morbido calcare – il miglior veicolo di trasmissione per le complesse forme espressive che caratterizzavano i temi mitologici e funerari derivati da iconografie pergamene ed elleniche e per le rappresentazioni dei defunti distesi a banchetto sui coperchi delle urne.
Questa elaborazione di modelli colti fu opera di vere e proprie botteghe d’arte sorte attorno a un maestro coadiuvato da collaboratori e allievi. Alcune personalità di spicco, probabilmente di origine greca, sono riconoscibili sin dal III sec. a.C. in una produzione che si fece via via sempre più articolata e complessa, elaborata secondo i dettami di una classe aristocratica cittadina tanto imbevuta di una cultura figurativa “internazionale”, quanto legata ad una produzione coralmente volterrana, non estranea alla seduzione di una potente volontà autocelebrativa in cui l’alabastro diveniva significante e significato al tempo stesso. Se infatti la docilità della materia ben si attagliava a veicolare le iconografe più ardite e la composizione di schemi dedotti da un linguaggio decorativo di matrice ellenica rielaborato secondo gusti e committenze locali, allo stesso tempo la scelta dell’alabastro volterrano, e solo a Volterra, completava il processo identitario di un’élite etrusca che avvertiva forte la propria unicità e il legame con la propria terra. Non è un caso che la ricchissima produzione artistica di urne cinerarie in alabastro di età ellenistica non sia mai divenuta un prodotto da esportazione. Per quanto strutturata, la produzione di urne etrusche in alabastro fu un fatto straordinariamente volterrano, condiviso con il territorio della città stato, e solo raramente identificato lontano da Velathri, in casi probabilmente legati a vicende e spostamenti personali.
La lavorazione dell’alabastro quasi assente nel medioevo – se si escludono pochi reperti tra cui due capitelli conservati all’Ecomuseo dell’Alabastro – rinasce nella seconda metà del Cinquecento con opere essenzialmente di arte sacra che valicano ben presto i confini cittadini e vengono apprezzate in tutta la Toscana.
La produzione di alabastro a Volterra si struttura alla fine del Settecento con la fabbrica voluta da Marcello Inghirami Fei. Di lì in poi le creazioni volterrane saranno capaci di incontrare il gusto di committenze sempre più globali e di penetrare all’interno dei palazzi reali, delle corti e nelle residenze patrizie di tutto il mondo. Una capacità che portò all’organizzazione di botteghe in cui la finissima tecnica si sposava alla creazione di forme neo-classiche non prive di tendenze veriste, contemporaneamente alla ricerca e alla sperimentazione di percorsi iconografici inusuali quali i temi ispirati ad un oriente lontano e immaginifico. La ricerca di nuovi stilemi e la capacità di adattamento alle richieste portò gli artieri dell’alabastro a cogliere le corrispondenze ideali tra l’alabastro e le forme del primo Novecento, interpretando la materia – la loro materia – secondo i gusti correnti dell’Art Déco e del Liberty e a sperimentare inediti percorsi iconografici cui non furono estranee inclinazioni verso le avanguardie degli anni Venti e Trenta.
In pieno Novecento l’incontro con il design e la declinazione della solida tradizione figurativa in un linguaggio contemporaneo hanno tenuto viva la consapevolezza artistica dell’alabastro e dei suoi artieri, pur nella necessità di dover ricollocare l’esperienza delle botteghe volterrane nella contestuale rapida caducità delle vicende artistiche contemporanee. Tuttavia è proprio nell’esperienza delle botteghe che sopravvive il legame con l’antico, il filo rosso che lega la produzione di alabastro etrusca alle esperienze delle fabbriche dell’Ottocento e del Novecento, in cui la trasformazione della materia non si risolve mai in un semplice episodio fattuale o artigianale ma anzi – attraverso l’ideazione, la creazione e l’elaborazione – finisce per plasmare quella stretta relazione identitaria tra materia e luogo, tra cultura figurativa e popolazione che diventa il mezzo per far sedimentare un diffuso livello culturale in un’ampia compagine sociale cittadina.
In epoca moderna questa forte identità si accompagnò al legame degli artieri con istanze sociali, ideali politici e passioni – prima fra tutte quella per la lirica – che resero la trasformazione dell’alabastro un’opera dalla dimensione corale: un’attività di “operosità collettiva” in cui orari e feste venivano scanditi dai ritmi del lavoro e la polvere bianca invadeva benevolente le strade e i vicoli quasi a voler dare una partecipazione totale alla città.
Di tutta questa storia millenaria il volume racconta i volti e le mani delle urne etrusche, per arrivare ai volti e alle mani degli artieri di oggi, giovani e meno giovani l’uno accanto all’altro, ritratti nelle loro botteghe, vicino a strumenti vecchi e nuovi, tra scaffali ricolmi di idee, forme e modelli, in un lento fluire di sapienza e laboriosità che attraversa il passato remoto e si proietta verso il proprio futuro.
Urna cineraria ellenistica
Museo Etrusco Guarnacci
Sul coperchio il defunto disteso sul fianco sinistro a torso nudo con una ghirlanda al collo, tiene in mano una patera. Sulla cassa rilievo con scena di incontro tra il marito defunto che appare alla moglie distesa sulla kline per chiamarla all’altro mondo, dietro di loro il demone femminile etrusco Vanth con le ali spiegate e la torcia tra le mani.
Coperchio di urna cineraria ellenistica
Museo Etrusco Guarnacci
L’uomo, vestito con tunica e mantello ha il capo velato e coronato. E’ sdraiato sul fianco, ritratto nella tipica posizione del banchetto, con il gomito sinistro appoggiato su due cuscini elegantemente ornati con nappine angolari e orlo ondulato; nella mano sinistra tiene una coppa rovesciata e una cornucopia nella destra.
Coperchio di urna cineraria ellenistica
Museo Etrusco Guarnacci
La corrosione del tempo e dell’acqua aumentano la drammaticità dello sguardo fisso e intenso di questo personaggio maschile con la testa coronata, vestito con tunica e disteso sulla kline.
Coperchio di urna cineraria ellenistica
Museo Etrusco Guarnacci
Il volto pensieroso, sottolineato dal mento appoggiato alla mano, lo sguardo lontano e la testa velata di questa figura maschile, declinati dalla carnalità del rilievo, ne esaltano il senso di religiosa pietas che il defunto ha voluto lasciare a eterna memoria del proprio ricordo.
Tazza d’Arianna
Galleria Leonardo
La coppa emisferica in agata con bordo decorato da ovoli in rilievo poggia su a una base rialzata quadrangolare. Sul bordo della tazza quattro colombi in alabastro scaglione trasparente ritratti in quattro pose: l’“Alzino” con le ali alzate, il “Bevino” con la testa china per bere dalla coppa, lo “Spucino” intento a ripulirsi e il “Guardino” attento a ciò che avviene attorno a lui.
Galleria Leonardo
Tra le fonti di ispirazione che hanno caratterizzato la moderna produzione di alabastro l’arte classica è senza dubbio basilare. Le riproduzioni di opere classiche, come questa Nike di Samotracia in bell’evidenza al centro, ha costituito una delle chiavi di successo dell’affermazione dell’artigianato volterrano e della sua espansione sin dalla fine del Settecento, anche trainata dalla vas...