Federico Mazzini1
«MECHANICAL VAUDEVILLE». DIVULGAZIONE
DELLA SCIENZA E TRIVIALIZZAZIONE DELLA
GUERRA IN POPULAR SCIENCE MONTHLY
Trivializzare la guerra, divulgare la scienza
George Mosse definisce il «processo di trivializzazione»2 del primo conflitto mondiale come l’azione combinata di diversi oggetti e performances a tema bellico (cartoline e illustrazioni, spettacoli teatrali e cinematografici, giocattoli e souvenir), volta a neutralizzare gli elementi più sconcertanti e violenti della guerra di trincea e a renderla una parte relativamente non problematica della quotidianità della popolazione civile. La trivializzazione è «un modo per affrontare la guerra, non attraverso l’esaltazione o la glorificazione, ma rendendola familiare, un fenomeno che l’individuo poteva scegliere e dominare»3.
Sebbene i singoli fenomeni che compongono il processo siano stati oggetto di sistematica attenzione, la categoria che ne propone una lettura combinata non ha conosciuto un successo storiografico comparabile a quello del «processo di brutalizzazione». Nonostante Mosse ponga entrambi i processi alla base del «Mito dell’Esperienza di Guerra», la categoria di trivializzazione è ampiamente accettata, quasi data per scontata4, ma raramente problematizzata. Eppure nel processo di trivializzazione, nell’azione combinata di fenomeni di produzione, comunicazione e consumo di massa, risiede una delle chiavi per comprendere le «culture di guerra» del primo conflitto mondiale e, più in generale, il rapporto tra guerra e modernità. L’oggetto a tema bellico è il luogo di incontro tra gli interessi commerciali dei produttori, le preferenze di intrattenimento della popolazione civile e le costrizioni imposte dall’apparato di censura e propaganda nazionale. Nelle forme retoriche che lo caratterizzano è possibile cogliere l’evoluzione che il racconto di una guerra in corso impone a forme tradizionali di intrattenimento e comunicazione; dalla scelta dei temi e dal loro successo commerciale è possibile cogliere quali aspetti della guerra totale fossero legittimo oggetto di trivializzazione e quali media vi fossero particolarmente preposti.
Ben più dibattuta, e di certo ben più contestata, è la categoria, non esclusivamente storiografica, di divulgazione scientifica o popolarizzazione della scienza. I numerosi studi apparsi negli ultimi venti anni sono concordi nel rigettare il modello «diffusionista» (tradurre in parole semplici la complessità di una scienza/verità scoperta in laboratorio) e nel sottolineare piuttosto la complessa interazione tra praticanti, istituzioni e pubblico nella creazione di un’idea di scientificità5. Pensare la divulgazione come una narrazione rivolta un pubblico specifico, come auspicato da James Secord6, e analizzare le strategie retoriche imbastite per realizzarla non significa tuttavia soltanto cogliere l’idea di scienza, scienziato e scientificità che risulta dalla negoziazione tra diversi attori, ma anche inserire lo sforzo di divulgazione all’interno di pratiche e fenomeni di più ampia scala e di diversa natura. In questo saggio guarderò alla divulgazione della tecnologia bellica negli Stati Uniti negli anni 1915-1918, leggendola, nelle pagine di «Popular Science Monthly» (d’ora in poi PSM), come parte del processo di trivializzazione del conflitto. Nel farlo mi rivolgo a un luogo inusuale per gli studi sulla cultura di guerra e a un arco cronologico insolito per gli studi sulla percezione pubblica della scienza negli Stati Uniti, che hanno tradizionalmente prestato minore attenzione al XX secolo e, in particolare, pur con importanti eccezioni7, al periodo che separa la controversia darwiniana dal dibattito sulla teoria della relatività8. Eppure, come spero di dimostrare attraverso questo caso, questo luogo e questo periodo possono offrire spunti interessanti per entrambe le aree di studio. Negli Stati Uniti il processo di trivializzazione poteva contare su un mercato e una cultura del consumo che non aveva pari, per estensione e modernità dei mezzi e delle tecniche comunicative, in Europa. La distanza dai campi di battaglia e il particolare sistema di censura e propaganda imbastite dalla Creel Commission (vedi sotto) permettevano da una parte una maggiore libertà di manipolazione narrativa del conflitto e dall’altra il perseguimento di obiettivi a volte diversi rispetto a quelli della narrazione ufficiale. D’altro canto, sulle pagine delle riviste di divulgazione si possono cogliere i conflitti nella definizione di scienza e scientificità in un periodo di transizione. Il dibattito sulla scienza pura di contro alla scienza applicata vedeva, su spinta del conflitto, un nuovo accento su quest’ultima9, che PSM è pronta a sfruttare. Il ruolo principe dell’inventore nel processo di innovazione, garantito nel corso dell’Ottocento dal moderno sistema di brevetti statunitense10, era sempre di più messo in discussione dalla ricerca universitaria e dei laboratori aziendali – un’evoluzione che la retorica di PSM si occuperà di correggere.
Ma forse ancora più interessante è l’intrecciarsi e reciproco rafforzarsi dei due campi. Scienza e guerra alimentano un mercato di consumo nella forma di romanzi, articoli in riviste generaliste, giocattoli e gadget. La scienza, in particolare quella «applicata», raggiungeva un nuovo apice di celebrità popolare e di penetrazione nella vita quotidiana ed era al centro delle speranze utopiche dell’era progressista. La guerra – e in particolare la guerra tecnologica era oggetto di romanzi e racconti ben prima dello scoppio del conflitto11. Popolarizzazione della scienza e trivializzazione del conflitto condividono, nelle pagine di PSM, mezzi, temi e obiettivi. Nel propagandare l’idea di un’innovazione «democratica», alla portata dei non specialisti, PSM afferma l’importanza della ingegnosità dell’individuo e la sua capacità di influire sulle sorti della guerra tecnologica e di massa. Trivializzare il conflitto significò inoltre salvaguardare una specifica idea del ruolo della scienza nella società. Le riviste di divulgazione scientifica si sforzarono di risolvere la contraddizione tra l’ideologia del progresso e il massacro tecnologico in corso, salvaguardando, almeno temporaneamente, l’utopia progressista di giustizia sociale attraverso la tecnologia e l’ideale di una gestione scientifica delle cose umane12.
Mechanical Vaudeville
Alla fine del 1915 Popular Science Monthly cambiava proprietà, direzione e linea editoriale. Fondata nel 1872 da Edward Livingstone Youmans, con il fine di spiegare le scienze fisiche e sociali alle «classi di generica educazione»13, la rivista mensile aveva raccolto negli anni contributi da alcuni dei più eminenti scienziati e divulgatori del tempo (tra gli altri Spencer, Huxley, Tyndall) e aveva significativamente contribuito alla diffusione delle idee darwiniane negli Stati Uniti14. Nel primo decennio del nuovo secolo la rivista entrava però in crisi di vendite. Il fallimento finanziario del modello di divulgazione proposto...