L'altro e lo stesso
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Teoria e storia del doppio (nuova edizione)

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Teoria e storia del doppio (nuova edizione)

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La letteratura e le arti sono sempre state affascinate dai temi che mettono in crisi le identità stabili, i ruoli sociali e sessuali fissati dalle singole culture. All'interno di questo sconfinato campo, che comprende ombre, gemelli, quadri, specchi, questo saggio si focalizza in particolare sull'esperienza perturbante dell'incontro con se stesso: quando un singolo personaggio si sdoppia in due.
Viene così circoscritto e definito il tema del doppio, ricco di implicazioni antropologiche e psicanalitiche.
Articolato attraverso tre situazioni narrative di base, l'itinerario di questo saggio, qui ripresentato in una nuova edizione ampliata e aggiornata, spazia dall'antichità classica al barocco, dal fantastico romantico al Novecento, fino al cinema, un'arte in cui il tema del doppio è inscritto nei meccanismi più profondi. MASSIMO FUSILLO insegna Critica Letteraria e Letterature Comparate all'Università dell'Aquila, dove è anche Coordinatore del Dottorato di Ricerca in Generi letterari. Nel 2010 è stato Professore invitato presso il dottorato di ricerca in Letterature comparate di Paris 3 Nouvelle Sorbonne. Ha studiato alla Scuola Normale di Pisa, e all'Università di Monaco di Baviera con una borsa della Alexander von Humboldt-Stiftung. I suoi principali campi di ricerca sono: la ricezione contemporanea del mito antico, la teoria e la storia del romanzo, la critica tematica, i rapporti fra letteratura e psicanalisi e fra letteratura e cinema. I suoi principali lavori sono: Il romanzo greco: polifonia ed eros (Marsilio, Venezia 1989; Seuil, Paris 1991 con il titolo Naissance du roman); La Grecia secondo Pasolini. Mito e cinema (La Nuova Italia, Firenze 1996; Carocci, Roma 2007); L'altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio (La Nuova Italia, Firenze 1998); Fra epica e romanzo, in F. Moretti (a cura di), Il romanzo vol. 2, Einaudi, Torino 2001, Introduzione alla letteratura, Carocci, Roma 2003 (in collaborazione con F. Brioschi e C. Di Girolamo); Il dio ibrido. Dioniso e le Baccanti nel Novecento, (Il Mulino, Bologna 2006); Estetica della letteratura, (Il Mulino, 2009); Feticci. Letteratura, cinema, arti visive, (Il Mulino, 2012), di prossima pubblicazione presso Champion. Per Mucchi (Maggio 2012) la ristampa in versione aggiornata ed ampliata del volume L'altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, collana Lettere Persiane.
Ha curato e tradotto, fra l'altro, L'Elena di Euripide per la Biblioteca Universale Rizzoli. È Presidente dell'Associazione di Teoria e Storia comparata della letteratura, e membro del Consiglio di Amministrazione dell'Associazione «Fondo Pier Paolo Pasolini»; è membro del Comitato editoriale delle riviste KLEOS, «Contemporanea», «Symbolon», «Atene e Roma», «Studi pasoliniani»; e del Comitato direttivo della rivista «Dioniso» e della rivista on line «Between». Dirige, assieme a Davide Susanetti, la collana Miti per la casa editrice Carocci, e, assieme a Dario Tomasello, la collana AlterAzioni sulla performatività delle arti per la casa editrice Le Lettere.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788870006346
I. L’identità rubata: doppi divini, magici, demonici
1. Immagini antiche del doppio
Cominciamo, come sempre, da Omero. Nel V libro dell’Iliade Apollo interviene ripetutamente per difendere Enea dalla furia distruttiva e blasfema di Diomede; alla fine è costretto a portare in salvo l’eroe troiano fuori della mischia, nel suo tempio, e a collocare un suo “doppio” sul campo di battaglia:
αὐτὰρ ὃ εἴδωλον τεῦξ’ ἀργυρότξος Ἀπόλλων
αὐτῷ τ’Aἰνείᾳ ἴκελoν καὶ τεύχεσι τοῖον,
ᾶμφὶ δ’ ἄρ’ εἰδώλῳ Tρῶες καὶ δῖοι Ἀχαιοὶ
δῄουν ἀλλήλων ἀμφὶ στήθεσσι βοείας
ἀσπίδας εὐκύκλους λαισήϊά τε πτερόεντα
Il dio dall’arco d’argento, Apollo, costruì allora un doppio,
del tutto simile a Enea anche nelle armi.
E intorno al doppio i Troiani e gli Achei divini
rompevano l’uno contro l’altro sul petto
gli scudi rotondi di cuoio e quelli pelosi e leggeri (Il. 5. 449-453).
Con la sublime secchezza che spesso caratterizza il primo poema omerico, questo brano sembra quasi condensare (e preannunciare) in pochi tratti tutta la complessa categoria del doppio nell’antichità: un inganno creato dagli dèi che duplica perfettamente il mondo reale e in cui gli uomini cadono inesorabilmente. Siamo lontanissimi dai doppi frutto di allucinazioni e di dissociazioni mentali che popolano l’immaginario romantico, ma siamo anche molto lontani dalla poetica barocca e dai suoi conflitti fra illusione e realtà. In comune con quest’ultima c’è la contrapposizione fra due mondi, uno reale e l’altro ingannevole, ma mentre nelle finzioni seicentesche il secondo ha sempre tratti evanescenti e metamorfici, in Omero il doppio di Enea è assolutamente reale, e provoca una violenta battaglia tra gli eroi greci e troiani.
Il termine chiave éidolon non ha dunque una connotazione irreale, per cui, più che «fantasma», è meglio tradurlo per l’appunto «doppio», come suggerisce Jean Pierre Vernant1. Partendo dall’uso funebre del kolossós, stele di pietra infissa nel suolo sostitutiva del defunto, Vernant ha infatti individuato nella civiltà antica una «categoria psicologica» del doppio, in cui rientrano fenomeni per noi diversi – apparizione (φσμα), sogno (νειρος), ombra (ψυχ) – concepiti non come un’illusione mentale o un prodotto del pensiero, ma come una realtà esterna tremendamente presente, anche se proveniente da un altrove inaccessibile, e quindi perturbante2. In questa categoria sono stati inscritti molti fenomeni antropologici (alcuni li abbiamo già passati in rassegna definendo nell’Introduzione il campo tematico dell’identità sdoppiata): l’anima intesa da Omero come un doppio del corpo che si forma al momento della morte (visione rovesciata poi da Platone, per cui è il corpo a essere un doppio spettrale dell’anima); il sogno come apparizione soprannaturale che sdoppia la persona sognata; l’ombra (o l’orma dei piedi o del corpo sul letto), il ritratto, la scultura, l’immagine allo specchio, la maschera3.
Sono tutti elementi che appartengono a un mondo simbolico che duplica e talvolta sostituisce quello reale, con cui si pone in un rapporto di similarità e allo stesso tempo di contiguità, come suggerisce Maurizio Bettini (oppure, richiamandosi a Peirce, di icona e allo stesso tempo di indice)4. Similarità, perché tutte queste forme antiche del doppio riproducono fedelmente l’aspetto della persona sdoppiata (così come il doppio di Enea creato da Apollo, che inganna Greci e Troiani, o, come vedremo, il doppio di Elena che arriva a ingannare il desiderio di Paride). Contiguità, perché non sono percepite come semplici copie, ma come presenze effettive, anche se parziali (e spesso tragicamente parziali). Al brano dell’Iliade da cui siamo partiti mancava una connotazione molto presente nei racconti mitici sul doppio: quella amorosa. Leggiamone quindi un altro tratto dall’apparizione in sogno di Patroclo ad Achille, che ci aiuterà a capire meglio questa dialettica fra presenza ed assenza:
Ὣς ἄρα φωνήσας ὠρέξατο χερσὶ φίλῃσιν
οὐδ᾽ ἔλαβε: ψυχὴ δὲ κατὰ χθονὸς ἠΰτε καπνὸς
ᾤχετο τετριγυῖα: ταφὼν δ᾽ ἀνόρουσεν Ἀχιλλεὺς
χερσί τε συμπλατάγησεν, ἔπος δ᾽ ὀλοφυδνὸν ἔειπεν:
«ὢ ποποι, ἦ ῥά τίς ἐστι καὶ εἰν Ἀΐδαο δόμοισι
ψυχὴ καὶ εἴδωλον, ἀτὰρ φρένες οὐκ ἔνι πάμπαν:
παννυχίη γάρ μοι Πατροκλῆος δειλοῖο
ψυχὴ ἐφεστήκει γοόωσά τε μυρομένη τε,
καί μοι ἕκαστ᾿ ἐπέτελλεν, ἔϊκτο δὲ θέσκελον αὐτῷ».
Dette queste parole tese le braccia verso di lui
ma non riuscì a prenderlo: sparì stridendo l’anima sotto terra
come fumo. Balzò in piedi Achille, pieno di stupore,
batté le mani e disse queste tristi parole:
«Ahimé, dunque anche nelle case dell’Ade
esiste un’ombra e un simulacro, ma dentro non c’è più la mente vitale.
Per tutta la notte l’ombra di Patroclo infelice
è stata qui intorno a piangere e a gemere,
e mi ha dato istruzioni. Gli somigliava straordinariamente» (Il. 23. 99-107).
Lo stupore angosciato di Achille deriva dall’avere sentito la presenza dell’amato per tutta la notte, e dall’avvertire l’assenza di vita nel suo doppio spettrale solo al momento in cui ha tentato di abbracciarlo (come farà Odisseo nell’Ade con l’ombra della madre Anticlea). In questo brano omerico aleggia un senso di desiderio bruciante e inappagabile: quel processo di infinitizzazione emotiva in cui Guido Paduano ha individuato il protagonismo di Achille5. Lo stesso senso di nostalgia (di póthos) si ritrova nei miti di eros oltre la morte in cui il doppio dell’oggetto amato è costituito da una statua: la statua, ad esempio, di Alcesti che Admeto vuole farsi scolpire e porre nel letto per abbracciarla (Euripide, Alcesti 348-354); oppure l’immagine di cera con cui parla e convive Laodamia mentre il “vero” Protesilao combatte a Troia, secondo il racconto che ci fa Ovidio nella 13ª delle Eroidi (in altre versioni del mito6 Laodamia è destinata a morire bruciando nel fuoco assieme all’idolo); o ancora, spostandoci in area medievale, il ritratto di Yseut con cui si consola il Tristan di Thomas, senza dimenticare l’estremismo sentimentale del romanzo greco, in cui un personaggio protagonista di una storia collaterale, il pescatore Egialeo, racconta di avere imbalsamato la moglie morta, e di parlarle e di giacere con lei quotidianamente (Senofonte Efesio 5.1)7.
Talvolta questo rapporto fra il doppio e il suo referente reale viene esasperato e in qualche modo rovesciato di segno. Basta pensare a tutti i racconti mitici in cui l’eros è “perversamente” rivolto verso l’immagine e non verso la persona, come nella storia di Pigmalione e in tutte le sue reincarnazioni moderne, fino alla Gradiva di Jensen studiata da Freud. Tutti questi miti, sia quelli che celebrano un amore corrisposto, sia quelli che raffigurano una passione deviante, rientrano in un’ampia tradizione antropologica secondo cui l’immagine nelle sue varie manifestazioni – ritratto, statua, riflesso nello specchio, ombra – non è solo una copia somigliante della persona reale, usata convenzionalmente per ricordarla, ma una sua parte intrinseca, un suo doppio fisico coperto perciò di un’aura sacrale. Un numero assai ricco di usi folklorici e di tabù vivi in tutte le culture e in tutte le epoche ci conferma quanto sia viva questa tradizione, e quanto sia forte il potere magico dell’immagine: ad esempio l’uso di coprire gli specchi nelle case in presenza di un morto, o le varie proibizioni di calpestare l’ombra8. Ed è interessante notare come questo insieme di credenze venga applicato, in un romanzo di Michel Tournier, all’invenzione tecnologica che ha tanto rivoluzionato l’immaginario moderno, la fotografia; nella Goccia d’oro (La goutte d’or, 1985) il giovane sahariano Idriss va a Parigi alla ricerca della fotografia che gli ha scattato una turista francese, sconvolto dall’idea che un suo “doppio” possa vagare per il mondo e dalla minaccia che ciò significa per la sua vita e per la sua integrità di persona9. L’uomo antico prendeva coscienza di sé attraverso lo sguardo degli altri: non è un caso che in greco uno stesso termine, prósopon, designi sia la maschera, sia il volto. Si tratta infatti di una cultura dell’esteriorità, priva dell’idea moderna di coscienza interiore, in cui le varie immagini esterne sono parti costitutive dell’identità10. Il rapporto fra il mondo dei doppi e dei simulacri e il mondo “reale” è stato più volte problematizzato nel pensiero antico, dalla svalutazione platonica della realtà sensibile fino al misticismo neoplatonico, senza dimenticare il valore conoscitivo che ha assunto la categoria della duplicità in tutta la filosofia greca: lo ha dimostrato un libro di Umberto Curi, Endiadi, che parte dai miti di Edipo, Dioniso e Narciso11. Seguire questo percorso ci porterebbe troppo lontano; vorrei concludere invece questo schizzo sul doppio nell’antichità con un ultimo brano omerico, questa volta dall’Odissea, in cui si ritrova una singolare dissociazione fra l’éidolon e la persona. Odisseo racconta di avere incontrato per ultimo, nella sua discesa all’Ade, Eracle, l’eroe che prima di lui aveva già compiuto da vivo questa impresa prodigiosa:
τὸν δὲ μέτ᾽ εισενόησα βίην Ἡρακληείην,
εἴδωλον: αὐτὸς δὲ μετ᾽ ἀθανάτοισι θεοῖσι
τέρπεται ἐν θαλίῃσι καὶ ἔχει καλλισφυρον Ἥβην.
Vidi dopo di lui la forza di Eracle,
la sua ombra: lui invece assieme agli dèi immortali
è felice nelle feste ed ha con sé Ebe dalle belle caviglie. (Od. 11. 601-603)
Fin dall’antichità questi versi sono stati attaccati dai filologi, sempre assai sospettosi; furono considerati, ad esempio, un’interpolazione del VI secolo dovuta ad un certo Onomacrito12. Il problema deriva dallo strano sdoppiamento fra l’ombra di Eracle che soffre nell’Ade e la sua persona divinizzata che vive felice nell’Olimpo: uno sdoppiamento a prima vista non facilmente conciliabile con la concezione omerica per cui l’ombra si forma al momento della morte fisica; anche Luciano nei Dialoghi dei morti (11) ironizza sulla tripartizione dell’eroe fra il corpo bruciato sul monte Eta, l’ombra nell’Ade e l’anima sull’Olimpo. Si è pensato perciò a una sorta di compromesso fra la tradizione mitica dell’Eracle divinizzato (che nell’Iliade sembrerebbe esclusa, dato che Achille afferma che nemmeno Eracle può sfuggire alla morte: 18. 117-119), e la necessità poetica di immaginare un incontro fra Odisseo e il suo illustre predecessore, citando in questo modo la propria fonte (che dovrebbe essere per l’appunto la discesa di Eracle agli Inferi)13. Questo metodo di analisi mi sembra però inguaribilmente viziato da un’idea organicistica (in fondo modernizzante) della scrittura letteraria che da sempre domina la filologia classica: richiedere al testo una coerenza assoluta e risolvere ogni minimo elemento (apparentemente) illogico ipotizzando stratificazioni successive (mentre l’omaggio all’ipotetica fonte suona un po’ troppo alessandrino). Lo sdoppiamento di Eracle fra la cupa profondità dell’Ade e le altezze radiose dell’Olimpo potrebbe invece derivare dallo statuto eccezionale e ambivalente di questo eroe di nascita semidivina, costretto a subire una serie di prove sovrumane per poi assurgere al rango divino. Un eroe che la poesia antica ha sempre raffigurato oscillando fra i registri stilistici più opposti, dal basso grottesco al sublime tragico. In quanto mortale Eracle diventa ombra e finisce nell’Ade, descritto alla fine del canto nell’aspetto terribile dell’arciere, e paragonato alla notte; in quanto eroe divinizzato vive invece nell’Olimpo festoso. È vero che per Omero l’eidolon costituisce l’anima di un uomo dopo la morte fisica, ma è anche vero che Eracle è al tempo stesso mortale (ineluttabilmente, come sottolinea Achille nell’Iliade)14 e divinità olimpica. Il paradossale sdoppiamento rifletterebbe così la fondamentale duplicità del personaggio e del mito a lui connesso.
Nel saggio Psyche Erwin Rohde, il grande storico della religione antica, afferma che l’opposizione fra un «se stesso» e un simulacro che leggiamo in questi versi dell’Odissea sarebbe inconcepibile per la teologia omerica (ma forse i poemi omerici non andrebbero considerati alla stregua di trattati sistematici), e dovrebbe essere stato inserito su influsso del mito di Elena e del suo fantasma recatosi a Troia15. Lasciamo da parte il problema dell’autenticità, che in fondo qui ci interessa poco.
Questo brano sull’éidolon di Eracle rappresenta comunque l’introduzione migliore per parlare dell’éidolon di Elena e del dramma dedicatovi da Euripide: unico testo letterario greco incentrato sul doppio ingiustamente trascurato dalla critica che ha affrontato questo tema.
2. Il doppio come seduzione distruttiva: l’Elena di Euripide
Platone – il filosofo che ha sistematicamente attaccato l’inganno dell’apparenza in quanto doppio illusorio della vera realtà – racconta nel Fedro la storia del poeta Stesicoro che, accecato da Elena per aver parlato male di lei, compone subito una ritrattazione, una Palinodia (fr. 192 Page), e riacquista così la vista, immaginando che a Troia non sia andata l’Elena reale, ma un suo doppio. Era una storia molto famosa nell’antichità: ce la racconta anche Isocrate nella sua Elena, viene citata ancora da Platone nella Repubblica, ripresa dal poeta alessandrino Licofrone, ricordata da Orazio e da altri autori di età imperiale16. Non abbiamo informazioni sufficienti per capire come si strutturasse il componimento di Stesicoro: se fosse realmente una ritrattazione di un’opera scritta in precedenza, o se fosse solo una sorta di autocorrezione in progress; e ancora: se si trattasse di un’opera in due parti o di due palinodie distinte, una contro Omero e una contro Esiodo (al quale una spinosa testimonianza papiracea dell’erudito Cameleonte attribuisce l’invenzione del fantasma)17. Qualunque fosse la fisionomia della Palinodia stesicorea, è certo che questa variante paradossale del mito, che rovescia l’immagine tradizionale di Elena, ha fornito il materiale da costruzione per una delle tragedie più singolari di Euripide, l’Elena, rappresentata nel 412 a. C. Elena è stata sempre il paradigma della seduzione, dell’adulterio, di un eros funesto e distruttivo: un’immagine negativa, prodotto di una società patriarcale e sessuofobica, che si può trasformare talvolta in immagine positiva, a patto però di presentare Elena come vittima passiva di forze sovrumane. Nel VI libro dell’Iliade, ad esempio, è la stessa Elena, parlando con il cognato Ettore, ad autodefinirsi «cagna perversa ed abominevole» (v. 344), e a rimpiangere di non essere morta alla nascita, prima di suscitare tanti mali (vv. 344-358: un discorso che si chiude con una nota metaletteraria sul suo essere oggetto di canto anche per le generazioni future). In entrambi i poemi omerici viene indicata spesso, da vari personaggi, come l’origine di tutti i mali della guerra: da Atena nel II dell’Iliade (vv. 176-178), dai vecchi troiani nel III (vv. 156-160, che ne esaltano comunque la bellezza divina), da Odisseo che parla con l’ombra di Agamennone (Odissea 11. 436-439), dal porcaio Eumeo che maledice tutta la sua stirpe (Odissea 14. 68-69). Le maledizioni contro la donna adultera si fanno poi più dure nella poesia lirica: da Alceo (fr. 283 LP) ai canti corali di Ibico (fr. 282, 6-9 LP) e di Pindaro (Pitica i 1. 33-34 e Peana 6. 9-98); e ancor più nella tragedia: basta ricordare il coro dell’Agamennone di Eschilo che rievoca tutta la guerra di Troia (vv. 60-67, 800, 1455-67) e che giunge a formulare un’ardita etimologia del nome Elena dalla radice “distruggere”, creando una serie di composti accumulati in asindeto: «distruttrice di navi, distruttrice di uomini, distruttrice di città» (vv. 681-690; anche qui c’è però una esaltazione lirica della sua bellezza). Lo stesso Euripide ha contribuito a questa immagine topica, sia nell’Andromaca, sia nelle Troiane, in cui Elena si misura con l’odio atroce della vecchia Ecuba, sia nell’Oreste, in cui compare come personaggio fatuo e narcisista. E quest’immagine ritorna infine rafforzata nel II e nel VI dell’Eneide di Virgilio. Già nell’Iliade si leggono voci che sfuggono a questo vituperio generale e contraddicono la prospettiva dominante del poema: ad esempio la difesa di Elena che fa Priamo nel III libro dell’Iliade (161-165), attribuendo agli dèi tutta la colpa della guerra di Troia, e quindi considerando la donna vittima di una forza esterna (non per nulla il poema, in cui Elena ha un suo spessore positivo, superiore a quello che spetta a Paride, si chiude con il suo lamento funebre sul cadavere di Ettore); nell’Odissea, poema molto meno eroico e maschile, si legge una difesa simile ma più appassionata da parte proprio di Penelope, che nella tradizione successiva diventerà la figura antitetica di Elena (23. 218-224)18; l’eroina compare inoltre all’inizio nella Telemachia, come figura positiva e ormai reintegrata nell’universo greco. Su presupposti simili Gorgia arriverà a scrivere un Encomio di Elena: Elena non sarebbe responsabile delle sue azioni o perché costretta, o perché persuasa dalla parola, o perché innamorata (oggetto dunque di tre forme diverse di coercizione); un elogio volutamente paradossale (come ci saranno poi in questo genere retorico elogi del fumo, della polvere, della follia), che mira ad esaltare il potere eccezionale della parola e della retorica19. Esiste comunque un’eccezione a questo quadro così compatto, diviso fra la riprovazione aggressiva della donna adultera e la difesa paradossale in quanto oggetto passivo. Forse non è un caso che provenga da una voce femminile: si tratta di uno splendido frammento di Saffo (16 LP) in cui viene enunciata una precisa gerarchia di valori che vede il predominio assoluto dell’eros sulle attività militari (appannaggio maschile per eccellenz...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Indice sommario
  4. Prefazione di Luigi Weber
  5. Introduzione
  6. L’identità rubata: doppi divini, magici, demonici
  7. La somiglianza perturbante: proiezioni, introiezioni, identificazioni
  8. La duplicazione dell’io
  9. Appendice
  10. Bibliografia
  11. Indice dei nomi
  12. Note