Il vino nel mondo antico
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Il vino nel mondo antico

Archeologia e cultura di una bevanda speciale

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Archeologia e cultura di una bevanda speciale

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In un libro denso di nozioni, di documenti e di analisi talmente particolareggiate da trasformare anche le più piccole tracce, come i vinaccioli ed altri microscopici resti archeobotanici, in spiragli pertinenti e carichi di prospettiva storica, si ricostruisce la storia dell'invenzione del vino, la sua evoluzione e la sua funzione sociale negli usi delle grandi civiltà antiche, dagli esordi nel Vicino Oriente fino al mondo ellenico, etrusco e romano. Il vino, sostanza preziosa e da sempre conservata con cura, ma anche effimera e volatile sul piano organico, è un reperto archeologico molto raro. Tuttavia se ne hanno riscontri oggettivi in numerosi ambiti dell'antichità: dal percorso di domesticazione della vite ai progressi agronomici ed enologici, dalla storia dei commerci alla progettazione dei vasi vinari, dai corredi potori agli accessori di servizio, dai contesti conviviali alle celebrazioni funerarie. Seguendo il filo di queste tracce multiformi, Il vino nel mondo antico disegna un panorama dettagliato che coinvolge le competenze dell'archeologo, che potrà confrontarsi con deduzioni originali e innovative sulla realtà di un'autoctonia italica della vitivinicoltura o sulla liceità del bere per le donne etrusche; quelle dell'enologo, che vedrà descritta la vinificazione antica e troverà ricomposta la molteplice fenomenologia artigianale dei recipienti da trasporto, conservazione e invecchiamento; la curiosità del degustatore appassionato del "bere bene", che potrà scoprire le tradizioni raffinate del simposio e del convivio, in quali locali pubblici si poteva consumare il vino e con quali sostanze veniva corretto e diluito, non soltanto per ragioni organolettiche. Il libro, anche grazie a un apparato di illustrazioni di rara ricchezza e vastità, mostra la dimensione conviviale delle diverse culture del vino, con un'articolata definizione del fenomeno, sia come prodotto del genio alimentare umano, sia come bevanda portatrice di valori etici, di slanci edonistici e di risvolti spirituali, questi ultimi legati soprattutto all'immaginario della religiosità sepolcrale fra ammonitori scheletri libanti e suggestivi epitaffi funebri. Questa indagine enoica a tutto campo, in cui lo studio delle identità culturali e delle testimonianze letterarie è sempre connesso all'esame degli aspetti concreti, si caratterizza non solo per il potenziale scientifico e divulgativo, ma soprattutto per la forza di un grande racconto dell'umanità che, attraverso la cultura del vino, ci offre uno spaccato di vita dei popoli antichi. Una cultura, ecumenica, universale, eppure diversa in ogni luogo, e che ovunque trova nel dionisiaco nettare e nei gesti del bere una precisa e concreta corrispondenza che sostanzia in modo profondo l'humus delle genti e dei territori.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788870006476
Categoria
Archeologia
3. Le società del vino
3.1 L’archetipo del simposio in Grecia
Il ruolo del vino all’interno del simposio è predominante e fondamentale. Attorno al suo consumo ruota infatti l’intero cerimoniale della manifestazione della cultura ellenica che, forse più di ogni altra, rappresenta contemporaneamente le peculiarità dei suoi aspetti sociali, politici, etici, edonistici ed artistici.
A partire dall’VIII-VII sec. a.C. il bere in comune, associato alle diverse sembianze di convegno privato, di un momento all’interno di una festa cultuale, di un pasto pubblico della polis o di un banchetto militare, denota un preciso carattere di ritualità, che ha fortemente connotato l’ambiente culturale greco e le sue espressioni artistiche e iconografiche. Tuttavia, rispetto all’epoca più antica, nel simposio classico emerge una sensibilità diversa, che porta a privilegiare gli aspetti più propriamente connessi al consumo del vino. La bevanda diviene il punto focale per l’elaborazione di un protocollo liturgico che, attraverso specifici contesti, strumenti materiali e componenti ideologiche, disegna un’espressione paradigmatica dell’identità greca. Gli stessi poemi omerici, al di là delle incongruenze cronologico-culturali dovute all’evoluzione della tradizione orale, mantengono nei nuclei più antichi di memoria micenea indicazioni molto interessanti a questo proposito. Alcuni canti primigeni, sopravvissuti grazie al conservativo linguaggio formulare e riferibili a un’età molto più antica, tracciano infatti un quadro precedente assai diverso, sotto molti profili. Il consumo del vino sembra soddisfare soprattutto primarie esigenze fisiche poi, in assenza di precisi rituali formalizzati, appaiono banchetti organizzati dagli eroi achei nei loro accampamenti, pasti comuni serviti dai nobili nelle corti gentilizie, o riunioni allestite sull’Olimpo dagli dei, che in ogni caso non disdegnavano la frequentazione enogastronomica degli umani. Inoltre, nei poemi omerici si sta normalmente seduti e non nella canonica posizione semidistesa sulla kline, che sembra comparire iconograficamente nell’ambiente artistico del vicino oriente, forse in Siria. Uno dei primi esempi è in un rilievo del VII sec. proveniente dal palazzo di Assurbanipàl, che vi è raffigurato a banchetto assieme alla regina in un ambito che sembra strettamente famigliare. Oggetti come le patere in metallo prezioso, di probabile produzione fenicio-cipriota, che si ritrovano nelle tombe principesche etrusche, riproducono scene simili, peraltro indicative di consuetudini più collettive1.
C’è comunque un precedente letterario, risalente ad un secolo prima, quando l’usanza appare ancora circoscritta agli ambiti reali o dei grandi potentati economici, ed è compreso in un’invettiva del profeta e scrittore Amos sugli abituali costumi dei suoi ricchi contemporanei: “essi che giacciono sui letti d’avorio… essi che bevono nelle coppe da vino…”2.
3.1
I termini greci che fanno riferimento alla commensalità distinguono poi radicalmente sulle diverse fasi che compongono il banchetto. Se il syssítion, il pasto comune, si lega indissolubilmente all’assunzione di cibo, il sympósion, da sympínein, bere insieme, esplicita come momento separato il consumo del vino. Forse preceduto dal meno nobile symposía, che indica semplicemente l’atto materiale del bere collettivamente prestandosi a connotazioni talora negative, il termine sympósion sarà poi affiancato in letteratura da altri vocaboli, come ad esempio deípnon, con specifica accezione serale, o katáklisis, in omaggio alla posizione adagiata, incontrando particolare fortuna nella lirica arcaica, come dimostrano i titoli di diverse opere3. In Omero, alcuni riverberi sulla cultura successiva sono tuttavia percepibili laddove il consumo del vino è messo in stretta relazione con dibattiti e discussioni su questioni contingenti, mentre la comparsa di giochi o esibizioni sportive, ad esempio incontri di pugilato, avvicina in qualche modo gli antichi consessi potori allo statuto del simposio greco4. Comunque appare una peculiarità tutta ellenica la trasposizione in ambito privato di norme comportamentali che riguardano, in genere, la sfera pubblica o religiosa. Le rigorose sequenze del rituale simposiaco, la formalizzazione del corredo accessorio da utilizzare, i tempi e i modi dei canti, delle musiche, dei giochi e degli spettacoli, ricordano infatti le tipiche prerogative delle feste cultuali.
In tutto questo il vino risalta come elemento moderatore, capace di orientare il convito verso un clima di euforica e costruttiva moderazione, risparmiandolo dalla monotonia e dalla noia, oppure di farlo scivolare in situazioni di smodatezza e violenza, in bilico tra ispirazione, ebbrezza ed eccesso. Proprio questo labile confine risulta essere un tratto distintivo della mentalità egea, come ben ricorda Anacreonte: “Suvvia, non beviamo più come gli Sciti fra le urla e gli strepiti, ma sorseggiamo il vino tra i canti…5. Non mancano certo testimonianze che esaltano gli effetti trascendentali dell’abuso alcolico, magari associati alla morte di un contendente: “Adesso dobbiamo ubriacarci e bere, anche a forza: Mirsilo è morto.6. L’autore, Alceo, non è nuovo a tali forme di esaltazione della libagione copiosa. In un altro frammento, ad esempio, esorta l’amico a bere e a riempire “le coppe fino all’orlo, e l’una segua subito l’altra7. Il brano su Mirsilo conferma la centralità dei temi politici durante questo tipo di riunioni, anche se Anacreonte ribadisce: “Non mi piace, bevendo presso il cratere ricolmo, chi racconta battaglie e le sue guerre: meglio parlar d’amore e di poesia, cantar lievi canzoni allegramente8.
Anche in Omero, un utilizzo parco del vino corrisponde alla virtù, in antitesi all’esagerazione, sintomo di inaffidabilità e intemperanza. Così il Ciclope, ignorante dei suoi effetti, è ridotto in stato di ebbrezza dall’astuto Ulisse, mentre i Proci vengono descritti come consumatori smodati e corruttori di costumi. Tra l’altro l’episodio di Polifemo sottintende un parallelismo tra la conoscenza e la padronanza della tecnologia vitivinicola e il livello di evoluzione culturale. Il gigante infatti, conosce benissimo l’uva, che le sue terre producono rigogliosa, ma è ben lungi dal dominio dei processi di vinificazione, patrimonio invece largamente acquisito dai Greci: “…non piantano pianta di loro mano… ma inseminato là tutto nasce, grano, orzo, viti che portano il vino nei grappoli, e loro li gonfia la pioggia di Zeus9. Quanto agli aspetti intrinseci alle modalità del consumo, basti dire che Polifemo ne tracannò un intero otre, e che quel vino, secondo le indicazioni ricevute da Ulisse, doveva essere miscelato in proporzione di “una tazza piena su venti misure di acqua10. Si tratta di iperboli certo non casuali e che racchiudono significati culturali profondi, dall’incredibile quanto sottovalutata fertilità della terra, alla smodata avidità nel bere, all’estrema ignoranza e inconsapevolezza del ciclope su proprietà ed effetti del vino puro.
Dal punto di vista strutturale, si può dire che il simposio fosse la sintesi di due rituali paralleli: uno legittimato dalla ripetizione di una serie di operazioni sempre identiche, atte a conferire la tipica impronta sacrale, ed uno più estemporaneo, seppur preordinato in modo fisso e comunque inscindibile, soggetto a condizionamenti di luogo e di tempo, alle influenze di accadimenti personali e pubblici e al mutare delle circostanze. Il primo riguardava gli aspetti formali legati alla cura della persona, alla purificazione e all’abbigliamento accessorio dei convenuti11, all’ambiente, all’arredo, alle suppellettili, e alle sequenze di svolgimento; il secondo era invece caratterizzato dalla variabilità degli spunti oratori e poetici, dei canti, delle preghiere e delle proposte ludiche. Il ruolo della lirica sembra particolarmente rilevante, come si evince da alcune fonti. Ad esempio Bacchilide, invitando a simposio i Dioscuri, si scusa per la mancanza di adeguati apparati accessori decorativi, ma rassicura sulla presenza del canto12 e Dioniso Calco offre un convegno potorio ad un amico in cambio di poesia, definita come l’ornamento proprio della riunione13. L’insieme di tutte queste situazioni viene poi a configurarsi nell’ottica complessiva di un momento collettivo dedicato all’esaltazione di Dioniso, estrinsecato dal vino, suo figlio14. Centrale è quindi il consumo...

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