2. Filosofia del diritto dei filosofi e filosofia del diritto dei giuristi
Peraltro nel libro di Bobbio già menzionato (Giusnaturalismo e positivismo giuridico, 1965), si affaccia tra le righe una raffigurazione diversa dei rapporti tra filosofia del diritto e teoria del diritto.
Vi sono – dice Bobbio – due tipi di filosofia del diritto: la filosofia del diritto dei filosofi e la filosofia del diritto dei giuristi. Potremmo anche dire: l’approccio o stile “filosofico” e, rispettivamente, l’approccio o stile “giuristico”, in filosofia del diritto (così R. Guastini, “Questione di stile”, 1988). Ebbene, si potrebbe dire: la filosofia del diritto dei filosofi è la filosofia del diritto senza ulteriori specificazioni; la filosofia del diritto dei giuristi, dal canto suo, altro non è che la teoria del diritto.
Per cogliere intuitivamente la distinzione, è sufficiente raffrontare mentalmente, ad esempio, la Metaphysik der Sitten di Kant o le Grundlinien der Philosophie des Rechts di Hegel con i lavori di jurisprudence di Jeremy Bentham (Of Laws in General, postumo), o con The Province of Jurisprudence Determined – il cui sottotitolo, estremamente significativo è: The Philosophy of Positive Law – di John Austin (1832), o ancora con la General Theory of Law and State di Hans Kelsen (1945).
È appena il caso di avvertire che questo modo di raffigurare la teoria del diritto ovviamente non consente di tracciare una netta linea di demarcazione tra teoria del diritto e filosofia del diritto (né pretende di farlo). Tuttavia, mi pare abbia il vantaggio di gettare qualche luce sulla questione.
(i) La filosofia del diritto dei filosofi – osservava Bobbio, con l’occhio rivolto, evidentemente, alle filosofie del diritto sette-ottocentesche, specie a quelle dell’idealismo tedesco – è una Weltanschauung, una concezione del mondo, o, se si vuole, una “filosofia” (senza aggettivi né complementi di specificazione) meccanicamente “applicata” al diritto.
Le diverse concezioni del mondo (per esempio: l’idealismo, il tomismo, il marxismo, l’esistenzialismo, lo spiritualismo, etc.) si caratterizzano per il fatto di cercare ed offrire soluzioni non già a problemi specifici e settoriali dell’una o dell’altra disciplina scientifica, bensì a tutti i cosiddetti “massimi problemi”, quali: l’ontologia (che cosa esiste?), la gnoseologia (come possiamo conoscere?), l’etica (che cosa è giusto fare?), e via dicendo.
Fare filosofia del diritto, per un filosofo senza aggettivi, consiste dunque nell’abbracciare previamente l’una o l’altra concezione del mondo, e da questa ricavare lessico, concetti, e principi precostituiti onde rispondere in modo sistematico (anche) ai problemi del diritto (e/o della giustizia). Tali problemi, così facendo, vengono affrontati non già muovendo “dall’interno” dall’esperienza giuridica, bensì a partire dalle soluzioni già fornite a problemi di tutt’altra natura. Ecco dunque che accade di incontrare sistemi di filosofia del diritto – esempio paradigmatico: la filosofia del diritto hegeliana – elaborati da studiosi che non conoscono affatto il diritto, o ne hanno una conoscenza assai vaga e superficiale.
Guardando non più alle filosofie del diritto del passato remoto, ma alla letteratura contemporanea, direi che, in linea generale, la filosofia del diritto dei filosofi si rivolga a due oggetti principali:
(a) per un verso, il concetto stesso di diritto, e dunque il diritto in generale, il diritto in quanto tale e nella sua totalità: insomma la natura dell’esperienza giuridica in quanto dominio specifico della “comédie humaine”, per dirla con Balzac, accanto alla morale, alla politica, all’economia, e quant’altro;
(b) per un altro verso, il concetto di giustizia, nonché, fatalmente, i rapporti tra giustizia e diritto.
In altre parole, i filosofi senza aggettivi sono essenzialmente interessati a determinare i confini del regno del diritto, senza tuttavia varcarli in alcun modo. Essi non sono minimamente interessati, invece, ai concetti “interni” dell’esperienza giuridica, ossia ai concetti impiegati dai giuristi nell’interpretazione e nella sistemazione delle norme giuridiche (quali: contratto, negozio, responsabilità, validità, etc.).
Si noti che da questo punto di vista – contrariamente all’opinione di Bobbio – la problematica della definizione del diritto (come anche la problematica della distinzione e separazione tra diritto e morale o tra diritto e giustizia) sembra appartenere non già alla teoria del diritto, ma piuttosto alla filosofia del diritto.
(ii) La filosofia del diritto dei giuristi, per contro, non prende le mosse da una concezione del mondo precostituita (solitamente, i giuristi non sono affatto interessati ai problemi “eterni” della filosofia sans phrase). La filosofia del diritto dei giuristi muove piuttosto dai problemi concettuali che nascono all’interno dell’esperienza giuridica.
La teoria del diritto è la filosofia del diritto “dei giuristi” in due sensi e per due ragioni:
(a) in primo luogo, essa non può essere praticata che da giuristi professionisti: non si può fare questo tipo di filosofia del diritto senza conoscere il diritto (si vuol dire: almeno qualche settore di almeno un ordinamento dato);
(b) in secondo luogo, essa è un esercizio filosofico utile ai giuristi stessi (e, forse, ad essi soltanto): il suo scopo fondamentale è la critica (e forse il progresso) della scienza giuridica.
In linea di principio, la filosofia del diritto dei giuristi non è interessata a determinare il concetto di diritto, e neppure a fissare un qualsivoglia concetto di giustizia.
Per un verso, i giuristi non sentono alcun bisogno di interrogarsi sul concetto di diritto, non perché possano allegramente fare a meno di un concetto di diritto qualsivoglia, ma per la semplice ragione che l’uno o l’altro concetto di diritto – accettato in modo non sempre consapevole, e comunque senza problematizzare – fa parte, sempre e comunque, dei presupposti indiscutibili di ogni giurista.
Per un altro verso, i giuristi non sentono alcun bisogno di interrogarsi sul concetto di giustizia (o sulle problematiche relazioni tra giustizia e diritto), non perché siano privi di qualunque concezione della giustizia, ma perché pensano – giustamente – che la giustizia appartenga al dominio della morale e/o della politica, e non a quello della scienza giuridica.
I problemi della filosofia del diritto dei giuristi non sono altra cosa dai problemi della scienza giuridica: al contrario, si tratta in generale dei medesimi problemi, benché trattati forse ad un più alto livello di astrazione.
3. Teoria del diritto “dal basso” e “dall’alto”
Un’eco della distinzione di Bobbio tra filosofia del diritto dei filosofi e filosofia del diritto dei giuristi si può riconoscere in un’idea assai stimolante di Giacomo Gavazzi.
Introducendo il suo studio su L’onere (1970), scrive: «Ciò che appare veramente grave è […] la mancata collaborazione fra quella che potremmo chiamare la teoria generale professionale e le varie teorie delle situazioni giuridiche soggettive, elaborate per lo più da studiosi specializzati in discip...