Il mio J'accuse
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Il mio J'accuse

Gli anni della P2 e altre impudenze del Grande Oriente d'Italia

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Il mio J'accuse

Gli anni della P2 e altre impudenze del Grande Oriente d'Italia

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Prefazione del Gran Maestro Gustavo Raffi Tra gli anni '60 e '70, alcuni Fratelli italiani della Massoneria italiana del Grande Oriente percepirono e si contrapposero alla devianza verso la corruzione non soltanto morale, che stava progressivamente diffondendosi all'interno della stessa Massoneria.
Tale piaga divenne poi nota come Loggia P2 capeggiata da Licio Gelli. I Fratelli "ribelli" furono ostacolati, a tal punto da essere costretti a ritirarsi dall'Ordine per un tempo non ben definito, ossia furono dichiarati "in sonno".
Tra i massoni "in sonno", rientra l'autore che con questo libro vuole riscattare l'immagine ormai deturpata del Grande Oriente d'Italia e ricordare con quanta fermezza, impegno, coerenza e coraggio, quei Fratelli italiani contrastarono la P2.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788873816638
I
DALL’INIZIAZIONE
ALLA GRAN LOGGIA 24/3/1972
1.- L’iniziazione
Bologna, 25 gennaio 1965, ore 21.
Mi trovo in una specie di cabina, uno sgabuzzino assai angusto, non più di un metro e ottanta di lato, alto circa due metri, tutto foderato di nero, cosicché ancora più fioca è la luce che proviene da una lampadina di poche candele appesa al soffitto; l’ambiente è stato attrezzato nel fondo del vasto salone di un appartamento del centro-città. Sul campanello esterno compare la scritta “Centro studi storici”: nessuno deve sapere che in realtà è la sede delle Logge massoniche bolognesi del Grande Oriente d’Italia.
L’unico, modesto, dimesso arredamento, è composto da un tavolinetto e da un seggiolino di legno. Per rendere ancora più tetro il luogo, sul tavolino è collocato un teschio umano (autentico, non di plastica) e vi è appoggiato un foglio di carta con tre domande scritte a macchina: “Quali sono i tuoi doveri verso te stesso? Quali verso lo Stato? Quali verso l’umanità?; tutto attorno regna il silenzio più assoluto. Mi trovo, in poche parole, nel c.d. “Gabinetto di riflessione”, dove il “profano” rivaluta il passo che si accinge a compiere, libero di rinunciare e andarsene. Quel po’ di tetraggine del luogo, delle cose, dello stimolo meditativo, contribuisce alla percezione di una importante opzione di vita, nel mondo del simbolismo esoterico.
È così cominciato il lungo, affascinante, coinvolgente cerimoniale della mia “iniziazione”. Già, perché in Massoneria non si accede con una semplice, banale presentazione ai nuovi amici e con una stretta di mano. Si entra con l’”iniziazione” che, come dice la parola, implica l’apertura spirituale verso nuove conoscenze, grazie anche ad una simbolica rottura col passato “profano” (non a caso è previsto anche il “testamento”, simbolo di un “addio” del quale riferirò tra breve). È così da millenni, da quando esistono uomini che si tramandano i simboli ed i valori della saggezza e spiritualità umana, ricorrendo al linguaggio criptico dell’esoterismo.
Dove ora mi trovo tutto è simbolico, perché tutto è finalizzato a stimolare il metodo gnostico esoterico: simbolico l’avermi introdotto nel “gabinetto di riflessione” dopo avermi invitato a togliermi di dosso tutti gli oggetti di metallo (monete, chiavi, orpelli), testimoni e mezzi della vita materiale, nonché ad arrotolarmi di un paio di giri il bordo di un pantalone, forse segno di indifferenza verso estetiche banali. Simbolico il testamento, come pure quel teschio, il buio, l’angustia del locale, che evocano la prima delle quattro “prove” cui dovevano sottoporsi gli antichi aspiranti al sacerdozio pagano, quella del “sottoterra” (le altre tre erano, e sono, la prova del “fuoco, dell’acqua, dell’aria”).1
Ma da quando sono entrato nel “Gabinetto”, ancora non conoscendo il simbolismo rituale, il mio pensiero è fermo soltanto alle ragioni, alle occasioni, alle vicende e coincidenze che circa meno di tre mesi fa mi hanno determinato a questo passo. Ricordi, riflessioni, motivazioni, mi si affollano confusamente, ma non ho incertezze. La mia scelta è stata, se non lungamente, profondamente meditata, e già da tempo ho superato l’unica vera remora che avrebbe potuto dissuadermi: la salda religiosità dei miei, soprattutto di mia mamma, venutami a mancare già da anni ma sempre vividamente presente tutrice della mia anima e della mia coscienza.
L’intreccio dei precedenti che mi hanno portato in questo “Gabinetto” merita comunque qualche accenno.
**********
Il termine “massoneria” è stato più volte pronunciato in casa mia, quand’ero ancora un bambino o un ragazzetto, dai miei genitori, ma anche dai numerosi fratelli di mio padre e da qualche ospite o conoscente, sempre con accenti pesantemente negativi. Mio padre, ufficiale della Guardia di Finanza, ricordava come già all’Accademia Ufficiali aveva avuto le prime larvate proposte, da lui fermamente rifiutate perché, onest’uomo qual’era, non concepiva una contestuale osservanza a giuramenti di fedeltà diversi, e probabilmente incompatibili, con quelli nel nome di Sua Maestà il Re.
Le altre voci ostili erano in gran parte condizionate da motivi religiosi (l’appartenenza alla Massoneria era condannata con la “scomunica” e conseguente inibizione di tutti i riti cattolici) e dalle voci correnti che, senza ombra alcuna di dubbio, attribuivano alla consorteria diabolica i più efferati delitti ad opera di autori ignoti, dagli omicidi ai sequestri o sparizioni di persone.
Nel nostro Paese, alimentata dagli ambienti cattolici, è stata veramente profonda, capillare, prolungata, la “bufala” della mistificazione montata dal famoso Leo Taxil, con la presunta complicità della non meno rinomata e misteriosa (in realtà, mai esistita) Lady Diana Vaughan, seguaci del diabolico Dottor Bataille. Enorme successo e credito ebbero le loro pubblicazioni, comprensibilmente divulgate dalla Chiesa, dense di turpitudini, sacrilegi, orrori, descritti come rituali all’ordine del giorno nelle logge massoniche.2
La mia laicità, peraltro rispettosissima di qualsiasi credenza religiosa, non è stata però alimentata dalle “fole” anticlericali, bensì il risultato di mie riflessioni, mie meditazioni, miei dubbi, non superati, anzi involontariamente confermati in occasione della mia ultima “confessione” o “confidenza” volutamente resa ad un Padre Domenicano, quando avevo 18 anni. Essendomi stato insegnato che tutto il creato proveniva da Dio, non mi spiegavo come avesse potuto generare, o non impedire, anche la fonte del male. Comprensiva, ma deludente, era stata la risposta del confessore: «Eh già, non è un problema risolubile, anche Sant’Agostino ne è rimasto dubbioso.»
Alla mia accettazione in Massoneria ha fatto poi seguito una calorosa e gratificante scoperta della (come dire?) “religiosità-profana” dell’Istituzione, che non ammette l’ateismo, e chiama “Grande Architetto dell’Universo” il Dio Creatore, così come (per citare altro esempio di linguaggio iniziatico) definisce la morte come “passaggio all’Oriente Eterno”, felice sinonimo di fine della vita fisica, ma non di quella spirituale o dell’anima.
Tutt’altra descrizione dell’istituzione massonica, tanto da aspirare ad accedervi, mi è venuta da parte di mio suocero, a sua volta massone e allievo di maestro universitario pure massone. Da qualche primo larvato cenno, potrei dire “sondaggio”, col crescere anche dell’empatia affettiva che ci univa (ero stato accolto come il figlio maschio non avuto fisicamente) era arrivato a darmene una più precisa e realistica immagine, tanto che un giorno (non l’ho mai dimenticato: eravamo seduti di fronte, in uno scompartimento ferroviario senza altri viaggiatori, diretti da Bologna a Parma, dove lui, con moglie e figlia unica, si era trasferito perché in quella Università aveva ottenuto la cattedra di Clinica veterinaria, ben presto assurgendone alla Presidenza), quel giorno gli manifestai il maturato mio desiderio di entrare anch’io in Massoneria. Neppure ho mai dimenticato la sua risposta che – caso mai ve ne fosse stata necessità – benché negativa aveva vieppiù rafforzato la mia decisione: «No, per ora no, aspetta. Vedi, tu ora sei assistente universitario, oltre che libero professionista. Un tuo attuale ingresso in Massoneria, potrebbe sembrare un espediente per “fare carriera”, il che potrebbe danneggiare la tua immagine. Anche io ho vi sono stato ammesso soltanto dopo avere ottenuto la Libera Docenza, perché il mio Maestro mi aveva dissuaso per lo stesso motivo di farne parte prima. Non avere fretta. Quando sarà il momento potrai poi rivolgerti, a Bologna, al colonnello medico Antonio S…, mio carissimo amico.»
Se mai potevo sospettare che la Massoneria altro non fosse che una consorteria di reciproci aiuti, quelle parole me lo esclusero con certezza.
Avrei atteso di più se avessi potuto seguire il suggerimento di mio suocero, ma diversamente, e talvolta anche crudelmente, decide il nostro imprevedibile destino, sadico nei giochi con le coincidenze: il 10 novembre 1964, mia moglie ed io eravamo appena rientrati a casa dalla visita al cimitero di Ferrara ove era sepolta mia madre, deceduta improvvisamente la sera del 10 novembre 1958, quando da Parma ci telefonarono che, lui pure improvvisamente, mio suocero … era passato all’Oriente Eterno o, come lui amava dire, vagava sereno nelle azzurre valli dell’eternità
Ci precipitammo a Parma: lo trovammo ancora seduto nella sua poltrona preferita. Io scorsi sul tavolinetto sito ai suoi piedi un biglietto da visita, con affettuosi saluti da parte proprio del Col. S… di Bologna! Anche questo particolare io interpretai come segno del destino: sembrava un messaggio a me diretto, per ricordarmi a chi avrei potuto rivolgermi ove avessi desiderato entrare in Massoneria. E così feci. Tre giorni dopo mi presentavo al Col. S.... chiedendogli di fare quanto possibile per farmi accogliere in Massoneria, fermamente desideroso di proseguire l’esempio di mio suocero. E così fu.
**********
Nessun dubbio, quindi, nessun tentennamento, mentre ero entrato e stavo ripensando a codeste mie vicende, isolato nel “Gabinetto di riflessione”. Mi dicevo che da Lassù neppure la mia mamma mi avrebbe censurato: poteva, oramai, leggere anche i miei pensieri, e vedere che la mia impulsiva opzione era stata dettata da affetto, non da calcoli materiali o polemiche ideologiche. Chi avrà la pazienza di proseguire la lettura di queste pagine potrà averne conferma.
Rivissuti, in fulminea successione, i momenti, le pulsioni, i ricordi delle vicende che mi avevano condotto in quel singolare bugigattolo, non mi rimaneva che attendere alle risposte che dovevo vergare alle tre domande del foglio posto sul tavolino, ossia (per rispettare ancora il gergo simbolico) il Testamento dell’aspirante massone, “testamento” soprattutto perché la firma appostavi in calce attestava l’ultima conferma del desiderio di abdicare alla cecità, o buio, della vita “profana” ed iniziare il percorso psico-ideologico verso la luce della conoscenza.
Neppure in siffatto incombente ho esitato: questo il mio laconico istintivo “testamento massonico”:
«Quali sono i tuoi doveri verso te stesso?» = “Sapere
«Quali verso lo Stato?»3 = “Operare
«Quali verso l’umanità? = “Divulgare
Mi sono sovvenuto che Giuseppe Mazzini, nella sua celebre opera “Dei doveri dell’uomo”, aveva dedicato non poche pagine a trattare esattamente quei medesimi argomenti. All’indomani della cerimonia ho infatti verificato che Mazzini aveva discettato di tutti quei doveri, aggiungendovi però anche quello “verso la famiglia”.
Coincidenze, certamente, Mazzini non essendo mai stato un massone: la sua profonda fede cattolica non glielo avrebbe consentito. Una decina di anni dopo, in conseguenza di quanto mi occorse – come confiderò al lettore – descrivevo così, nei miei appunti mnemonici, la cerimonia della mia “iniziazione”:
«Quella sera, in un Tempio gremito di Fratelli, alla presenza del Gran Maestro (un raro onore, risultato di una fortunata coincidenza, che però non ho mai dimenticato; come neppure ho mai dimenticato che il primo volto che scorsi nel Tempio, allorché mi venne tolta la benda dagli occhi, fu proprio quello ieratico, ascetico, del Gran Maestro, Giordano Gamberini). Da allora, se talvolta gli sono stato vicino e fedele con un entusiasmo ed una operosità incondizionati, e se talaltra ho più di altri sofferto per sue scelte che mi sono apparse – e mi appaiono – ingiustificabili, si è proprio perché ero legato a lui da quella prima visione, dal ricordo di quel primo volto in un Tempio massonico, l’unico non coperto dal rituale cappuccio; quella sera, dicevo, dovevo commettere un “errore” che, visto da me oggi, “a posteriori”, ma soprattutto visto con gli occhi dei Fratelli che assistevano alla mia iniziazione, era destinato a dare un’impronta tutta particolare all’intera mia vita massonica.
È accaduto che il Col. S.... (mio presentatore e mia guida) mi aveva preavvertito che alla cerimonia avrebbero assistito parecchi Fratelli, anche di altre città che sarebbe stato presente il Gran Maestro, e che insieme a me sarebbero stati iniziati altri due profani; era pertanto opportuno, doveroso, che io (proprio io, se non altro perché, data la mia professione, più aduso a parlare in pubblico) dicessi qualche parola di circostanza.
Aggiungansi due particolari senza precedenti, tali pertanto da mettermi subito in una situazione di apparente privilegio: avevo chiesto, ed ottenuto, che al momento di ricevere i “guanti bianchi” che comunemente si indossano nel Tempio, ed il rituale “grembiule”, mi fossero consegnati i guanti che erano stati di mio suocero (da me rinvenuti e passati all’uopo al Col. S: ...) ed il grembiule che pure vera stato di mio suocero ma che lui aveva a sua volta ereditato del suo Maestro. Fu così che, avutane la facoltà, presi a parlare. Non ricordo cosa dissi, perché ero troppo emozionato per poterlo oggi ricordare. Certamente non dissi soltanto “grazie”; ero troppo sincero, e desideravo apparirlo, per non tentare di fare comprendere quanto fossi onorato e riconoscente; e vincendo l’emozione e il disagio, lasciai alla mia voce il compito di esprimere ciò che mi saliva dal cuore. Credo aver parlato per almeno 5 o 6 minuti.
Non l’avessi mai fatto! Ancora molti anni dopo qualche affettuoso Fratello mi confidò che quella mia prima “esibizione”, anziché essere interpretata come uno spontaneo e sincero intento di commossa gratitudine (involontariamente abnorme, non potendo io sapere, allora, che una fondamentale regola vuole un Apprendista Muratore rigorosamente silente per almeno un anno, per–appunto “apprendere” prima di esprimersi) era stata invece percepita come dimostrazione di ambizione, di immodestia, di esibizionismo, e di non so quante altre gravissime “colpe”.
Nascevano così un “marchio” ed una nomea che, nel bene e nel male, mi hanno perseguitato per tutti gli anni della mia permanenza: talvolta, e per taluno, come segno positivamente apprezzato; talaltra, e per non pochi altri, come … indelebile peccato originale!»
2.- Il primo curriculum
L’esperienza iniziale, e quella che è maturata negli anni successivi, è stata, e rimane nei miei ricordi, quanto mai interessante e gratificante. Anche, in verità, per merito mio, e cioè per come mi sono comportato, seguendo il consueto mio modus operandi quando una novità mi appassiona. È stata infatti una attività intensissima, in un crescendo di conoscenze ed apprendimenti (non era questo il compito di un “fratello apprendista”?). Tanto che mi è stato sufficiente un breve ma intenso percorso di pochi mesi per non avvertire più nessuna soggezione nei confronti di Fratelli massonicamente assai più anziani, avendo io – mi si perdoni questa vanità – dedicato più tempo ed energie ad imparare in poco tempo, che altri Fratelli in decine di anni.
Grazie alla biblioteca che era stata di mio suocero (e del suo predecessore) ho letto tutto quello che mi capitava fra le mani, compresa una raccolta della Rivista Massonica di parecchi anni addietro. E quanto più leggevo e studiavo ed acquisivo, tanto più mi sentivo culturalmente arricchire, ma anche tanto più desideravo “apprendere”. Ancora Apprendista ho frequentato, in rispettoso silenzio, tutte le riunioni della mia Loggia (intitolata a Giosuè Carducci, e della quale era stato il Maestro Venerabile, cioè il responsabile, la guida, anni addietro, anche mio suocero): ma altresì quelle di tutte le altre Logge, anche non bolognesi, alle quali mi era consentito accedere. Ho poi assistito a tutti i convegni di studio ai quali mi è ...

Indice dei contenuti

  1. Il mio J’accuse
  2. Titolo
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Prefazione del Gran Maestro Gustavo Raffi
  6. Presentazione di Natale Pesvelossi
  7. I – Dall’iniziazione alla Gran Loggia del 24 marzo 1972
  8. II – Le elezioni del marzo 1973
  9. III – Dalla “cacciata” al “suicidio” massonico
  10. IV – Il processo-beffa
  11. V – Massonicamente “scomunicato” Giudiziariamente “comunicato”
  12. Sottovoce: “Grato m’è ‘l sonno”
  13. Codicillo: Articoli di Natale Pesvelossi