Siciliani
Collana diretta da Giuseppe Carlo Marino
2
Eugenio Guccione
Luigi Sturzo
FLACCOVIO EDITORE
Proprietà artistica e letteraria riservata all’Editore a norma della legge 22 aprile 1941 n. 633. È vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, anche per mezzo di fotoriproduzione, sia del testo che delle illustrazioni.
ISBN 9788878043350
© 2010 copyright by S. F. Flaccovio s.a.s. - Palermo - via Ruggero Settimo, 37
Stampato in Italia - Printed in Italy
Premessa
Sebbene mi sia occupato molto di Luigi Sturzo, trattandone vari aspetti del pensiero sociale e politico, non avevo mai pensato a un libro sulla sua vita. Ritenevo e ritengo che dalle biografie elaborate da Gabriele De Rosa (Torino, 1977) e da Francesco Malgeri (Cinisello Balsamo, 1993) viene fuori un profilo completo dello statista siciliano. Debbo all’editore Sergio Flaccovio e al direttore di questa collana, l’amico e collega Giuseppe Carlo Marino, lo stimolo a scrivere – ovviamente nel rigoroso rispetto della metodologia storiografica – una biografia di «carattere divulgativo» e di «piacevole lettura», volta anche a mettere in luce le teorie socio-economiche e politiche di Luigi Sturzo.
Nella proposta avanzatami, mi è stato segnalato – ed è ciò che maggiormente mi ha convinto – che una collana sui grandi siciliani non poteva non contenere un volume sul sacerdote di Caltagirone, fondatore del Partito Popolare Italiano e uno dei principali protagonisti della storia italiana ed europea del secolo XX. Nella stesura del libro non ho potuto fare a meno di tenere in conto la mia produzione sul movimento cattolico e sullo stesso Sturzo, frutto di oltre trent’anni di ricerche. E, grazie a ulteriori indagini archivistiche, ho potuto aggiungere, qua e là, senza sconvolgere l’impianto delle precedenti valide biografie, alcuni aspetti inediti.
Ringrazio, per l’occasione offertami, l’editore e il direttore della collana e, per la preziosa collaborazione avuta nella revisione del lavoro, le colleghe Claudia Giurintano e Rosanna Marsala. Un ringraziamento particolare sento di rivolgere a mio fratello Diego, docente di lettere nei licei statali, per i suggerimenti da lui ricevuti per questo e per altri miei scritti su Sturzo. A lui desidero dedicare questo libro.
Eugenio Guccione
Palermo, 12 ottobre 2009
Capitolo primo
Gli anni della scalata
1. Un profilo in anteprima
In Luigi Sturzo pensiero e azione si integravano e si arricchivano a vicenda. È stato detto di lui che pensava da uomo di azione e agiva da uomo di pensiero. Ciò per specificare che egli, nonostante fosse portato alla riflessione filosofica e teoretica, non prescindeva dall’applicazione pratica delle proprie idee e dei propri progetti. E, in campo socio-economico e politico, erano i fatti, per lo più, a suggerirgli le idee che, da lui elaborate organicamente, diventavano concrete proposte per la riforma della società e dello Stato1.
Tale e tanto realismo, associato a profonde analisi e a continue verifiche, poggiava su una onestà intellettuale e una coerenza di base suffragate dal principio secondo il quale esiste una sola e unica morale, sia per il cittadino operante nel privato, sia per il cittadino impegnato nel pubblico. Da qui l’insanabile conflitto tra Sturzo e gran parte degli uomini della Democrazia Cristiana che, nel secondo dopoguerra, si succedettero al governo dell’Italia per più di quarant’anni. Il sacerdote calatino, padre nobile e storico del nuovo partito dei cattolici – considerato una filiazione del Partito Popolare Italiano (1919) –, assunse il ruolo di coscienza critica di questo schieramento politico rilevandone nella condotta governativa l’immoralità della partitocrazia, dello statalismo e dello sperpero del denaro pubblico.
Si trattò di un «conflitto freddo», nel senso che agli attacchi di Sturzo sulla stampa nazionale, sempre ben circostanziati, puntuali e documentati, non corrisposero mai adeguati contrattacchi da parte degli esponenti democristiani. Costoro, per lo più, preferirono il silenzio alla reazione pubblica, anche per non correre il rischio di essere ufficialmente sconfessati e delegittimati da chi, fra l’altro, non aveva mai voluto iscriversi al partito della Democrazia Cristiana pur avendo la consapevolezza di esserne stato il padre. I democristiani tennero molto a questa paternità, ma più per convenienza che per convinzione. Certamente per non perdere il blasone di famiglia. Tanto è vero che, allorquando le «prediche» di Sturzo sulla stampa nazionale si facevano insistenti e pungenti, essi si affrettavano a degradarlo a «suocera». In quei momenti di tensione, nei corridoi della segreteria nazionale di piazza del Gesù a Roma, erano solite le frasi «nostra suocera si pronunciò…» ovvero, in attesa di qualche evento, «chissà cosa ne pensa nostra suocera…».
Un atteggiamento del genere nei confronti del teorico e fondatore del popolarismo di ispirazione cristiana, seppur diffuso, non toglieva, comunque, spazio all’ammirazione e alla devozione di quanti – e non erano pochi – seguivano con fedeltà il suo insegnamento riconoscendolo un patrimonio dottrinale della loro corrente all’interno dello stesso partito di maggioranza. Per essi il sacerdote siciliano era anche maestro. E l’intera sua esistenza era presa a esempio come modello di statista cristiano capace di coniugare morale e politica. Così come egli aveva dimostrato nei suoi vari ruoli: da prosindaco di Caltagirone combattendo la mafia a viso aperto; da cooperativista mettendo in difficoltà i gabelloti; da esponente del PPI, in Italia e in esilio, sfidando il fascismo; da sociologo studiando le forme di socialità e i loro rapporti nel contesto storico; e, infine, da politologo scrutando le leggi della politica, identificando i «virus» e «le tre malebestie» della democrazia e sollecitandone l’immediata e radicale terapia. Il tutto in una visione sacerdotale della realtà che, a qualche decennio dalla morte, ha indotto la Chiesa ad aprire il processo di canonizzazione di Sturzo.
2. Dalla famiglia alla vita pubblica
Luigi Sturzo, uno dei sociologi e dei pensatori politici più originali espressi dalla cultura cattolica tra il XIX e il XX secolo, nacque a Caltagirone, in provincia di Catania, il 26 novembre 1871, a poco più di quattordici mesi dalla Breccia di Porta Pia. Era l’anno del trasferimento della capitale del Regno d’Italia da Firenze a Roma sotto il governo Lanza, del trionfo e della repressione della Comune di Parigi nella «settimana del sangue» ed era anche, nella sfera del conflitto tra lo Stato italiano e la Santa Sede, l’anno della legge delle Guarentigie, voluta dal Parlamento nazionale per assicurare al papa il libero esercizio delle sue funzioni di capo della Chiesa cattolica e respinta clamorosamente da Pio IX. Questi, tramite l’enciclica Ubi nos, la ritenne un disegno volto a «ingannare i cattolici». E, per protesta, si chiuse in Vaticano dichiarandosi prigioniero della violenza della monarchia sabauda e riaffermando la necessità del potere temporale della Chiesa per l’indipendenza del papato. Tali vicende, come si vedrà, ebbero un peso sull’intera esistenza di Sturzo, che, dopo lunghe e sofferte peripezie, si concluse a Roma l’8 agosto 1959. Nel 1962 le sue spoglie furono trasportate dalla Capitale nella città natìa, dove, ora, riposano in un apposito mausoleo presso la chiesa del Santissimo Salvatore.
La famiglia di Luigi Sturzo apparteneva all’aristocrazia terriera. I suoi genitori furono don Felice Sturzo, barone di Altobrando, e donna Caterina Boscarelli. Egli fu il quinto di sei figli: Margherita, Remigia, consacratasi alla vita monacale col nome di suor Giuseppina, Mario, ordinato sacerdote e divenuto vescovo di Piazza Armerina, Emanuela (Nelina), sorella gemella e rimasta con lui per tutto il tempo che egli visse in Italia prima dell’esilio, e Rosa, morta bambina. Anche le precedenti generazioni si erano distinte per avere dato alla società illustri politici, magistrati, amministratori comunali e gesuiti. Una famiglia veramente eccezionale questa degli Sturzo, in cui non deve sfuggire un unico comune denominatore riscontrabile nei figli, cioè la tendenza di costoro o, meglio, la loro vocazione allo stato religioso. Remigia, con il nome di suor Giuseppina, come è stato appena detto, entrò in un monastero di clausura a...