Pianta strappata
Seduto nella sua casa al primo piano di un vecchio caseggiato ristrutturato da tempo, con le spalle rivolte alle finestre della sala che danno nel cortile, Rocco è totalmente immerso nella lettura. Il libro, sulle cui pagine cade la luce del sole e dal quale di tanto in tanto solleva gli occhi per farli riposare, è I Promessi sposi.
Lo aveva letto tanto tempo fa. Nella pagina dove vi è il titolo c’è scritto: “Inizio lettura: 15 novembre 1976” e a fianco: “Inizio seconda lettura: 12 dicembre...” Non ha voluto segnare l’anno, sa però che ne sono passati tanti dalla prima lettura. Nell’ultima pagina, invece, fra annotazioni, elenchi di vocaboli con a fianco i rispettivi sinonimi, si legge: “1 febbraio 1977: termine prima lettura”, anche questa incorniciata da un ghirigoro. Più sotto vi è riportato un breve passo: “Certo, il cuore, a chi gli dà retta, ha sempre qualcosa da dire su quello che sarà. Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto...”
«Già, appena un poco di quello che è già accaduto» sussurra.
Il sole pomeridiano di fine maggio continua a penetrare dai vetri. Rocco richiamato dallo squittire delle rondini, si alza, apre la finestra e, con il solito stupore, le segue mentre roteano nel cielo luminoso, tagliano l’aria, sfiorano il suolo, vanno a posarsi, una dopo l’altra, sul filo della corrente che attraversa il cortile.
Qualcuna muove le ali, altre si puliscono le piume con il becco; alcune si alzano per un breve volo, subito dopo ritornano. Due, come a voler giocare, si lasciano cadere nel vuoto, agitano fortemente le ali quasi volessero aggrapparsi all’aria; qualche istante in quel che continua a sembrare un gioco, e ritornano sul filo.
Da piccolo, al paese, stava con gli occhi in su a guardarle incantato mentre sfrecciavano nella sua via inondata di sole. Pure nei campi le osservava meravigliato intanto che volavano nel cielo.
L’entrata di un’auto nel cortile le fa alzare in volo. Lui le segue mentre si perdono lontano, verso i campi che si stendono più in là. Ora guarda i due nidi, sotto il lungo cornicione del caseggiato di fronte. Più di una mattina è rimasto seduto sull’uscio, a seguire quel loro laborioso lavorio per costruirli: arrivavano con il fango e la paglia nel becco, li depositavano e subito ripartivano, e così per diversi giorni.
L’anno prima ne avevano costruito uno in un angolo del soffitto del ballatoio del piano sopra di lui.
Un giorno la Mariuccia, l’addetta alle pulizie della scala, lo aveva distrutto.
«Tutte le mattine devo pulire i gradini dai loro escrementi!» aveva sbottato stizzita.
Lui l’aveva ripresa dicendole che, se solo l’avesse detto, ci avrebbe pensato lui a pulire.
«Eh, quante storie per delle rondini! Sono sempre degli animali!» aveva replicato lei, allontanandosi e lasciandolo ancora più agitato.
A passi lenti, quasi volesse essere tutt’uno con le distese di grano colorate da tanti papaveri e illuminate dal sole, Rocco percorre un lungo e largo sentiero che divide in due i campi verso i quali si erano diretti poco prima le rondini.
Di tanto in tanto un lieve vento fa ondeggiare le spighe, che cominciano a imbiondirsi. Frotte di passeri in cerca di cibo vi si tuffano. Lui si ferma a osservarli…
Aveva forse 7 o 8 anni ed era tra le campagne del suo piccolo paese di Calabria. Alla mietitura mancavano ormai solo dei giorni. Per ordine del padre, stava su uno degli ulivi e, con un grosso legno, batteva sulla parte metallica di una zappa per produrre continui suoni, somiglianti a quelli delle campane della chiesa. Doveva fare allontanare i tanti passeri che ingordi si gettavano sul grano.
«Bisogna cacciarli via, altrimenti se lo mangiano tutto!» gridava il padre.
Quant’era noioso stare appollaiato sui quei rami per ore e ore, senza muoversi! Per nessuna ragione, poi, poteva pensare di piantare tutto e andarsene.
«Non ti venga in mente di allontanarti!» gli urlava il padre. «Altrimenti sai cosa ti aspetta!»
Sì, lo sapeva.
Con gli occhi...