Delitto al monastero
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Siamo a Milano, metà XVIII secolo: un delitto, un monastero, una città; una piccola storia, drammatica come mille altre, si intreccia con gli eventi della "grande storia" che si svolge nelle stanze dei potenti e fa cambiare i destini del mondo. Protagonista: un uomo così fragile e solo al punto da commettere un delitto tanto efferato quanto inutile. Attori comprimari: tante figure che agiscono intorno al protagonista. Persone dell'alta società, ricche, sapienti e potenti, ma anche molti altri personaggi, figure e figurine che appartengono al popolo: povere, semplici, disarmate di fronte alla violenza delle passioni umane e spaventate dalla forza del potere e dagli eventi della Storia. Ma non solo. C'è un'intera città che si muove dietro e sotto questa vicenda. Con i suoi rumori, i suoi odori, la sua quotidianità, i suoi ritmi e le sue abitudini. Una vicenda che si svolge in un monastero, quello annesso alla Chiesa di Santa Maria della Passione oggi sede del Conservatorio, ma che tocca anche molti altri luoghi della città. Una storia comune che potrebbe forse portarci ad indulgere al gusto per l'aneddoto, per il pittoresco come chiave di lettura della modernità e che invece ci ha spinte a tentare di riconnettere la storia sociale con la storia politica, la storia locale con la storia europea, che non sta dietro le quinte, ma interviene pesantemente come appare con evidenza in ogni fase di questo processo.
L'idea di dare corpo a queste vicende nasce dal ritrovamento in archivio di un documento probabilmente non eccezionale nella sua evoluzione interna, ma che, trascritto minuziosamente per intero dall'amica Anna M. Bardazza restituisce con una straordinaria freschezza la vita quotidiana nella Milano di metà Settecento, nel bel mezzo della Guerra di Successione austriaca alla fine della quale la società milanese conoscerà uno dei più rapidi e grandiosi cambiamenti della sua storia meno recente. Un manoscritto che parla di uomini, passioni e giustizia, racconta un piccolo, terribile, fatto che si svolge prima, durante e dopo l'occupazione spagnola di Milano dell'inverno 1745-46, un'oscura vicenda che attraversa il conflitto per la successione austriaca, si intreccia con la storia di questo delitto e dei primi anni del lungo e grande regno dell'imperatrice Maria Teresa.

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Informazioni

Editore
EDUCatt
Anno
2018
ISBN
9788893353588
Argomento
History
Categoria
World History

Il processo del foro arcivescovile

Copia del processo al chierico Antonio Didino svoltosi davanti alla Curia Criminale Arcivescovile di Milano343
1745 nel giorno 23 del mese di maggio344
Essendo pervenuto a notizia dell’illustrissimo reverendissimo monsignor vicario generale di questa Curia Arcivescovile di Milano, qualmente hieri verso le hore vent’una sij stato barbaramente ucciso nella sua propria camera il reverendo padre abbate don Felice Fedele canonico regolare di Santa Maria della Passione di questa città di Milano, che però meditando un delitto sì grave la più premurosa attenzione, e diligenza per indagarne il delinquente che dicesi fosse vestito di abito ecclesiastico, ha stimato di suo dovere per compimento di giustizia, deputare il reverendo signor avvocato fiscale di questa medema Curia unitamente con me cancelliere infrascritto, acciò col consenso del reverendo padre abbate reggente del monastero di detta Santa Maria della Passione, si debba rilevare giudizialmente l’atto della visita del cadavere del predetto padre abbate Fedele, e d’indi assumere quelle giudiziali informazioni che saranno più opportune al caso. Quindi in esecuzione di tale deputazione, portatisi ambedue verso le hore tredici dello stesso giorno 23 al predetto monistero di Santa Maria della Passione, dove esposta l’incombenza che avessimo ed admessi cortesemente dal predetto padre abbate priore e reggente, fossimo condotti nel dormitorio di sopra la prima scala ed entrati nell’ultimo appartamento alla destra, che ha le finestre verso mezzo giorno, e corrispondenti verso il giardino di detto monistero, ritrovassimo nella seconda stanza che serve di camera ivi quasi in mezzo del pavimento disteso un cadavere d’huomo di statura più tosto grande con la faccia voltata verso il cielo dal mezzo in su coperto con un panno bianco, con le bracia distese, ed alquanto distanti dal corpo, vestito con calzoni di pelle color cenerino, calzette bianche, e scarpe ai piedi, e dal mezzo in su con la semplice camicia. Fattasi poi più matura osservazione sopra lo stesso cadavere, e scopertasi la faccia fù osservata assai bianca la barba, e bianco, e canuto il crine segno d’età avanzata. Fatto poi scoprire il cadavere nelle debite forme alla presenza di Giuseppe Broggio chirurgo, a questo effetto fatto chiamare, e de’ testimonj, si ritrovò primariamente con una ferita nel mento, altra vicino alle parotidi, altra sotto il mento, altra in vicinanza delle scutiformi (sic), altra tra la terza e la quarta costa penetrante ne polmoni, altra in mezzo all’osso sterno che passa a servire il cuore, altra pure penetrante nel infimo ventre che unisce il ventricolo, e queste quatro tutte causa dell’immediata morte; nove altre si videro nella sezione del torace, altre acutanee, et altre muscolari non penetranti, un’altra nell’antibraccio in vicinanza del cubito muscolare, un’altra nella mano, un’altra nel dito indice, un’altra nel occipite e tutte queste sono nel lato sinistro fatte d’arma pongente, e perforante come risulta anche dal giudizio consegnato a me infrascritto dallo stesso chirurgo che resta qui negli atti ad effetto.
Vicino poi al capo del cadavere alla sinistra si vidde sopra il pavimento quantità di sangue, et ivi in puoca distanza si vidde per terra un bottone di marsina nero con attaccato al di sotto alcuni fili di reffo scuro, segno d’essere stato strappato con forza, e fattasi fare in quel istante l’opportune diligenze, non si trovò fra gli abiti del ucciso padre bottoni di qualità del sudetto.
Proseguitasi poi la visita in detta camera, si vidde in questa un cantarà alla romana con due cassettoni tirati fuori et aperti con le chiavi in cui furono osservate le robbe ivi esistenti alquanto rinfuse e sconvolte sossopra, da altra parte un tavolino coperto con tappeto con un cassetone sotto più di mezzo aperto, e tirato fuori con una chiave in cui si videro da sette mostaccioli, e qualche manus christi345. In altra parte per contro il letto si vidde sopra un tavolo un picciol scrittorio con un cassettino fuori ed aperto.
E tutte queste cose vennero fatte e appurate alla presenza dell’avvocato fiscale e all’abate reggente, presenti i testi Antonio Grassi quondam Antonio abitante sotto la parrocchia di Santo Stefano Maggiore di questa città e di Giuseppe Maria Leonardo Busnelli parrocchia di San Giorgio in palazzo, noti ed idonei.
Subito dopo, per la ricognizione del cadavere, furono chiamati per essere esaminati i testi sopra nominati ai quali venne chiesto di giurare veritatis dicendae, che fecero uno dopo l’altro.
Interrogati346 – Se voi Antonio Grassi e voi Giuseppe Maria Leonardo Busnelli sapete chi sij questo cadavere che ora qui vedete disteso sul pavimento di questa camera.
Risposero unanimi uno dopo l’altro, questo cadavere che qui vediamo disteso in terra in questa camera lo riconosciamo per quello dell’uomo da noi ben conosciuto, e che aveva da circa anni ottantasei, e religioso di questo monastero.
Interrogati – Che cognizione habbino loro esattamente di dire che questo sij il cadavere del padre abbate Fedele, e con qual fondamento ciò possino affermare.
Risposero unanimi: Io Antonio Grasso lo posso dire francamente perché servendo già da molto tempo a tutti questi padri di barba, servivo anche il detto padre abbate Fedele, e questo pur troppo è lo stesso che qui vedo assassinato in questo modo. Et io Giuseppe Maria Leonardo Busnelli lo conosco per d’esso perché servendo io qui in questo monastero in qualità di cameriere al padre abbate don Filippo Gabrini, che ha il suo appartamento qui per contro a questo del povero padre abbate Fedele, avevo occasione di vederlo, e trattarlo ogni giorno, e pur troppo ne ho cognizione.
Appurato quanto sopra347,vennero licenziati [dichiararono di avere] anni 53 rispettivamente Grasso e anni 24 Busnelli.
In precedenza il reverendo signor avvocato fiscale, al fine di assumere le necessarie giudiziali informazioni, aveva ordinato di sottoporre ad esame il frate Felice Pezzano, portinaio del predetto monastero di Santa Maria della Passione.
1745 giorno 23 del mese di maggio348
Successivamente e in presenza del signor avvocato fiscale della Curia Arcivescovile di Milano, nella camera superiore di abitazione del reverendo padre abbate don Filippo Garbini, reggente, dei canonici di Santa Maria della Passione di questa città.
[Venne] chiamato per essere esaminato pro informatione della Curia, Felice Pezzano laico e portinaio del predetto monastero di Santa Maria della Passione, al quale fu richiesto di giurare di dire la verità, ciò che fece.
I. – Se lui Esaminato349 sij veramente portinaro di questo monistero di Santa Maria della Passione.
R. – Sì signore che sono portinaio, e sono già cinque anni ch’esercito questa carica, da che sono religioso, che sono già tre anni in circa.
I. – Se lui Esaminato abbia avuto occasione di trovarsi alla custodia della porta di questo monistero e se sappi chi possa esser entrato in detto tempo in questo monistero.
R. – Sì signore che sono sempre stato alla porta hieri doppo pranzo, e qui vi sono entrate molte persone, che ora non mi ricordo e vi è entrato anche il lavandaro di questo monistero, ne io sono partito se non verso le ore 21 in circa, perchè mi portai dal notaro Borsani, e dall’illustrissimo signor Capitano di giustizia a cui racontai il fatto enorme seguito hieri nell’ora del vespero, o poco doppo, in questo medesimo monistero.
I. – A dire quale sia questo fatto enorme seguito hieri in questo monistero.
R. – Dirò, prima delle ore 21 in circa, venendo io qui di sopra dal nostro padre priore per parlargli di certo interesse, incontrai verso la portina della sagrestia un chierico, che voleva sortire dalla parte della chiesa, al qual effetto diede una mano alla portina, che va verso la sagrestia et in chiesa, credendo esso che tale portina fosse aperta, io in ciò vedendo, gli dissi: che cerca, egli mi rispose cerco il padre abbate Fererio, io allora gli disse che il padre Fererio era fuori di Milano, e in questo mentre gli guardai adosso minutamente, e viddi che aveva un capello sotto il braccio dritto con entro dei dolci mostazini350, e bocconi di dama, uno de quali mise in bocca alla mia presenza, teneva il detto capello mezzo coperto con una ala della cappa sua propria, ed anche vi aveva sopra un’altra cappa, ambedue di saglia351, e vedendo io quest’altra cappa, gli domandai cosa era quell’altra cappa, et egli mi rispose che, avendola imprestata pochi giorni fa a quel padre, che sta di sopra del dormitorio in cantone, et in fine d’esso, era stato da lui, e che gliela aveva restituita, e che lo aveva anche regalato di quei dolci che teneva nel capello. Doppo tale discorso cercò di sortire dal monistero, e mi disse il suo nome e cognome, che ora non mi soviene, e di più mi disse che era chierico di Santo Steffano, onde io ciò sentendo, apersi la porta, e lo lasciai andare, e di nuovo, chiusa la porta, feci riflesso dal suo discorso (quantunque non mi avesse nominato il padre abbate Fedele, che fosse questi da cui era stato), così per curiosità mi portai subito di sopra all’abitazione del predetto padre Fedele per sentire da lui se era vero tutto il dettomi dal succenato chierico. Portatomi dunque di sopra, et entrato nella camera del predetto padre Fedele, al primo aspetto viddi con orore e spavento il povero padre disteso in terra barbaramente uciso con molte ferite, onde subito gridai, aiuto, aiuto, che siam assassinati, al qual rumore accorse il padre abbate Garbini, et il di lui cameriere, che erano nelle stanze per contro a quelle del uciso, ed io corsi subito da basso verso la porta di strada per vedere se mai fossi stato in tempo di poter far raggiungere il detto chierico, e siccome il cameriere del detto padre Garbini, veduto anch’esso tale spettacolo, era venuto a basso per inseguire il chierico, come fecce per qualche tempo, sino verso Monforte, onde io poi mi portai dall’illustrissimo signor Capitano di giustizia per racontargli il fatto.
I. – Se lui Esaminato sappi, in che ora precisa et in qual modo sij entrato il detto chierico in questo monistero.
R. – Io questo precisamente non lo so, nemmeno ho veduto quando sij entrato il detto chierico, perché ho sempre assistito io alla porta, ne posso credere che sij entrato se non quando v’entrò il lavandaro, mentre credo che allora stesse per qualche puoco tempo aperta la porta.
I. – Che descrivi lui Esaminato in che modo fosse vestito il chierico e di quali qualità personali fosse.
R. – Era uno vestito con una marzina, giubba e calzoni neri, credo di saglia, con colare al collo da prete, con calzette chiare, con scarpe grossolane e piene di polvere, la persona era di statura mediocre e di color olivastro in faccia più tosto tondo et in carne, non però grasso, con occhi foschi e capelli oscuri e corti, et alla voce mi pareva più tosto risoluto, ma allora alquanto tremante, per quanto mi soviene, e circa l’età, puo essere d’a...

Indice dei contenuti

  1. SOMMARIO
  2. ABBREVIAZIONI
  3. introduzione
  4. UN DELITTO AL MONASTERO DELLA PASSIONE
  5. I LUOGHIUno sguardo sulla città
  6. PROTAGONISTI E COMPRIMARI
  7. NOTE DI EDIZIONE
  8. Il processo del foro laico
  9. Il processo del foro arcivescovile
  10. Bibliografia
  11. Indice dei nomi
  12. Note