Comunicazionepuntodoc numero 5. L'Europa della Comunicazione
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L'Europa della comunicazione

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Comunicazionepuntodoc numero 5. L'Europa della Comunicazione

L'Europa della comunicazione

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Il quinto numero di Comunicazionepuntodoc propone un approfondimento su due tematiche di grande attualità: le pratiche di transizione dalla formazione al lavoro dei laureati in scienze sociali e della comunicazione, e l'internazionalizzazione dei processi formativi. L'obiettivo è quello di ampliare sul piano internazionale la riflessione intorno al tema degli effetti del riformismo universitario, e al contempo indagare opportunità e problematiche inerenti l'accesso alle professioni della comunicazione.
L'oggetto di quest'analisi comparata è il caso spagnolo, che da un lato evidenzia molte similitudini con la realtà italiana, ma dall'altro rileva significative differenze in merito alla gestione del legame tra Università e mondo del lavoro, ai sistemi di valutazione e alla qualità dei percorsi formativi nel campo della Comunicazione.
A partire dal lavoro ultradecennale dei gruppi di ricerca Unimonitor.Com e Scienze.Com, e dall'attività della Conferenza Nazionale delle Facoltà e dei Corsi di Laurea in Scienze della Comunicazione, i contributi forniscono quindi un quadro aggiornato e approfondito sullo stato dell'arte nazionale, e su possibili scenari di innovazione del sistema-Università.

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Informazioni

Connessioni

Studi e ricerche “in autonomia”

Per coniugare la sua struttura – articolata in un saggi, articoli, interventi e interviste dedicate ad uno specifico tema monografico e in rubriche dedicate alle diverse tematiche di rierca delle Scienze della Comunicazione – con la possibilità di ospitare contributi “autonomi”, Comunicazionepuntodoc introduce uno spazio nuovo, Connessioni.
Il riferimento è alla volontà di rivolgersi a dottorandi, dottori di ricerca, ricecatori, docenti ed esperti nelle aree di Comunicazione e Scienze Sociali degli Atenei italiani, consentendo agli appartenenti ad una community più ampia di quella che genera la rivista di contribuire alla sua realizzazione.

L’Europa della comunicazione di crisi

di Antonio Bettanini

Abstract

L’articolo intende proporre una lettura critica del profilo coordinato tra crisis management e crisis communication che agenzie ed enti pubblici sembrano, ancor oggi, refrattari a darsi. In particolare, l’attenzione si concentra sulla molteplicità di strutture, programmi e azioni di gestione della crisi presenti all’interno istituzioni europee. Per proporre, alla luce dell’assetto sancito da trattato di Lisbona del 2007, le basi per un nuovo modello di comunicazione integrata capace di ospitare la comunicazione di crisi.

Parole chiave

Crisis management, Crisis communication, Istituzioni europee, Comunicazione integrata.

Abstract

The article aims to provide a critical reading of the coordinated profile between crisis management and crisis communication that public agencies and authorities seem reluctant to give themselves.
The focus is on the numerous structures, programmes and actions in crisis management present in European institutions.
The aim is to look at the structure given by the Lisbon Treaty, placing the basis of a new model of integrated communication, able to host crisis communication.

Keywords

Crisis management, Crisis communication, European institutions, Integrated communication.
When I want to talk to Europe, who do I call?
Henry Kissinger
La letteratura sul crisis management e sulla comunicazione di crisi conosce – accanto a studi e ricerche sedimentate, capaci di orientare la gestione di questa ricca tipologia di eventi – anche architetture e proposte di nuovi modelli organizzativi. Eppure, per quanto riguarda questi ultimi vi è da dire che istituzioni, agenzie ed enti pubblici risultano ancora refrattari sia a darsi un profilo coordinato tra crisis management e crisis communication, sia a trasformare in pratica le indicazioni delle ricerche che pure continuano a commissionare. Del resto le ricerche sul crisis management sono relativamente giovani: hanno origine con i disastri industriali e ambientali degli anni Ottanta del secolo scorso.
La conseguenza di questa rigidità pone la comunicazione ancora in una posizione ancillare.
Analizziamo allora lo stallo appena accennato con una robusta case history : quella delle istituzioni europee alla luce del nuovo assetto che il trattato di Lisbona (13 dicembre 2007) propone. L’intento del paper è di preparare un progetto di ricerca a partire da una panoramica delle numerose strutture, dei programmi e delle azioni che hanno a che fare con il tema della crisi e della sua gestione all’interno delle istituzioni europee. E condurre quindi una analisi mirata, soprattutto alla luce della complessa architettura europea, che conduca a immaginare – sulla scorta della costituzione del Gruppo Inter-istituzionale sull’Informazione (IGI) e soprattutto dell’accordo interistituzionale (IIA) lanciato nel 2007 dalla Commissione Europea1 – nuovi modelli di coordinamento per una comunicazione integrata capace di ospitare anche la comunicazione di crisi.

Il Crisis management nelle istituzioni europee

La gestione delle crisi deve ancora trovare un’architettura funzionale a livello europeo. Anche in considerazione del fatto che se un percorso comune si è certo affermato sul versante dell’economia e dello sviluppo, molta strada resta da compiere perché l’Europa politica parli con una voce sola, nonostante l’orientamento degli Stati membri a conferire alla dimensione sovranazionale competenze di politica estera .

La gestione delle relazioni internazionali, sotto il profilo delle crisi, è infatti incardinata su due istituzioni: la Commissione ed il Consiglio, ovvero il metodo comunitario e l’approccio intergovernativo, il “primo” ed il “secondo pilastro” se vogliamo ricorrere alla lingua delle istituzioni europee.

Vediamo ora dove si situa – in tale complessa architettura duale – la gestione delle crisi.

Consiglio e Commissione: sicurezza e cooperazione

In principio sembrerebbe che il Consiglio Europeo sia il dominus competente per governare le tipologie di crisi che hanno a che fare con la sicurezza e la difesa. Presso il Consiglio viene infatti istituito, dal novembre 1993, il CFSP (Central Foreign and Security Policy), strumento di intervento nella gestione delle crisi militari, che nel 1999 – con la firma del Trattato di Amsterdam – include l’ESDP (European Security and Defence Policy). Mentre alla Commissione spettano competenze in materia di cooperazione, con una prospettiva di intervento, quindi, di lungo termine (mentre CFSP dovrebbe operare nel breve,medio periodo). Ma in realtà Consiglio e Commissione non conoscono una chiara e distinta divisione di compiti, che ubbidisca cioè ai diversi contenuti di intervento e crisi. Semplificando: cooperazione-Commissione; sicurezza-Consiglio.

Per fare subito un esempio, proprio a CFSP gli Stati Membri hanno poi conferito competenze anche sul versante civile. E in particolare in quattro settori: giustizia, polizia, amministrazione civile, protezione civile. Allo stesso modo la cooperazione allo sviluppo, nel corso degli anni, ha finito per accorpare molto più che le attività originarie, di natura economica e sociale, per affrontare aree quali la prevenzione dei conflitti, la ricostruzione così come la creazione del sistema giudiziario, la promozione dei diritti umani, della democrazia e del buon governo. Riassumendo: inizialmente ai due filoni corrispondono le due filosofie attribuite a Consiglio e Commissione. La sicurezza è infatti materia troppo sensibile perché gli Stati membri la cedano alla Commissione. Di più: con il dopo Lisbona il Consiglio crea (2009) il Crisis Management and Planning Directorate(CMPD) , unendo la preesistente Direzione Difesa del Segretariato del Consiglio con la Direzione per la gestione delle crisi civili. E ne fa una Direzione sui generis con l’intento di unire la pianificazione civile e militare a livello strategico.

Gli aiuti umanitari e i disastri ambientali non hanno invece, in teoria, un rilievo diretto ed immediato sugli equilibri politici e nella logica intergovernativa possono quindi essere gestiti dalla Commissione. Presto però alla differente filosofia dei due pilastri Consiglio- Commissione, si affianca e sovrappone una vera e propria concorrenza interna, interistituzionale, che renderà confuso e frammentato il contesto che descrive la dimensione del crisis management della Commissione Europea (Santopinto 2008; 2010). La quale dispone di più di 7 miliardi di Euro annuali nel settore dell’Official Development Aid (ODA).

L’overlapping istituzionale

Per “crisis management” si intende infatti, in ambito Commissione, accanto alle catastrofi ambientali e al ventaglio di azioni dell’aiuto umanitario, anche una serie di attività e programmi finalizzati a ridurre le tensioni in un contesto di instabilità politica. Anche il terrorismo rientra in questo ambito di competenze, se pensiamo a come il 2001 ri-definisca in termini di home affairs e di proiezione interno-estero questa terribile sfida rappresentata da una guerra asimmetrica che attacca la vita quotidiana. Pertanto, sul fronte di queste attività, la Commissione finisce per disporre di una gamma di interventi assai numerosi: dalle missioni militari a quelle civili, dalla cooperazione allo sviluppo all’aiuto umanitario, dalla mediazione al dialogo politico.

Una risposta europea corretta, capace di incorporare questa varietà di strumenti ed azioni, avrebbe dovuto disegnare un quadro di riferimento ed una strategia unitaria e coerente centrata sull’obiettivo politico di un’Europa costruttrice e garante di pace. Così orientata, la strategia di crisis management avrebbe dovuto quindi includere tanto la cooperazione allo sviluppo quanto la difesa e la sicurezza sotto uno stesso cielo istituzionale.
Ma non è stato così anche se, come vedremo, recentemente, sia pure parzialmente, le due grandi tematiche di crisi (semplificando: 1. cooperazione+disastri ambientali e delle infrastrutture; 2. difesa, sicurezza) hanno trovato un approccio unitario e coerente. Né va dimenticato che al divario di competenze consegue anche una diversa geografia di azione: l’Europa dei 27, il mondo dei Paesi terzi.

Per certi versi, dunque, alcuni nodi di questa complicazione in materia di crisis management sono stati sciolti dal Trattato di Lisbona, a cominciare proprio dal dualismo istituzionale Commissione-Consiglio. Infatti i segmenti di crisi (compreso quello militare) sono affidati ora ad una gestione comune: il Trattato di Lisbona, come noto, ha istituito per quanto riguarda le relazioni esterne la figura dell’Alto rappresentante dell’Unione (High Representative of the Union)2 – che siede anche in Commissione e ne è Vice Presidente – e creato lo European External Action Service3 .
Così quando l’HRU interviene, ad esempio, in materia di cooperazione lo fa nell’ ambito delle competenze della Commissione, mentre quando agisce nel versante della politica, della diplomazia e della sicurezza lo fa con il cappello di agente per conto del Consiglio e dei suoi Stati membri, e non come decisore politico. Si afferma quindi la natura intergovernativa dell’azione esterna dell’Unione, che certo indebolisce la dimensione comunitaria e sovranazionale. Le due diverse competenze sono però, ora, più chiare. Anche se rimangono alcuni interrogativi irrisolti perché al di là dei confini dell’Europa, la Commissione potrebbe ora diventare una creatura (un mostro?) a due teste.

La Commissione: il ruolo di ECHO

Berlaymont4 , con la gestione dell’aiuto europeo, continua a giocare un ruolo rilevante – anche per l’Europa naturalmente – nella strategia di gestione delle crisi. Soprattutto con gli aiuti può andare alla radice dei conflitti: economici, politici, sociali e culturali. E può poi influire sul comportamento dei politici di quei paesi destinatari degli aiuti sia con una politica del dialogo, sia anche seguendo il principio dell’aiuto condizionato (aiuti in cambio di diritti).
La Commissione sviluppa specifici programmi per la gestione delle crisi e la prevenzione dei conflitti con una linea di budget che ha origine in RRM (Rapid Reaction Mechanism): lanciato nel 2001, un vero e proprio punto di svolta nella consapevolezza della Commissione circa il ruolo giocato dall’aiuto allo sviluppo come strumento di gestione delle crisi. RRM in realtà nasce per rapidizzare i troppo lunghi tempi di lancio di un programma di aiuti (media: 18 mesi) portandoli a 6 mesi con procedure amministrative di tipo fast-track. E si ispira ad una logica politica, di intervento, ad evitare il deterioramento di situazioni di crisi.

Mentre ECHO (European Commission Humanitarian Office), creato nel 1992 e successivamente trasformato in Direzione generale (2004)...

Indice dei contenuti

  1. Frontespizio
  2. Paese che vai, comunicazione che trovi. Editoriale di Barbara Mazza e José Miguel Túñez López
  3. Rubrica: La comunicazione timbra il cartellino
  4. Di riforma in riforma... La stato dell’arte in Italia. Di Elena Valentini
  5. Rubrica: Trame testuali
  6. Orientamento e placement:le sfide della comunicazione. Di Renato Fontana e Valentina Martino
  7. Rubrica: Impronte digitali
  8. Le architetture formative della Comunicazione. Un confronto tra Italia e Spagna. Di Raffaele Lombardi
  9. Gli effetti del riformismo accademico: prove di governance. Di Anna Angela Franchitto
  10. Rubrica: Il pastone rimediato
  11. Studiare comunicazione. Una promenade in Europa. Di Rosanna Consolo
  12. L’eterno dilemma tra sapere e saper fare. di Francesca Belotti
  13. Rubrica: Metafore dell’industria culturale
  14. Del conseguimento della maggiore età per i Corsi di Laurea in Comunicazione. Affinità e divergenze tra Università e mercato del lavoro in Italia e in Spagna. Di Isabella Bruni
  15. La ri-mediazione del Comunicator in tempi di convergenza. Di Claudio Foliti
  16. Rubrica: EcoLogica
  17. Connessioni
  18. Colophon