Il patto di lucidità o l’intelligenza del male.
Del mondo nella sua profonda illusione
L’invenzione della Realtà, sconosciuta alle altre culture, è un prodotto della Ragione moderna occidentale, la svolta dell’Universale, quella di un mondo oggettivo, sbarazzato da tutti i retro-mondi.
Concretizzare, verificare, oggettivare, dimostrare: l’“oggettività” è questa presa di reale che costringe il mondo a fronteggiarci epurandolo di ogni segreta complicità e di ogni illusione.
Immaginiamo di avere sempre di fronte la Realtà, pensiamo sempre di fronteggiarla. Ma questo faccia a faccia non c’è. L’oggettività e la soggettività non esistono, sono una duplice illusione.
Essendo la coscienza parte integrante del mondo e il mondo parte integrante della coscienza, io lo penso ed esso mi pensa.
Basta riflettere che, anche se esistono oggetti a noi esterni, non possiamo sapere assolutamente nulla della loro realtà oggettiva, perché le cose ci sono date soltanto attraverso la traduzione fatta dalla nostra rappresentazione. Credere che queste rappresentazioni e sensazioni siano determinate da oggetti esterni è anch’essa una rappresentazione.
“La questione di sapere se le cose esistono realmente fuori di noi e così come noi le vediamo è assolutamente priva di senso […] È quasi così assurda come chiedersi se il blu è veramente blu, oggettivamente blu” (Georg Christoph Lichtenberg).
Su questo non possiamo esprimere un giudizio definitivo: possiamo soltanto rappresentarci una realtà oggettiva, senza mai pregiudicare la sua oggettività. Non possiamo assolutamente sapere se tali oggetti esistono esternamente, sui quali non abbiamo nulla da dire […]
Compito della filosofia è smascherare l’illusione della realtà oggettiva, una trappola che in qualche modo ci è stata tesa dalla natura.
“Nulla rivela così luminosamente lo spirito superiore dell’uomo come l’aver saputo smascherare la natura nel momento preciso in cui essa voleva prendersi gioco di lui” (G.C. Lichtenberg).
Ma qui si arresta la filosofia, nella constatazione definitiva dell’illusione del mondo, cioè a questo punto, a questo oggetto, a questo qualcosa, a questo nulla su cui non c’è più niente da dire.
L’idea filosofica è quindi semplice e radicale, quella di una illusione fondamentale: la non-realtà del mondo “oggettivo”.
Questa rappresentazione, questa superstizione di una realtà oggettiva che ci offre lo specchio di una immaginazione volgare, è essa stessa parte di un’illusione globale del mondo di cui facciamo parte nello stesso tempo in cui noi ne siamo lo specchio.
Non c’è solo l’illusione di un oggetto reale, c’è quella di un soggetto reale della rappresentazione - e le due illusioni, oggettiva e soggettiva, sono correlative.
Questo è il mistero.
Perché il mondo non esiste affinché noi lo conosciamo.
Non esiste alcuna predestinazione alla conoscenza e tuttavia essa stessa fa parte del mondo, ma appunto, del mondo nella sua illusione profonda che è quella di non avere nessun rapporto necessario con la conoscenza.
Questo è il miracolo: che un frammento del mondo, la coscienza dell’uomo si dia il privilegio di esserne lo specchio, ma ciò non darà mai una verità oggettiva perché lo specchio fa parte dell’oggetto che riflette.
Le attuali microscienze hanno preso atto di questa illusione definitiva, che non è quella di una non-verità oggettiva (che avrebbe ancora per sé il prestigio della realtà), ma dell’intreccio delle due illusioni, oggettiva e soggettiva, della loro inestricabile complicità che impedisce propriamente ogni riflessione metafisica del mondo attraverso il pensiero. Questa è la trappola che ci tende la natura.
Il dilemma, quello di una correlazione, di un’impossibile equivalenza dell’oggetto e della sua rappresentazione “oggettiva”, emerge da questa circolarità, da questa reversibilità di un processo che da quel momento non può più essere chiamato rappresentazione.
Il dilemma è insolubile perché la reversibilità è lì fin dall’inizio. Questa è la regola fondamentale.
“È impossibile che un essere subisca l’effetto di qualcun altro senza che questo effetto sia reciproco. Ogni effetto modifica l’oggetto che lo causa. Non c’è dissociazione tra soggetto e oggetto - né identità originale - ma solo una reciprocità inestricabile.” (G.C. Lichtenberg).
Reversibilità dell’Io e del mondo: “Tutto si gioca nell’universo dell’Io. Questo Io all’interno del quale tutto si svolge, assomiglia al cosmo della fisica cui esso stesso appartiene, attraverso il quale questo cosmo è apparso mentalmente nella nostra rappresentazione: così il cerchio si chiude.” (G.C. Lichtenberg)
Il cerchio di un posizionamento infinito dove il soggetto non può pretendere di avere una collocazione determinata in nessuna parte e dove neanche l’oggetto è localizzabile in quanto tale. Più che una forma di alienazione sarebbe un perpetuo divenire-oggetto del soggetto e un perpetuo divenire-soggetto dell’oggetto. Ancora una volta il mondo non esiste affinché noi lo conosciamo, anzi: la stessa conoscenza fa parte dell’illusione del mondo - questa non è un’obiezione, anzi, in questa affinità insolubile c’è il segreto del pensiero.
È il principio stesso del mondo che ci pensa.
Non si pone neppure la questione di sapere se esiste una realtà oggettiva: l’intelligenza del mondo è quella del mondo che ci pensa.
È l’oggetto creato che ci pensa e talvolta pensa meglio e più rapidamente di noi, ci pensa prima che noi l’abbiamo pensato.
Questa essenza paradossale dell’uomo che, parte integrante della natura, cerca tuttavia ciò che potrebbe esserne di lui al di là di questa appartenenza, evoca ciò che dice Nietzsche nella sua metafora dello specchio: “Se vogliamo considerare lo specchio in sé, scopriamo alla fine soltanto gli oggetti che vi si trovano. Se vogliamo cogliere gli oggetti stessi, alla fine cadiamo solo sullo specchio. In ciò consiste tutta la storia della conoscenza.”
Questo abisso speculativo si approfondisce ulteriormente passando dallo specchio allo schermo totale della Realtà Virtuale.
Questa volta non è più la natura a tenderci l’inganno della realtà oggettiva, ma l’universo digitale che ci tende la trappola di una iper-oggettività, di un calcolo integrale dove non c’è più il gioco stesso dello specchio e dei suoi oggetti - ultima metamorfosi dell’idealismo filosofico. Contemporaneamente esso tempo vi pone fine per sempre, perché il principio stesso della rappresentazione scompare dietro la sintesi e il calcolo delle operazioni, al punto che resta solo da occupare questo non-luogo, questo vuoto della rappresentazione che è lo schermo.
Tutto ciò obbedisce a una sorta di vertigine, come se questa astrazione crescente, questo sviluppo in potenza di una iper-realtà integrale rispondesse essa stessa a una ipersensibilità a certe condizioni finali. Ma quali?
La realtà dunque non sarà stata che una soluzione effimera che peraltro è seguita ad altre soluzioni, come l’illusione religiosa sotto tutte le sue forme. Questa verità, questa razionalità con cui abbiamo scambiato i valori religiosi, immaginando di averli per sempre superati - questa realtà oggettiva non è altro che l’erede disincantata di questi stessi valori religiosi. D’altronde non sembra che essa abbia mai prevalso e che questa soluzione trascendente sia scomparsa, né che Dio sia morto, anche se dobbiamo misurarci soltanto con le sue metastasi.
Forse era solo nascosta e sta per riapparire, proprio in reazione a questa intensificazione della realtà, al gravame di un mon...