Sorridi
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Kai è un ragazzo di diciott'anni, non ha un padre e ha dovuto lasciare la scuola perchè i soldi della madre malata non bastavano a sfamarlo e quando viene licenziato inizia a temere per il suo futuro. La sua migliore amica Alison, un'affascinante orfana che vive in una grande casa tutta sola, cerca di consolarlo e di incoraggiarlo a trovare un nuovo lavoro ma quando riceve l'ennesima risposta negativa inizia, inconsapevolmente, a meditare un furto e una notte mette in atto il suo piano. Sentendosi terribilmente in colpa, il ragazzo cerca di dimenticare l'accaduto ma alcuni giorni dopo uno strano inseguimento con un uomo risveglia in lui spiacevoli sospetti, da quel momento in poi, infatti, hanno inizio eventi drammatici, complicazioni inaspettate e sentimenti nuovi, appare ormai sempre più chiaro che ciò che è iniziato non può più essere fermato...

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Informazioni

Anno
2016
ISBN
9788897801931

1

-Ancora con quel cellulare? È grosso come una scatola. - dice la voce di Alison.
-Secondo me è anche più grosso. - le rispondo e lei mi sorride.
Alison è la mia migliore amica ed è inutile nascondere che è molto bella, specialmente oggi.
I suoi capelli sono castani e lunghi, lasciati liberi al vento, ed è vestita con un paio di jeans attillati e una maglietta femminile e rossa. I suoi occhi sono grandi e scuri e il suo sorriso è sempre solare.
Io e lei non ci siamo incontrati in una maniera esattamente comune e a pensarci bene sarebbe stato molto meglio se fosse stato così.
Non ci siamo incontrati scontrandoci distrattamente contro e sporcandoci i vestiti con del gelato e nemmeno per strada o in discoteca o in un bar affollato pieno di persone che vogliono stringere amicizia.
Io e lei ci siamo incontrati in tutt'altra maniera, quasi due anni fa.
Ricordo che era il tramonto e io ero uscito da poco dall'ospedale, mi ero diretto al parco degli ammalati, un parco silenzioso di fronte all'ospedale che è stato dedicato a tutti i malati che sperano di trovare una cura al loro dolore.
Stavo passeggiando e riflettevo, c'ero solo io e nessun'altro, forse per l'ora un po' tardiva. Mi sedetti a gambe incrociate su un ceppo d'albero e fissai il vuoto che si stendeva in tutto il parco.
Ad un certo punto mi alzai e decisi di camminare un po' per sgranchirmi le gambe, feci due passi e iniziai a sentire poco a poco un accrescere di rumori.
Prima sembrava una corsa normale, poi un pianto sommesso e dopo poco vidi sbucare dagli alberi del parco una ragazza che correva in modo scomposto e con le guance rigate dalle lacrime.
Correva come se fosse arrivata da lontano e si vedeva bene che era stanca, sembrava voler urlare ma non ci riusciva.
Io mi ero appena girato quando la vidi inciampare e cadere nell'erba che si bagnava dell'umidità della notte.
Una volta che fu a terra non cercò di alzarsi, si abbandonò alla terra e all'erba e il suo corpo sussultava ad ogni singhiozzo, sembrava chiedere aiuto.
Corsi subito vicino a lei senza nemmeno pensare a cosa le avrei detto, a chi fosse e che cosa avrei potuto fare una volta che le sarei arrivato accanto.
Quando mi avvicinai mi accorsi che non erano solo un paio di lacrime, quelle che le rigavano le guance, ma erano ben di più.
Appena mi misi accanto a lei e cercai di alzarla per vederla in viso mi resi conto che aveva quasi la mia età, ebbi pena per lei e quando mi avvicinai di più e cercai di sollevarla, lei mi abbracciò, pur non sapendo niente di me e si abbandonò al mio abbraccio. Sentii il cuore stringersi nel petto al pensiero del suo dolore, nonostante le circostanze non fossero certamente delle più comuni.
Credo che chiunque fosse solo con lei, in quel parco, avrebbe fatto la stessa cosa, l'unica cosa che si potesse fare.
Lei rimase a piangere sulla mia spalla per alcuni minuti, sapevo cosa era successo, potevo benissimo immaginarlo guardando la direzione verso cui stava andando: l'ospedale. Qualcuno a lei caro doveva essersene andato e io capivo bene il suo dolore perché anche io avevo perso qualcuno: quando ero appena nato persi mio padre. Ora non ricordo nulla di lui, né il suo viso né la sua voce ma sento che mi manca qualcosa. A lei, purtroppo, era andata anche peggio, ora era orfana.
Più tardi avrei scoperto il suo nome e la sua età esatta, di solo un anno meno di me, e avrei scoperto anche la sua storia.
I suoi genitori erano rimasti coinvolti in un grave incidente stradale e appena li avevano trovati, i medici, avevano capito che per loro non c'era nulla da fare. Una volta presi i loro documenti furono in grado di riconoscerli e usarono il cellulare di uno di loro per avvertire del loro decesso i familiari. Il destino volle che l'unico cellulare che avevano portato prese una gran botta durante lo scontro tra le due vetture e così funzionò solo per pochi minuti, giusto il tempo per trascrivere un unico numero, quello della figlia Alison che stava aspettando da sola il loro ritorno a casa.
Appena Alison ricevette la chiamata lasciò che il cellulare cadesse sul pavimento e si mise a correre fino all'ospedale, con le lacrime che le rigavano il viso luminoso e quando il dolore ebbe il sopravvento cadde a terra, io arrivai da lei in quel momento.
Una volta che la sentii calma cercai di alzarla e di aiutarla a camminare, lei non mi guardava in viso, non sapevo nemmeno se mi avesse anche solo visto di sfuggita ma era evidente che la notizia l'aveva sconvolta a tal punto da non preoccuparsi di certo delle circostanze.
Appena entrai nell'ospedale la lasciai nelle mani di una gentile infermiera che si commosse non appena capì che si trattava della figlia dei due coniugi morti.
Mentre la portava via, l'infermiera, mi chiese chi fossi, io le dissi di non conoscere nulla della ragazza, le raccontai che l'avevo trovata per terra nel parco a piangere e che ebbi pietà e la portai lì. Lei mi sorrise dolcemente e mi chiese il mio numero di telefono perché sembrava che Alison avesse come parente solo una lontana zia che viveva molto distante dalla nostra città. Io le dissi di non conoscerla nemmeno ma lei mi rispose che non avrei dovuto prendermi cura di lei o cose del genere, era solo una formalità, avere il numero di qualcuno non strettamente coinvolto nell'incidente poteva dare una mano all'ospedale nel dare le notizie su ciò che era successo, era ovvio che non se la sentivano di dire tutto ad Alison direttamente. Io accettai perché ebbi pietà di lei, era rimasta sola. Totalmente sola.
Non aveva parenti e non aveva nemmeno i genitori, era abbandonata a sé stessa. Cosa avrebbe fatto adesso? Non riuscivo nemmeno a immaginarlo.
Decisi che aveva bisogno di silenzio e tranquillità, di stabilità.
Dopo circa una settimana dal nostro incontro mi trovavo in camera mia, ero solo in casa perché mamma era via e sentii il campanello suonare.
Scesi dal primo piano dove si trovava la mia stanza e andai ad aprire la porta, mi trovai davanti Alison.
Lei entrò e mi chiese se poteva sedersi da qualche parte.
Io acconsentii subito e mi colpì immediatamente l'aspetto maturo di quella ragazza di appena quindici anni, sembrava più matura di me che ne avevo sedici.
Mi disse che era venuta a ringraziarmi per ciò che avevo fatto e vidi che i suoi occhi si riempirono di lacrime, come è ovvio immaginare io mi misi accanto a lei e per cercare di alleviarle il dolore le dissi che anche mio padre era morto.
-Davvero? - chiese con sorpresa.
-Si, avevo appena qualche mese e lui se n'è andato. - le dissi senza approfondire.
-E come hai superato la sua perdita?
-Beh, avevo due mesi quindi sono solo cresciuto senza di lui, non ho dovuto superare la sua perdita.
-Oh, giusto. - abbassò gli occhi e mi fece un mezzo sorriso.
Lei, senza avvertirmi di nulla, iniziò a raccontarmi della sua storia, dei suoi genitori, e piangeva ma io non la fermavo perché sapevo che le faceva bene.
Era strano confessare tutto quello ad uno sconosciuto? Io non credevo, a chi avrebbe dovuto farlo se era sola? Mi raccontò dell'incidente e dei suoi genitori, del cellulare che le cadeva sul pavimento e della corsa fino in ospedale. Io ascoltavo e la lasciavo parlare.
Quando se ne statte per andare non aveva più le lacrime sul viso.
-Scusami, io... io non volevo disturbarti o dirti tutto... tutto questo, io... scusami. - mi disse.
-Non dirlo neanche. - le dissi io, ero un po' a disagio perché né io né lei ci conoscevamo ma lei mi sorrise e se ne andò.
Fu così che diventammo prima conoscenti e poi amici: il destino volle che ci incrociassimo per strada un paio di volte e io e lei iniziammo a parlare di altro, iniziammo a fare gli amici. In poco tempo ci trovammo l'uno a casa dell'altra a parlare e a raccontarci qualcosa, sembrava che la sua vita stesse quasi tornando alla normalità.
Il problema era che lei era minorenne e non aveva parenti che potessero occuparsi di lei, per cui lo stato avrebbe dovuto prendere delle precauzioni.
Ricordo che un giorno venne a casa mia, era estate e si vedeva benissimo che era sconvolta, anche quel giorno mamma era a lavoro e io ero solo in casa.
Appena Alison entrò sentii che il suo respiro era pesante e con gli occhi annebbiati dalle lacrime mi disse che sarebbe dovuta andare in una casa-famiglia o in un collegio o che probabilmente le sarebbe stato affidato un tutore.
Non sapeva cosa fare, camminava avanti e indietro senza posa e l'idea che potesse andarsene in una casa-famiglia la spaventava a morte, non era quello che lei voleva. La sua vita era bella e normale e la morte dei suoi genitori aveva stravolto tutto.
A quel punto io cercai di calmarla, le misi le mani sulle spalle e cercai di tenerla ferma ma lei si liberò dalla mia stretta in malo modo e si mise a urlare piena di rabbia, il suo respiro era tremante e pesante ed ebbi solo il tempo di capire che stava per svenire, che mi ritrovai a chiamare un'ambulanza.
Appena la portarono all'ospedale lei si svegliò e i medici le dissero che doveva essere stato sicuramente tutto lo stress che aveva accumulato in quel periodo, a farla svenire, la tranquillizzarono e le dissero di riposare un po'.
Quando i medici uscirono dalla stanza dissero a me, perché ero l'unico al quale si potessero rivolgere, che probabilmente tutto quello che era successo le aveva causato una leggera forma di ansia e che quindi sarebbe dovuta stare attenta a questo genere di emozioni, avrebbero potuto provocarle dei leggeri attacchi d'ansia o a volte anche svenimenti. Mi dissero che non c'era da preoccuparsi ma che aveva bisogno di calma per un po', solo che la calma non c'era per niente.
Un giorno mi venne l'idea che doveva per forza avere un qualche parente e così cercai di ricreare il suo albero genealogico. È inutile dire che ci stetti davvero molto a rintracciare tutti i componenti della sua famiglia ma alla fine ce la feci.
Secondo quello che avevo capito suo nonno e sua nonna non avevano fratelli o sorelle ed erano passati a miglior vita in modo naturale, i suoi genitori erano morti in quell'incidente e lei non aveva fratelli. Purtroppo la madre non aveva né fratelli né sorelle ma suo padre aveva una sorella che abitava in tutt'altro luogo.
Cercai di rintracciarla e non appena ci riuscii capii che non aveva la minima possibilità di trasferirsi o di prendere Alison con sé, i rapporti con la famiglia si erano interrotti molti anni prima ma si offrì comunque di fare da tutore legale e iniziarono le pratiche.
Stava succedendo tutto così in fretta che non avevo avuto il tempo di assimilare tutto ciò che stava succedendo, pensai che Alison doveva sentirsi molto confusa e triste: prima la morte dei suoi genitori, poi la notizia della casa-famiglia, lo svenimento e ora io stavo cercando di avviare le pratiche senza dirle niente perché avevo paura che potesse rimanere delusa se tutto ciò non fosse andato a buon fine.
Iniziarono le battaglie legali, la zia di Alison dovette sborsare anche un bel po' di soldi a causa di tutti i problemi che vennero fuori e Alison fu spostata per un periodo da una parte all'altra del paese.
Quando dissi ad Alison che cosa avevo organizzato con sua zia mi saltò al collo e mi abbracciò, anche se non era ancora detto che potesse diventare lei il suo tutore legale.
Le battaglie continuarono e la situazione era difficile ma alla fine, grazie alla perseveranza di tutti, ci riuscimmo e sua zia divenne il suo tutore legale.
Comprò la casa dei genitori morti e permise ad Alison di viverci tranquillamente, la zia non poteva né trasferirsi né adottarla ma aveva fatto tutto il possibile.
La vita di Alison non era comunque come prima, viveva in una grande casa tutta sola, preparandosi da mangiare da sola e facendo la spesa da sola, la zia la veniva a trovare appena una volta alla settimana.
Inizialmente si sentiva abbandonata, piena di solitudine, e io la invitavo sempre più spesso a casa mia per farla stare in compagnia di qualcuno. Fu una fortuna perché ciò ci permise di restare amici e di rimanere in contatto. Col tempo la nostra amicizia diventò sempre maggiore e ora siamo grandi amici.
A volte penso che non ha mai superato il dolore per la scomparsa dei suoi genitori e la posso capire benissimo, ogni tanto sto con lei perché se solo penso a come si senta sola o indifesa mi sento male.
Io e Alison, oggi, dobbiamo andare a fare la spesa per casa sua, ci vive da sola da quasi due anni e ormai ci è abituata.
-Dove andiamo? - chiede.
-Da mia zia, di solito ci fa pagare meno. - le rispondo e lei acconsente con un "ok" squillante. Potrà avere alle spalle una storia dura e triste ma non perde mai la sua allegria.
Mia zia fa la cassiera e quindi a volte chiude un occhio se abbiamo portato meno soldi di quanti ne servano per pagare la spesa che compriamo. Lavora in un un supermercato molto grande ma con prezzi ragionevoli e lo conosce come fosse casa sua.
Appena io e Alison varchiamo le porte automatiche del supermercato veniamo investiti da una fredda aria che ci ristora dal caldo della tarda primavera, Alison fa un sospiro di sollievo.
Prendiamo subito un carrello e iniziamo a fare la spesa, io mi limito a seguirla e a prendere le cose che lei mi dice di prendere. Compra molti cibi in scatola o pizze surgelate ma anche uova e altre cose più fresche.
Sembra molto ...

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