I. La duplicità dell’analista1
Le concezioni del transfert elaborate nel campo della psicanalisi implicano una dualità, se non una duplicità della persona che occupa questo luogo, talvolta detto “dell’analista”, talaltra “del medico”. Duplicità costitutiva, poiché colui che si trova a essere il bersaglio di questo insieme complesso di sentimenti, di rappresentazioni e di affetti vari e diversi che la parola “transfert” comprende, non si confonde con un simile bersaglio; tutt’al più fa ciò che occorre per autorizzarne, facilitarne il sorgere, ma sarebbe un grave errore se si identificasse con una formazione che proviene esclusivamente, a prima vista, dal paziente.
Prima di essere impiegata per descrivere nel vivo la relazione analista-paziente, la parola Übertragung (transfert) è utilizzata da Freud per designare in quale modo una rappresentazione si fa carico di un’altra rappresentazione; il più delle volte si tratta di un modo indotto dall’apparente razionalità del legame che si forma fra le due rappresentazioni, mentre è il funzionamento inconscio che domina e regola l’operazione. Nel 1895, il significato della parola Übertragung è dunque molto simile, fin quasi a confondervisi, a quello di falsche Verknüpfung, «falso nesso»2. Per illustrarlo, Freud riprende dalla lettura della stampa francese un esempio che non ha bisogno di commenti. Dei contadini francesi assistono per la prima volta a una riunione della camera dei deputati nel giorno in cui un ordigno infernale collocato da degli anarchici esplode fragorosamente, proprio alla fine di un discorso. Poiché la bomba non aveva prodotto al momento dei danni evidenti, i nostri concludono immediatamente che si trattava del saluto protocollare con cui si concludeva ogni discorso in quell’emiciclo tanto prestigioso. Per Freud essi avevano stabilito un tipico «falso nesso»3, in base alla pura contiguità.
È in modo analogo (o quasi!) che il sogno, secondo la Traumdeutung, opera dei transfert, delle Übertragungen (si noterà immediatamente il plurale). Quando la censura, per un motivo qualsiasi, interdice il passaggio a una rappresentazione rimossa, quest’ultima – che dal canto suo spinge incessantemente per “divenire cosciente” – si dà un rappresentante, nella fattispecie un’altra rappresentazione, ma in questo caso cosciente. Questa rappresentazione, in virtù di una delle sue caratteristiche, prenderà il posto della rappresentazione che non può accedere alla coscienza. È il destino dei residui diurni, rappresentazioni qualsiasi incontrate principalmente nell’attività psichica della veglia, che serviranno a esprimere tutto ciò che non può esprimersi direttamente a causa del funzionamento criptato del sogno. Nei primi tempi delle elaborazioni freudiane la nozione di Übertragung è dunque abbastanza simile a quella di Enstellung (deformazione) e di Verschiebung (spostamento). Il transfert è la figura secondo cui una rappresentazione è nello stesso tempo spostata e deformata. Ma Freud qui sta ancora procedendo a tentoni. Molto presto infatti, non si tratterà più di una medesima rappresentazione che migra e si trasforma, ma di un legame che viene stabilito fra due rappresentazioni – legame che fa della rappresentazione conscia o preconscia il rappresentante, nel significato politico del termine, della rappresentazione che resta proibita, inibita, rimossa: inconscia.
Così, quando Freud è costretto a prendere atto dei turbolenti legami affettivi che incontra nei suoi pazienti e nelle sue pazienti, una volta presa la decisione di non attribuire i suoi successi alla sua sola persona ha già pronta la spiegazione minimale per descrivere che cosa avviene: il “medico”, l’“analista”, dev’essere considerato in questa situazione come, se così si può dire, un “grosso” residuo diurno (o piuttosto un potenziale di residui diurni). Egli mette a disposizione, mediante i suoi tratti, le sue maniere, la sua postura, la sua voce e le mille particolarità della sua presenza accanto al paziente, ciò che permette alle rappresentazioni rimosse di quest’ultimo di esprimersi; ciascuna di esse, infatti, si fissa, attraverso il transfert, a questo o quel tratto del medico. Il transfert (così com’è inteso oggi in quanto elemento chiave della relazione analista/analizzante) è nato dall’intersezione tra un sistema di rappresentazioni dove ciascuna delega all’altra il potere di rappresentarla, e un movimento affettivo che si è in primo luogo palesato sotto forma d’amore. Per percepire correttamente la pertinenza di questa correlazione, ci chiederemo innanzitutto perché Freud ha così spesso scelto di presentarla con gli accenti della sorpresa.
I.1. La falsa sorpresa freudiana
In Freud l’inattesa comparsa del transfert, benché dipenda più o meno dalla finalità dei vari scritti che gli sono dedicati, avviene generalmente in questo modo: mentre è intento a spiegare i sintomi – in cui scopre, in successione, la rappresentazione patogena, la rimozione e le resistenze (e tutte le numerose elaborazioni che accompagnano l’impiego di questi termini) – ecco che improvvisamente appare proprio ciò che non ci si aspettava. Tutto filava liscio, quand’ecco sorgere una nuova difficoltà, ancora più inaspettata delle precedenti – benché ci si renda subito conto che essa si rivelerà un ausilio prezioso, addirittura indispensabile.
È il caso esemplare di uno dei principali testi di Freud sull’argomento, la sua ventisettesima conferenza intitolata: Il transfert. Già il numero della conferenza la dice lunga, se pensiamo che in tutto sono ventotto, quanto basta per dare al transfert delle arie da prima donna. Per i due terzi della conferenza, come al solito, neanche una parola sul tema annunciato. Il termine stesso è nascosto, e nelle ventisei conferenze precedenti non ne sappiamo niente. Dobbiamo prima scoprire il funzionamento della “terapia analitica”, sapere che si tratta di “rendere l’inconscio cosciente”, domandarci se questa terapia può essere definita “causale”, affrontare il problema detto “della doppia iscrizione”, poi quello delle difficoltà dovute alle resistenze che si oppongono in diversi modi agli obiettivi terapeutici e infine il problema della suggestione: solo a questo punto, tutt’a un tratto, Freud esclama con una frase nominale che sembra fatta apposta per incuriosirci: «E ora al fatto!» [Und nun die Tatsache].
Quale “fatto”? Mistero. Di nuovo Freud, che sa dosare gli effetti, preavverte che malgrado gli innegabili successi, la sua terapia conosce dei prevedibili insuccessi con certe categorie di pazienti:
Questi pazienti – paranoici, melanconici, o affetti da dementia praecox – rimangono imperterriti e impenetrabili alla terapia psicoanalitica. Da che cosa può dipendere questo? [...] Ci troviamo qui davanti a un fatto [Tatsache] che non comprendiamo [...]4.
È allora, e solo allora, che ci imbattiamo in un «secondo fatto, al quale non eravamo in alcun modo preparati»5. Ovvero che dopo un certo tempo non possiamo fare a meno di notare che i malati (poco prima chiamati «i nostri isterici e nevrotici ossessivi») si comportano «verso di noi [gegen uns] in maniera particolarissima». Ma bisognerà attendere ancora tre pagine per poter leggere la parola stessa:
Il nuovo fatto, che riconosciamo con riluttanza, è da noi chiamato transfert. Ci riferiamo a un transfert di sentimenti sulla persona del medico, giacché non riteniamo che la situazione della cura possa giustificare la nascita di sentimenti simili 6.
L’esempio generico utilizzato da Freud per farsi comprendere è tipico di un’attitudine assunta fin dall’inizio, e di cui ben difficilmente si potrà fare a meno in seguito: «Se si tratta di una giovane donna e di un uomo piuttosto giovane [...]», prosegue, avremo l’impressione di un “normale” innamoramento che sembra da attribuire a lei nei confronti di lui. Ma poco dopo aggiunge:
Quando un simile attaccamento affettuoso del paziente nei confronti del medico si ripete regolarmente a ogni nuovo caso, quando continua a ricomparire nelle condizioni più sfavorevoli, con incongruità addirittura grottesche, anche nella donna attempata, anche verso l’uomo dalla barba grigia, anche là dove a nostro giudizio non esistono allettamenti di sorta, allora non ci resta che abbandonare l’idea di un casuale contrattempo e riconoscere che si tratta di un fenomeno che sta nella più intima connessione con l’essenza della malattia stessa [dem Wesen des Krankseins selbst im Innersten]7.
Freud non tarda a affrontare la questione dell’inverosimiglianza di questi legami affettivi anche quando esulano dal privilegio accordato alle relazioni eterosessuali, a cui si addice senz’altro il vocabolario dell’amore8:
Che cosa succede con i pazienti di sesso maschile? In questo caso sarebbe legittimo sperare di sfuggire alla molesta interferenza della diversità di sesso e dell’attrazione sessuale. Eppure dobbiamo rispondere che le cose non vanno molto diversamente che con le donne. Lo stesso attaccamento al medico, la stessa sopravvalutazione delle sue qualità, lo stesso assorbimento nei suoi interessi, la stessa gelosia verso tutti quelli che gli stanno vicino.
Subito dopo avere messo in relazione questa onnipresenza dell’amore col “fatto” del transfert, nello stesso paragrafo apprendiamo dell’esistenza di una forma di transfert «ostile o negativo». Ebbene, ogni lettore paziente di Freud sa che l’ambivalenza dei sentimenti è una specie di pietra di paragone della sua dottrina, e l’esistenza – anch’essa “fattuale”, supponiamolo – di una simile negatività di sentimenti, sotto la penna di Freud può solo rinforzare il quadro in cui transfert e amore si confondono. Da qui la sua delusione di scienziato quando una simile realtà, un tale “fatto” s’impone in una cura che appariva fin qui quasi chirurgica:
[...] Una simile confessione ci sorprende; essa manda all’aria i nostri calcoli. Possibile che abbiamo lasciato fuori dal nostro bilancio preventivo la voce più importante? E in effetti, quanto più progrediamo nell’esperienza, tanto meno possiamo opporci a questa rettifica che umilia le nostre pretensioni scientifiche9.
Questo tono evoca l’amara delusione che s’incontra in certe forme di conversazione galante e ricercata: lo specialista impassibile che legiferava sugli affari dell’amore si ritrova suo malgrado impegolato negli stessi sentimenti da cui supponeva essere assolutamente immune.
Non è difficile elencare le citazioni in cui Freud descrive il sopraggiungere del transfert come una sorpresa. «Fenomeno inaspettato» (sempre nella 27a conferenza), «untoward event» scrive in inglese quando commenta il transfert di Anna O. su Breuer10, «si produce [...] un’inattesa complicazione»11, confessa, quando deve illustrare lo svolgersi di una cura a un “interlocutore imparziale”: si potrebbe credere che con il transf...