CI PRENDONO PER FESSI
I. Il curante
La psicoterapia è solo un caso particolare della vita relazionale quotidiana, mentre molti vorrebbero che la vita relazionale quotidiana o fosse del tutto estranea alle specifiche modalità relazionali concettualizzate all’interno del loro orientamento psicoterapico, o addirittura obbedisse a queste ultime.
Sadi Marhaba, Quale psicoterapia?
Ammontano finora a 335 le Scuole di specializzazione in psicoterapia riconosciute dal M.I.U.R. (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca), a cui continuamente se ne aggiungono di nuove1. Sta a ciascuno riflettere sulla ragione di un simile numero, continuamente in crescita, considerando anche che la legge 56 del 1989 sull’Ordinamento di un albo degli psicologi e la regolamentazione dell’esercizio della psicoterapia, all’art. 3, non definisce quale sia l’oggetto della psicoterapia, limitandosi a definire le condizioni del suo esercizio2.
Qual è l’oggetto della psicoterapia? Ciascun psicoterapeuta risponderà a seconda di uno dei 15 orientamenti psicoterapici in cui la sua scuola di formazione è stata inclusa. Ma è facile prevedere che sarà in disaccordo con gli altri su quasi tutto: teoria della malattia e dell’eziologia, nosografia, diagnosi, teoria del sintomo, concetto di trattabilità, criterio o giudizio di guarigione, tecnica, training o formazione, ecc. Manca, infatti, un criterio epistemologico che permetta di unificare – anche solo a livello dei cosiddetti “requisiti minimi”3 – le centinaia di psicoterapie (al plurale) esistenti, nella classe o ordine o genere o categoria “psicoterapia” (al singolare), benché quest’ultima esista come fattispecie giuridica.
Che cosa distingue allora le psicoterapie abilitate per legge da quelle che ne sono escluse?4 Oltre all’iter istituzionale richiesto per le condizioni del loro esercizio (che può essere tutt’al più una condizione necessaria ma non sufficiente), il solo criterio decisivo di discriminazione – quello che rende legittimo il sottoporre la professione di psicoterapeuta alla vigilanza del ministero della Salute – è che la cura da esse praticata sia equiparabile a un “tipico atto della professione medica”, come si è espressa la Cassazione in una nota sentenza per abuso di professione psicoterapeutica da parte di una psicanalista5.
Tutte le psicoterapie hanno in comune il fatto di offrire una cura atta a eliminare o alleviare i “disturbi psichici” o a promuovere e mantenere il “benessere psichico”, ma solo quelle la cui cura è riconosciuta come un “tipico atto della professione medica” sono autorizzate a praticarla6. S’impone allora la domanda: che cosa rende una cura psicoterapica equiparabile a un “tipico atto della professione medica”?
Applichiamo dunque la stessa domanda alla medicina. Che cosa distingue tutte quelle pratiche terapeutiche che rientrano nella medicina accademica, o “medicina di Stato”, dalle cosiddette “medicine alternative”? Domanda mal formulata, e che deve essere riformulata in un altro modo: che cosa distingue la medicina scientifica dalla medicina non scientifica? Come osserva infatti il Dizionario di storia della salute:
La definizione di “medicine alternative” è prettamente giornalistica e appare largamente insoddisfacente dal punto di vista della storia della scienza e della storia della medicina. Più utile è quella di “medicine non scientifiche”, giacché omeopatia, agopuntura, auricoloterapia, fitoterapia, riflessoterapia, iridologia, aromatoterapia e quant’altre discipline esoteriche vengono oggi praticate al fine di curare manifestazioni morbose, hanno tutte in comune il fatto di non possedere basi scientifiche (vedi ciarlatano; guaritore)7.
Com’è noto, l’inconsistenza scientifica di queste teorie e tecniche è dovuta all’impossibilità di sottoporre al criterio della falsificazione i loro enunciati, di non procedere sulla base di ipotesi teoriche confutabili, o della statistica, e tanto meno esse sono in grado di rendere prevedibile e ripetibile l’azione terapeutica che il medico può esercitare sul paziente (predittività) 8.
D’altra parte, una “psicoterapia scientifica” è una contradictio in adiecto: prevedere con certezza le (re)azioni di un soggetto è possibile solo nel caso (e pur sempre entro certi limiti) che egli sia disposto a eseguire dei comandi, come quando interagisce con una macchina, oppure quando è asservito alla “coazione a ripetere” (Wiederholungszwang), peraltro avvertita come una insopportabile limitazione della propria volontà e libertà. Disponiamo anche di questa notevole affermazione di Freud, agli antipodi del determinismo psichico di cui lo si è voluto fare l’araldo: «L’analisi non ha certo il compito di rendere impossibili le reazioni morbose, ma piuttosto quello di creare per l’Io del malato la libertà (il termine tedesco è Freiheit, ed è in corsivo) di optare per una soluzione o per l’altra»9.
Analogamente, potremmo dire: la psicoterapia non ha certo il compito di prevedere (o rendere prevedibili) le reazioni di un soggetto, ma piuttosto di aiutarlo a (ri)conquistare quell’imprevedibilità su cui si fonda la sua libertà e singolarità (ecco perché per Ferenczi l’unico contrassegno certo dell’efficacia dell’analisi era il cessare della coazione a ripetere). Pertanto, non solo le psicoterapie, come le “medicine alternative”, mancano di un criterio epistemologico che ne comprovi la validità scientifica, ma è proprio in ragione di tale imprescindibile mancanza che possono esercitare la loro azione terapeutica.
Il Dizionario di storia della salute propone questa definizione di psicoterapia: «Si intende per psicoterapia una congerie di tecniche di cura dei disturbi psichici basate sulla comunicazione interpersonale che intercorre tra paziente e terapeuta».
Si sarà già compreso che il Dizionario è tutto permeato da quello spirito razionalista che tende a respingere (e larvatamente a disprezzare: “congerie”) tutto ciò che non è “scientificamente testato”; la sua conclusione non ha pertanto niente di sorprendente: «Gran parte del potere terapeutico del...