1.1.1. La rinascita del platonismo nell’Umanesimo europeo: grecità e cristianesimo
« Sancte Socrates, ora pro nobis!». Con queste parole Erasmo da Rotterdam, l’intellettuale umanista più rappresentativo del primo Cinquecento europeo, dimostrava tutta la sua ammirazione e devozione per il filosofo greco, morto ad Atene nel 399 a.C. [1] .
Una delle caratteristiche della filosofia del Rinascimento fu proprio la riscoperta della letteratura e della filosofia greca con un particolare interesse filologico. L’auspicato ritorno alle fonti, ai testi originali, riguardò tanto i testi biblici (ai quali lo stesso Erasmo dedicò grandissimo impegno) e i trattati della letteratura patristica cristiana dei primi secoli, quanto i classici latini e greci, in particolare le opere dei padri della filosofia greca, primo tra tutti Platone.
In questo senso fu esemplare l’opera dell’umanista italiano Marsilio Ficino (1433-1499) il più importante rappresentante del rifiorire del platonismo nel Rinascimento. Impegnato nelle traduzioni di classici greci (da Platone a Dionigi Aeropagita...) Ficino fondò – per volere di Cosimo de Medici – l’Accademia Platonica dedicata alla promozione, allo studio, alle traduzioni e alla diffusione delle opere del filosofo greco. Secondo Ficino il Logos divino è presente nella storia del pensiero fin dall’antichità e, col passare dei secoli, si è rivelato gradualmente per manifestarsi appieno con l’avvento del cristianesimo. Secondo questa scuola di pensiero la filosofia greca conteneva “in germe” tutti i contenuti della filosofia cristiana. Fu proprio con l’apporto di questa accademia che iniziò a diffondersi l’idea di accostare il pensiero dei primi filosofi greci allo spirito del cristianesimo. Con Marsilio Ficino le differenze tra il platonismo e il cristianesimo andarono assottigliandosi sempre di più. Un’altra costante nel pensiero umanistico rinascimentale fu dunque quella di leggere nella sapienza greca una sorta di anticipazione del cristianesimo e del messaggio cristiano, una pia philosophia che conteneva in sé quei contenuti che sarebbero stati struttura portante dei dogmi cristiani come l’esistenza e l’immortalità dell’anima, la concezione dell’uomo come homo viator, pellegrino nel mondo, la piena fiducia in una retribuzione post mortem e dunque la necessità di uno stile di vita incentrato sulle virtù e lontano dai vizi e dalla corruzione. Per Ficino «la dimensione religiosa è inscindibile da un autentico sapere», in questo senso la sua filosofia ha come principale compito quello di «concordare autori pagani e cristiani, che hanno contribuito in modo diverso al disvelamento dell’unica verità» [2] .
Per Ficino lo stesso Socrate rappresenta una sorta di precursore di Cristo: egli è il typus salvatoris nostri, immagine del nostro Salvatore. Pur appartenendo al popolo pagano, la sua luce illuminava la storia profetizzando l’avvento di una luce più grande. Attraverso i secoli questo confronto tra Socrate e Cristo giungerà ad Erasmo e ai deisti inglesi, influenzando anche la filosofia dell’Ottocento fino a Kierkegaard.
A contribuire notevolmente al sentimento di ammirazione per Socrate da parte dell’Umanesimo europeo, fu la pubblicazione di Vita Socratis di Giannozzo Manetti (1440): la prima biografia del filosofo di Atene scritta nell’epoca moderna. Non possiamo dimenticare l’opera del filosofo italiano Pico della Mirandola (1463-1494) «considerato in tutta Europa l’uomo più affascinante, più dotto e più colto della sua epoca» [3] . Anche il giovane Tommaso Moro subì il fascino di questo straordinario umanista amico di Ficino, cantore della «pace filosofica tra gli uomini» [4] , della libertà e della dignità dell’uomo; a lui si dedicò poco più che diciottenne traducendo una sua vita dal latino all’inglese [5] e sottolineandone anzitutto le virtù morali e la profonda spiritualità [6] .
1.1.2. Erasmo, la salvezza e il Socrate cristiano
È in questo contesto che la figura di Socrate [7] inizia ad essere letta in chiave cristiana al punto da considerare il filosofo ateniese un’anticipazione dello stesso Gesù di Nazaret, il Cristo. Socrate viene quindi considerato non solo un santo a cui votarsi – come recita provocatoriamente il motto erasmiano – ma anche un modello di intellettuale e di uomo virtuoso da imitare. Tutte le sue caratteristiche etiche e filosofiche – l’amore per gli uomini e per la sapienza, la ricerca intellettuale della verità, l’impegno etico di difenderla e diffonderla, l’ironia, la ricerca della compagnia degli amici, la forza d’animo e l’amore per la famiglia – si presentano come caratteristiche essenziali del filosofo virtuoso, libero dai dettami politici, utile alla società e alla comunità culturale.
La sua coerenza di vita, la battaglia per la verità, vissuta come una missione affidatagli dal dio Apollo [8] , che lo portò fino alla ingiusta condanna e alla morte, ha reso immediato l’accostamento al sacrificio di Cristo, anch’egli condannato e ucciso ingiustamente, lui che nella sua vita si presentò ai propri discepoli come la personificazione stessa della Verità.
Erasmo [9] e i suoi contemporanei considerarono dunque Socrate come una sorta di proto-santo cristiano, prefigurazione di Cristo e antesignano del cristianesimo, al pari delle figure bibliche del Vecchio Testamento [10] . Questo audace accostamento tra filosofia greca e cristianesimo provocò lo sdegno e lo scandalo dei settori ecclesiastici e teologici più conservatori per i quali lo studio del greco era stato, fino a quel tempo, limitato ad Aristotele ed agli aristotelici riletti dalla teologia scolastica per timore di dare adito, in Europa, a un’influenza dottrinale da parte delle chiese separate d’Oriente e dunque al dilagare dell’eresia.
Nell’affermazione « Sancte Socrate ora pro nobis» appare tutta l’ampiezza dello sguardo erasmiano sul tema della salvezza dell’uomo, un tema tanto caro quanto controverso tra i teologi rinascimentali, su cui polemizzò – con particolare passione e veemenza – il riformatore tedesco Martin Lutero. Ma mentre la teologia di Lutero, con le sue tesi sulla predestinazione e il De servo arbitrio, ha contribuito a restringere l’orizzonte della santità, lasciando in ultima istanza solo ed esclusivamente all’onniscienza di Dio l’ultima parola sulla salvezza o dannazione eterna degli uomini, la posizione di Erasmo appare più distesa e di più largo respiro [11] : la salvezza è alla portata di ogni uomo che, col buon uso della propria libertà, può raggiungere la beatitudine grazie a una vita buona e coerente, confidando nella immensa misericordia di Dio [12] . Quella di Erasmo fu una «teologia dal cielo aperto» fondata più sulla misericordia che sulla giustizia di Dio; un «ecumenismo radicale che coinvolgeva anche turchi, ebrei e popoli del Nuovo Mondo» [13] .
Erasmo e Lutero incarnano quel profondo e drammatico conflitto di coscienza che caratterizzò la loro epoca; sono le due facce di una disputa accesa che vedeva contrapposte due diverse concezioni della libertà, un conflitto che avrebbe segnato le sorti del continente europeo. Su questo tema i due teologi si scontrarono attraverso la pubblicazione di alcuni saggi dai toni estremamente polemici. Al De libero arbitrio di Erasmo (1524) [14] , Lutero risponderà col De servo arbitrio (1525) affermando che la libertà dell’uomo di fronte all’onnipotenza di Dio è così misera che il destino della volontà umana dipenderà unicamente dalle forze – divine o demoniache – che ne prenderanno possesso. Erasmo risponderà ancora a Lutero pubblicando in due parti (1526 e 1527) il saggio Hyperaspistes [15] , dove denuncerà con asprezza le due posizioni estreme: quella di Pelagio, per cui la salvezza dipenderebbe solamente dall’uomo, e quella di Lutero, per cui unicamente la potenza di Dio sarebbe in grado di destinare l’uomo alla salvezza. Lutero infatti, a differenza degli umanisti come Erasmo, Moro e Vives, nutriva una profonda sfiducia nelle capacità umane, tanto da considerare l’uomo un essere debole e tendente al peccato, capace solamente di fare il male [16] . Per Lutero «l’uomo, diventato simile ad un albero marcio, non può volere né fare altro che male» [17] ; un male insito nella natura umana giacché «la volontà non è libera, ma schiava» [18] .
Dicendo che Erasmo fu un grandissimo amico di Tommaso Moro si rischia forse di risultare riduttivi: il loro legame fu qualcosa di più di un’amicizia; la relazione che intercorse tra i due umanisti fu più simile ad una comunione di anime, una relazione spirituale (Erasmo parlerà di «una sola anima») che oltrepassò i confini delle comuni relazioni di amicizia tra gli uomini.
La profonda stima, l’aiuto reciproco, la mutua ammirazione per il lavoro dell’altro e la condivisione di ideali comuni (come la sete di un rinnovamento spirituale, morale ed intellettuale), sigillarono il loro rapporto dal momento in cui l’umanista olandese si recò in Inghilterra per la prima volta nel 1499. Sono circa cinquanta le lettere che ci sono state tramandate a testimonianza del fitto rapporto epistolare che intercorse tra i due. In questo carteggio, dal linguaggio diretto e colloquiale (condito spesso da una fine ed erudita ironia nell’affrontare sia temi leggeri che questioni più gravi), emergono tutti i tratti di un’amicizia sincera e cristallina che non lasciò spazio a spirito di rivalità o di competizione. In una di queste lettere Moro condensa in modo magistrale la profondità dei sentimenti che lo legano all’amico quando scrive ad Erasmo: «A mio modo di vedere noi due siamo una folla, e penso che con te potrei essere felice in qualsiasi luogo, desolato fin che si vuole» [19] .
Alla morte di Tommaso Moro Erasmo si trova lontano dall’Inghilterra. Una settimana dopo aver appreso la notizia, straziato dalla morte dell’amico, scrive al Vescovo di Cracovia Pietro Tomiki:
Dal frammento di lettera che ti invio saprai ciò che è accaduto al vescovo di Rochester e a Thomas More in Inghilterra, nazione che non ebbe mai uomini più santi e di maggior valore di quei due. Con la scomparsa di More, sento anch’io di aver smesso di vivere, perché noi due eravamo un’anima sola [20] .
Erasmo da Rotterdam [21] approdò in Inghilterra grazie all’invito dell’allievo William Blount, barone di Mountjoy; solo qui, dopo un lungo peregrinare per l’Europa, trovò un ambiente culturale adatto alla sua sete di sapere e di confronto intellettuale. A differenza di Moro, che è pienamente inserito nella vita sociale e politica, e che predilige il calore dei rapporti umani alla freddezza dei tomi e delle biblioteche, Erasmo guarda la realtà attraverso i libri, preferendo la loro silenziosa compagnia a quella degli uomini. Il biografo Stefan Zweig lo descrive come uno che «ha la faccia di un individuo che non ...