1. IL TEMA DA
AFFRONTARE
In questo piccolo testo1 voglio concentrarmi, come dice il titolo, sulla possibilità di sviluppare un’etica del giornalismo – anzi: sulla necessità di farlo – all’interno degli scenari comunicativi con i quali quotidianamente interagiamo. I modi, molteplici e invasivi, in cui questi scenari trasformano la nostra attività noi li sperimentiamo ormai da qualche decennio: sia in generale, cioè come professionisti della comunicazione, sia più specificamente, in quanto operatori coinvolti in varie attività comunicative, sia, infine, in quanto semplici utenti di notizie e informazioni. Ciò a cui mi riferisco, dunque, è chiaro a tutti. Riguarda l’impatto delle tecnologie sul nostro lavoro e su coloro che da questo lavoro sono interessati e raggiunti.
Le tecnologie di cui parlo, infatti, non solamente hanno cambiato le modalità della scrittura, nonché l’elaborazione e la trasmissione di quei testi e di quelle immagini attraverso cui comunichiamo. Soprattutto hanno trasformato e stanno sempre più modificando i caratteri di fondo del fare informazione, nonché il senso dell’informazione in quanto tale. Più precisamente, ciò che risulta radicalmente mutato è il rapporto stesso, la relazione che sussiste fra il giornalista e il fruitore della sua attività: sia esso un lettore, un ascoltatore, uno spettatore, un navigatore in rete. Ciò accade – lo vedremo fra poco – anche a seguito di una significativa trasformazione della cosiddetta “opinione pubblica”.
Su tutto questo voglio brevemente soffermarmi. Ma non lo farò ripetendo cose che ben sappiamo: anche perché un professionista della comunicazione queste cose le vive tutti i giorni in redazione, negli uffici stampa, nel corso delle varie attività informative in cui è coinvolto. Né intendo riproporre discorsi scontati, relativi agli effetti che il potere ormai globalizzato della comunicazione rivela ed è in grado di mettere in opera. Voglio invece mostrare che un riferimento all’etica – per affrontare tutti questi aspetti e, più in generale, per svolgere in maniera adeguata la professione – può essere utile. Utile concretamente.
Ma in che modo ciò può accadere? Lo vedremo fra poco. Saranno infatti categorie etiche quelle a cui mi riferirò: categorie come “fiducia”, “credibilità”, “correttezza”, “responsabilità”, “autonomia”, “dignità”. Saranno motivazioni etiche quelle a cui vedremo che bisogna riferirsi per far bene il mestiere del giornalista.
Beninteso, però: non si tratta di discorsi astratti o di richiami moralistici, puramente velleitari. La tesi che cercherò di argomentare, infatti, è che oggi – tanto più oggi, cioè negli scenari comunicativi a cui mi richiamavo – il riferimento a uno sfondo etico è fondamentale. È fondamentale posto che il giornalismo, almeno per come lo intendiamo, voglia esercitare adeguatamente il suo ruolo. Più ancora, se nella società attuale intende avere lo spazio che gli compete. Oserei dire, addirittura: se vuole sopravvivere2.
2. ALCUNI DATI
Oggi infatti, per il giornalismo a cui siamo ancora abituati, tale sopravvivenza non è affatto scontata. Elenchiamo alcuni dati. Essi, in parte, sono ben noti. Ma messi tutti in fila, comunque, colpiscono.
Dal rapporto AGCOM 2018 il 95% della popolazione italiana s’informa su almeno uno dei mezzi di comunicazione, e l’80% lo fa regolarmente. Ma il 90% di questi utenti si affida alla televisione, il 51% alla radio, mentre il 70% va su Internet a reperire notizie. E i giornali? Ormai li legge regolarmente meno del 20% dei nostri concittadini1.
Qual è una prima conclusione che possiamo trarre da questi dati? Essi non ci dicono affatto che le persone non s’informano più, che non hanno bisogno di chi media per loro le notizie, ma semplicemente che è diverso il modo in cui esse s’informano, nelle differenti piattaforme e grazie ai diversi strumenti che usano. Gli italiani s’informano in tempo reale, in maniera molto rapida e, per certi versi, rapsodica, in un contesto di overdose informativa nella quale sperimentano in maniera crescente modalità crossmediali d’interazione.
Questo è ciò che dobbiamo tenere presente e sottolineare: il fatto che un bisogno d’informazione permane. Ma dobbiamo aver chiaro anche il contesto in cui tale bisogno viene espresso. Esso comporta, infatti, quasi un rovesciamento nell’ordine dei valori. E il risultato è, per certi aspetti, sconcertante. Meglio infatti una notizia data subito piuttosto che una notizia accuratamente verificata; meglio avere molte notizie piuttosto che poche e ben selezionate; meglio trovare le stesse notizie da tante parti piuttosto che il loro adeguato approfondimento; meglio trovare notizie compatibili con i miei gusti piuttosto che notizie che ci offrono prospettive nuove su un certo argomento2.
3. LA FINE DELL’OPINIONE
PUBBLICA
Approfondiamo meglio questa situazione e le opzioni di fronte a cui essa ci colloca. Anzitutto c’è da dire che i cambiamenti dovuti agli sviluppi dei media comunicativi provocano certamente trasformazioni sia sul piano tecnico, sia sul piano comportamentale. Sul piano tecnico ciò è abbastanza evidente. Il rapido succedersi di forme nuove di comunicazione, la consapevolezza della loro potenza, pervasività, immediatezza di risultato, richiede un aggiornamento costante e una permanente duttilità di approccio sia in chi ne fa uso, sia da parte di chi ne è interessato (gli utenti). Il pericolo, in questa situazione, è che si ritenga che un semplice aggiornamento basti per far bene il proprio mestiere. Ciò invece non è sufficiente, pur essendo certo indispensabile, dal momento che l’uso stesso di certi strumenti produce in tutti i soggetti coinvolti cambiamenti nel comportamento di cui bisogna essere consapevoli.
Sul piano comportamentale, infatti, la situazione è ben più complessa. Ciò che cambia significativamente, nell’ambito di un giornalismo che fa uso delle tecnologie emergenti, è la modalità di relazione con il pubblico. E questa modalità cambia perché, anche grazie all’avvento delle tecnologie comunicative, il pubblico è cambiato, allo stesso modo in cui è mutato il lavoro giornalistico.
Mi spiego facendo una semplice asserzione, forse fin troppo recisa: l’opinione pubblica, per come l’abbiamo conosciuta, è ormai qua...