parte seconda
La questione del fascismo
Le origini del fascismo
La crisi del parlamento
Questo è un aspetto che certamente, ma sempre di primo acchito, rende comparabile la situazione di oggi con quella seguita alla fine della guerra mondiale del 1915-1918.
Siamo in presenza di un indebolimento, anzi di una vera e propria emarginazione, di Camera e Senato, cioè delle assemblee elettive, dalla formazione delle leggi.
Poiché queste sono l’asse portante della democrazia liberale in auge nel nostro paese fin dallo Statuto albertino, la loro progressiva esclusione da gran parte dei processi decisionali è certamente un grave colpo inferto al nostro assetto istituzionale.
Ancor più che nello stesso recente passato, dal governo in carica (come da quelli precedenti di Mario Monti, che suppliva ad una grande emergenza, di Matteo Renzi, Enrico Letta, di Paolo Gentiloni) le decisioni vengono prese al di fuori del parlamento.
Addirittura l’opposizione di centro-destra e di centro-sinistra al ministero guidato da Conte ha dato fiato all’accusa (riecheggiata nei confronti dell’ultimo esecutivo guidato da Silvio Berlusconi) che siano state assunte all’esterno del nostro paese, a Bruxelles (cioè presso l’Unione europea), e da essa imposte a Salvini e Di Maio.
Si aggiunga che deputati e senatori non sarebbero stati destinatari, per poterlo esaminare e approvare, neanche del testo completo della legge di bilancio con le cifre esatte delle spese.
Nel primo dopoguerra il fascismo fu certamente favorito dalla rarefazione dell’attività e dallo scorso vigore del ruolo del parlamento.
Non contava nulla. A dire il vero, anche i governi da esso espressi non contavano di più come dimostra la loro grande volatilità.
La situazione era radicalmente mutata rispetto agli anni di guerra. Allora il parlamento, in luogo della sua autonomia e del rapporto dialettico col governo, accolse la prassi della flessibilità inaugurata da quest’ultimo.
L’esito fu di riuscire così a stabilire una collaborazione straordinaria tra i due massimi organi istituzionali e la corona. Il che rese possibile concertare tre importanti atti politici. Il primo fu la sciagurata azione militare a Durazzo, nel 1918. Il secondo furono le dimissioni del comandante supremo delle forze armate generale Luigi Cadorna, la sua sostituzione con Armando Diaz. Il terzo fu la gestione della crisi dell’esecutivo guidato da Salandra che lascerà il posto al vecchio Paolo Boselli.
Ma, soprattutto, attraverso questa intesa erano potuti passare due elementi che sono stati chiamati “costituzionalismo di guerra” e avvio di un riformismo efficiente e sollecito.
In Francia il futuro premier del primo governo di fronte popolare, Leon Blum, lo chiamò, fin dagli articoli scritti nel 1918, Reformisme gouvernementale.
La sua maggiore manifestazione in Italia ebbe luogo dopo la disfatta di Caporetto. Non esistono parole se non per dire che il collasso militare aveva seminato, nell’esercito e più ampiamente nel paese, l’incubo ravvicinato della fine della patria.
Furono fattori cruciali quelli che ho prima ricordato. Infatti il loro venir meno dopo il 1918, avrebbe frantumato l’unità di cui il paese aveva goduto durante gli anni spaventosi della grande carneficina di guerra e aperto un processo di divisioni profonde tra i cittadini e poi tra gli elettori.
Questo varco straripante sarà riempito dal fascismo.
Dopo il 1918, il potere, e non solo il prestigio, del parlamento si era incrinato e sembrò quasi scomparire.
La crisi irreversibile dello Stato parlamento liberale
Si deve, però, tenere conto che la principale caratteristica delle istituzioni uscite dalla Prima guerra mondiale non corrispondeva più, o corrispondeva sempre meno, a quelle della tradizione italiana dello Stato liberale.
La novità rilevabile nella storiografia più recente è che la vera, grande cesura avvenne durante il grande conflitto.
Sono gli anni in cui l’esautoramento delle assemblee elettive raggiunse un livello di non ritorno, mentre prendevano un grande vigore, soprattutto nell’economia (che subì una forte modernizzazione), proprio per la speditezza e l’efficienza degli interventi massicci e straordinari, gli organi esecutivi prodigatosi nel corso della guerra.
La stessa Presidenza del consiglio si rese conto che i compiti di coordinamento dei ministeri, di cui era stata investita dallo Statuto albertino, non la designavano per niente come un potere “forte”.
Questa grande debolezza (per esempio nei confronti dello stato maggiore delle forze armate e del Ministero della difesa e dell’interno) risulta chiaro dal confronto (attentamente, e in maniera originale, studiato da Andrea Guiso) con i governi di altri paesi, come la Francia e la Gran Bretagna.
I sistemi liberali (politico-istituzionali) di governo subirono un cambiamento radicale, di cui non ci si rese subito conto, in conseguenza delle trasformazioni che avevano avuto luogo nel corpo delle strutture econo...