Capitolo 1
Processi sociologici
Questa prima sezione tematica raccoglie recensioni a testi orientati a considerare fondamentali processi sociologici legati all’affermazione dell’età globale: trovano quindi spazio contributi che studiano i problemi dell’individualizzazione e della formazione dell’identità, gli specifici processi culturali connessi con evoluzioni tecno-scientifiche, gli sviluppi economici, le dimensioni dell’esistenza e dell’immaginario.
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Zygmunt Bauman, La società individualizzata. Il Mulino, Bologna, 2002, pp. 318, trad. it. di Id., Individualized Society, Polity Press, Cambridge, 2001.
Riprendendo tematiche già affrontate in precedenti lavori (in particolare La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano, 2000 e Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002), Zygmunt Bauman sviluppa in questo studio un’analisi attenta dei processi di individualizzazione che egli scorge nella società contemporanea in fase di postmodernità. Il sociologo divide la sua trattazione in tre parti, sistematizzando i concetti che affronta.
Nella prima parte, egli esamina la condizione generale, lo status attuale della società postmoderna, nella seconda le modalità secondo cui la nostra società “pensa” e nella terza le modalità di azioni che si determinano al suo interno.
Lo studio si dedica così, inizialmente, alle dimensioni del lavoro, delle istituzioni, della libertà, della responsabilità e delle differenze. L’estrema velocità e il disimpegno che caratterizzano la sfera sociale attuale, la extraterritorialità del capitale hanno contribuito a determinare un crollo del ruolo della fiducia. Il lavoro non riesce a far presa sul presente e la conseguente crisi della fiducia impedisce di progettare e pianificare organicamente il futuro. La stessa idea di ordine, che è sempre stata al centro dell’agenda politica e sociale, è profondamente svalutata nella società che si globalizza. La nuova struttura del potere globale è governata dal contrasto tra mobilità e sedentarietà, contingenza e routine e l’ordine diventa l’indice dell’impotenza e della subordinazione: gli stati nazione, secondo Bauman, pur continuando a proclamarsi fedeli al principio dell’ordine, sviluppano in realtà pratiche di smantellamento degli ostacoli al disordine creativo.
Inoltre, la mancanza di sicurezza ha determinato una nuova modalità di relazione ai rischi; pur continuando i rischi a essere prodotti sociali, il dovere e la necessità di affrontarli sono ora, come mai in passato, trasferiti sul piano individuale. Tale individualizzazione è alla base della crisi della cittadinanza: vi è una contraddizione di fondo nel rapporto tra potere e politica contemporanea. Il potere è sempre più globale mentre la politica conserva un carattere territoriale. La mancanza di “presa sul presente” rende impossibile lo sviluppo di un agire politico valido e pieno.
L’origine profonda dell’insieme di questi fenomeni e di altri a essi connessi sta, secondo Bauman, nel carattere tipico della modernità. Essa aveva cercato di imporre le sue leggi alla storia, aveva cercato di creare l’ordine, aveva voluto adeguare i bisogni individuali a quelli resi realistici dal progetto del contesto sociale fondato sulla legge. Ma, ai nostri tempi, in condizione di postmodernità, questa ambizione è stata abbandonata. Riflesso della crisi sociale della postmodernità è anche la crisi dei sistemi di welfare. Il mantenimento di tali sistemi, a questo punto, non dipende più da un affinamento tecnico e razionale delle sue strutture, perché in una società fortemente individualizzata in cui ciascuno è chiamato a risolvere i propri problemi in autonomia, la logica stessa del welfare sarebbe minata. Piuttosto sorge un problema qualitativo: il mantenimento dei sistemi di welfare è un problema morale, è un problema di responsabilità etica esclusivamente autoreferenziale; «è meglio avere a cuore qualcosa che lavarsene le mani, anche se questo non arricchisce le persone e non incrementa la redditività delle aziende» (p. 108). Nel capitolo conclusivo di questa prima parte, si sottolinea come le forme di violenza specificamente postmoderne nascano, quindi, dalla privatizzazione, dalla deregolamentazione, dalla decentralizzazione dei problemi dell’identità causati dalla crisi di istituzioni quali la famiglia e lo stato nazione. Tutto ciò è alla base della polarizzazione che la postmodernità determina rispetto alla diversità: da una parte questa è percepita come fonte di «esperienze piacevoli e soddisfazioni estetiche» (p. 126), dall’altro come l’incarnazione dell’incertezza della condizione umana.
Nella seconda parte l’analisi si sposta sulle dimensioni attraverso cui la società individualizzata si pensa. I concetti chiave, e le condizioni che li trasformano, diventano quelli del ruolo della critica, l’idea del progresso, l’istruzione, la costruzione delle identità, gli aspetti della religione, le dimensioni affettive.
Il ruolo della critica si è fortemente modificato rispetto alle prime fasi della modernità. La modernità attuale o postmodernità si distingue da quella del xx secolo per il suo carattere ossessivo, continuo e inarrestabile: la realizzazione si proietta sempre nel futuro, ma i risultati una volta raggiunti, si svalutano. Così anche l’attività di una teoria critica è cambiata. Prima, in contributi come quelli della Scuola di Francoforte o di Foucault, il suo compito era difendere l’autonomia del privato dall’invasione del pubblico; oggi essa deve difendere lo spazio pubblico in via di estinzione, deve riunire ciò che è stato spezzato dall’individualizzazione e dal divorzio tra potere e politica. Analogamente, sempre per l’impossibilità di far presa sul presente, tipica della dimensione sociale della nostra epoca, anche l’idea di progresso sembra destinata a svanire, perché è l’idea stessa di programma che si muove su un arco di tempo incerto e limitato. E gli stessi problemi delle disuguaglianze e della povertà che si estendono trans-nazionalmente, proprio in assenza di un bene comune radicato nella sicurezza degli attori politici, non sono affrontabili da parte di governi e partiti che, per loro natura, hanno respiro parziale e locale.
Per capire come una società pensa se stessa è cruciale l’organizzazione dell’istruzione. Coerentemente con il modello di liquefazione individuato in altri aspetti del mondo contemporaneo, anche la conoscenza ha assunto un carattere molto fluido e immediato. Non è più importante portare alla luce una logica occulta nell’accumulo di eventi, quanto la capacità per gli individui di sbarazzarsi di vecchie abitudini e conoscenze prima ancora di acquisirne di nuove. L’università è l’istituzione che più risente di tale trasformazione. Essa, tradizionalmente, veicola un sapere che è acquisibile solo dopo anni di studio ed è legata a un’idea di progresso, che il mondo attuale non è più in grado di gestire. L’idea di umanizzazione dell’individuo attraverso la scienza e la cultura, dopo gli eventi del xx secolo, appare oggi ingenua. L’università si trova così di fronte a due possibilità: trasformarsi in impresa commerciale o chiudersi in se stessa diffondendo il proprio prodotto in modo autoreferenziale. Entrambe queste strategie in realtà preannunciano la fine della centralità del lavoro intellettuale che, nel primo caso, diventa puramente strumentale e, nel secondo, perde ogni contatto e influenza sul mondo reale. Il modo di pensare di una società è alla base della costruzione dell’identità individuale. Nella società postmoderna il problema della costruzione dell’identità non riguarda più i mezzi da utilizzare, quanto il fine da scegliere. Proprio questa difficoltà nel dar senso all’esistenza si riflette nella crisi di fede e nell’affermazione di forme di gratificazione fondate sull’immediatezza, sia nella sfera affettiva sia in quella del lavoro o dello svago.
La terza parte del testo mostra come, sulla base delle modalità ontologiche e epistemologiche evidenziate, si caratterizza l’agire contemporaneo. Trovano qui spazio analisi sull’amore, sull’etica, sulla politica, sul generale senso dell’agire nella vita. Ed emerge in modo evidente il carattere fortemente morale della sociologia di Bauman. Molti problemi della società individualizzata, ammonisce l’autore, dipendono dal fatto che le autorità e i governi pongano i problemi esclusivamente sotto l’aspetto della ragionevolezza o meno delle soluzioni, mentre forse è ora di rivalutare una dimensione morale. La disgregazione della sfera politica, la fine dell’influenza dello Stato sulle dimensione dell’economia, della cultura e della territorialità richiedono una mobilitazione etica degli intellettuali. Nonostante quella attuale sia anche definita e salutata come epoca della fine delle ideologie e delle grandi narrazioni, Bauman ritiene che tale situazione non sia necessariamente positiva (pur ricordando i potenziali effetti nefasti e totalitari di certe forme di pensiero ideologico), perché dobbiamo ancora imparare a vivere senza cartelli indicatori e metri di valutazione alternativi.
Particolarmente interessante, all’interno di tale discorso, è il riferimento alla questione della violenza. La crescente diffusione della violenza è spiegata da un lato dalla debolezza dei modelli relazionali un tempo onnipotenti, dall’altro dalla flessibilità dei rapporti. Inoltre, Bauman scorge anche una forte dimensione di violenza sospettata che da lui è ritenuta fonte di ansie notevoli e che è anche alla base della strategia del disimpegno. Piuttosto apocalitticamente il sociologo ritiene che anche il xxi secolo sarà un secolo particolarmente caratterizzato dall’uso della violenza, questa volta determinata da «una progressiva esautorazione degli stati nazione a opera dei poteri globali scatenati» (p. 274).
In questo contesto trova spazio anche un capitolo dedicato alla nuova connotazione assunta dal sesso nella postmodernità. Il sesso viene qui considerato nella sua relazione con le dimensioni dell’erotismo e dell’amore. Prima della postmodernità l’erotismo, inteso come capacità dell’ingegno umano di distinguere tra l’esperienza sessuale e il piacere collegato a tale esperienza, si legava al sesso e all’amore. Ora, invece, l’erotismo ha una sua connotazione completamente autosufficiente e rivendica una separazione dal sesso che è elemento naturale e dall’amore come elemento culturale e assume una libertà di fluttuazione assoluta: si apre la dimensione di “sessualità duttile” di cui parla Giddens. Anche riguardo a questo aspetto Bauman è attento a cogliere le implicazioni che dal punto di vista morale il fenomeno determina. La pervasività dell’erotismo postmoderno infatti induce a un’alterazione di tutti i rapporti umani, a partire da quelli tra genitori e figli, che vengono purificati con circospezione e timore dai più remoti sottintesi sessuali che potrebbero influire su tali relazioni rendendole permanenti. Tristemente, in ogni sguardo, in ogni gentilezza, si scorge una minaccia; i rapporti si svuotano così di emotività e intimità.
L’ultimo capitolo del testo si concentra sulle modalità attraverso cui gli uomin...