L'adolescente in Psicoanalisi  Verso la fine del trattamento
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L'adolescente in Psicoanalisi Verso la fine del trattamento

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L'adolescente in Psicoanalisi Verso la fine del trattamento

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L'adolescenza è un percorso di sperimentazione, riorganizzazione ed integrazione dello sviluppo psicologico precedente, che ora è visto in un contesto nuovo, di maturità sessuale fisica. Quando all'interno del setting psicoanalitico abbiamo a che fare con pazienti adolescenti, le difficoltà che si possono incontrare non sono poche.L'adolescenza può essere vissuta come organizzante o disorganizzante, o può anche passare in certo qual modo sotto silenzio.In quest'ultimo caso non ci sarà una "crisi" adolescenziale propriamente detta e se questa "assenza" va al di là delle apparenze, ciò non potrà che essere di cattivo auspicio ai fini dell'ulteriore rimaneggiamento dell'apparato psichico, anzi, sarà un segno indicativo chiaro della cattiva qualità dell'organizzazione psichica precedente. Se al contrario l'adolescenza si dichiara, possono presentarsi varie eventualità più o meno feconde.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788889845479

Il Setting con l’Adolescente

Caratteristiche del colloquio con l’adolescente

All’interno del setting con l’adolescente, il colloquio ricopre una parte importante, è lo strumento principe che si usa in analisi per capire la mente del paziente, al suo interno la negazione è sempre in agguato, specie se il colloquio è condotto con adolescenti, e colludere con essa significherebbe segnare la fine del trattamento.
Comunque sia, è bene evitare consultazioni che si prolungano senza sapere quale sia l’obiettivo, inoltre si può sempre passare dalle consultazioni direttamente ad un progetto terapeutico, l’importante è sempre spiegare al paziente quello che si sta facendo, anche perché il contratto corrisponde ad un accordo consapevole da parte di due persone e non qualcosa che si sviluppa inconsapevolmente.
Le decisioni in seguito a qualsiasi forma di intervento che si andrà ad operare, dovranno tener sempre conto del danno che si è verificato e che magari continua a sussistere nel processo evolutivo dell’adolescente e della vulnerabilità ai disturbi o alla malattia mentale che gliene deriverà in età adulta (Laufer, 1984).
Bisogna infatti ricordare che l’adolescenza è un periodo nel quale l’individuo è particolarmente vulnerabile a turbe emotive ed è in questo periodo che si possono osservare i primi segni futuri di disturbi potenzialmente gravi.
Questa circostanza offre al terapeuta un’occasione unica per poter intervenire in modo tale da impedire una soluzione patologica al compito evolutivo dell’adolescenza.
“E’ quindi nel colloquio che si cercherà di stabilire in primo luogo se ci sono prove di un avvenuto breakdown alla pubertà e, in caso affermativo, quanto esso incida attualmente sul processo evolutivo” (Laufer, 1984 pag.197).
I criteri che si privilegiano nel colloquio con l’adolescente per riuscire a fornire una valutazione di un’eventuale psicopatologia sono, come abbiamo visto, legati ad una definizione della funzione evolutiva dell’adolescenza, che rappresenta l’inizio dell’organizzazione sessuale definitiva dell’individuo.
Il grado di impedimento che sussiste nello sviluppo può costituire un criterio attendibile per stabilire se si è verificato un breakdown evolutivo.
I Laufer (1984) raccomandano di definire alcuni obiettivi nel colloquio con l’adolescente quando ci si trova davanti ad una valutazione di psicopatologia:
Lo stabilire se ha avuto luogo un breakdown evolutivo
  1. Stabilire la portata della vulnerabilità attuale del soggetto, vale a dire fino a che punto le strutture difensive che l’adolescente si sente costretto ad adottare (per fronteggiare l’angoscia del breakdown evolutivo) riescono a fargli sentire di avere tuttora il controllo del proprio funzionamento
  2. Prevedere fino a che punto l’adolescente rimarrà vulnerabile, quando, verso la fine dell’adolescenza, si sarà instaurata la sua organizzazione sessuale definitiva
Una volta chiariti questi punti, se l’adolescente insiste nel sostenere che la sua vita sessuale e la sua scelta oggettuale non vanno comunque messe in discussione e chiede di concentrarsi su altri aspetti dei suoi problemi, i Laufer (1984) consigliano addirittura di non prenderlo in analisi.
“Non ignoriamo il punto di vista di certi nostri colleghi, secondo i quali la terapia finisce sempre per portare ad una verifica e alla comprensione, e che pertanto non occorre assumere posizioni rigide all’inizio dell’analisi, ma la nostra esperienza ci ha dimostrato che molti adolescenti che ci consultano per un’analisi si aspettano di essere ingannati o costretti a sottomettersi. Costoro continuano l’analisi a causa del rapporto di traslazione che si è stabilito, ma senza che possa aver luogo un lavoro terapeutico duraturo” (Laufer, 1984 pag.190).
Durante la valutazione, l’attenzione dell’analista dovrà essenzialmente essere diretta a tutti quei processi difensivi che indicano una mancata integrazione dell’immagine corporea, ed alla flessibilità di funzionamento dei meccanismi di difesa dell’adolescente, in modo tale da permettergli di concludere se c’è stato o no, un breakdown evolutivo.
Sebbene lo scopo primario del colloquio possa definirsi quello di stabilire cosa non va nell’adolescente, l’intero processo di essere intervistato e incoraggiato a parlare di sé può rappresentare un’esperienza molto importante nella vita del paziente (Laufer, 1984).
“Ai fini del suo rapporto con la propria vita interiore e della sua opinione di cosa si può fare per aiutarlo, è importante che l’analista cerchi di eliminare l’alone di smarrimento e di terribile magia che circonda la valutazione” (Laufer, 1984 pag.216).
La valutazione svolge anche funzioni che vanno al di là della semplice raccolta di informazioni necessarie per capire la gravità di una patologia.
I colloqui, ad esempio, possono aiutare molto efficacemente l’adolescente a tentare di riprendere contatto con l’angoscia che un tempo lo ha sopraffatto.
Il mero atto di esprimere con le parole la propria disperazione, vergogna o la sensazione di essere responsabile dei propri pensieri e azioni, può rappresentare per l’adolescente un passo avanti molto importante.
Nei colloqui di valutazione non sempre è possibile determinare a cosa si riferiscono questi pensieri o in quale misura gli impedimenti in atto sono di natura secondaria, per questo nel corso della valutazione è importante stabilire se nella pubertà si è verificato un breakdown evolutivo, o se il ragazzo si sia sentito convinto di aver perso le capacità di controllare i propri sentimenti o le proprie azioni.
Molti pazienti, dicono i Laufer, ricordano il breakdown come un periodo in cui hanno perduto temporaneamente il legame con la realtà ed è questo ad averli terrorizzati (Laufer, 1984).
Durante il colloquio è importante non far aumentare questa sensazione di panico o confusione, spiegare all’adolescente il perché di ogni domanda e di come si potrebbe usare la sua risposta.
L’adolescente deve essere aiutato a capire in che modo l’analista si regola, nel decidere cosa in lui non funziona e che cosa potrebbe fare per aiutarlo.
Tutto questo potrebbe sembrare una proposta seduttiva, ma non occorre che lo sia se l’analista riesce a comunicare all’adolescente di essere ben consapevole della sua angoscia, perché, quando sia l’intervistatore che l’adolescente formulano insieme una ipotesi su qualcosa che non va, il terrificante ignoto perde un po’ della sua potenza e l’adolescente inizia a sperare che qualcuno possa capire che cosa non funziona e sia quindi in grado di venire in suo aiuto (Laufer, 1984).
La funzione primaria di un colloquio resterà sempre e comunque la capacità dell’analista di saper valutare e stabilire la gravità della crisi in atto che ha indotto l’adolescente a cercare aiuto e di determinare l’entità dell’intralcio al processo evolutivo.
Tutto ciò metterà l’analista in grado di accertare se alla pubertà si è verificato un impedimento dello sviluppo e se è possibile collegarvi la crisi in atto.
In base alle sue conclusioni potrà stabilire quale sarà il setting più appropriato per l’adolescente, ma non prima di averne valutato i possibili pericoli (Catipovic, 2000).
I pericoli ovviamente sono molti, e possono derivare da caratteristiche estrinseche al colloquio, ma anche da caratteristiche intrinseche all’analista stesso, come ad esempio da un’errata rappresentazione dell’adolescente, nella mente del terapeuta.
Inizialmente la rappresentazione del paziente, specie se relativamente sconosciuto, è puramente immaginaria, il paziente immaginario si costruisce così nella mente del terapeuta a partire da un’accoglienza emotiva, la quale permette di avvicinarsi sempre più alla realtà clinica ed esistenziale della persona che si ha davanti.
In questi casi l’immaginario vale come via d’accesso al paziente reale, poi successivamente sarà usata l’attualità del transfert come via d’accesso importante ad una costruzione-ricostruzione non arbitraria del suo passato (G. Martini, 1993).
Il colloquio è parte essenziale di questo “tutto” all’interno del setting ed è delineato da una “cornice” la quale a sua volta è delineata da un luogo.
Durante il colloquio, il lavoro che il terapeuta deve fare per capire il suo paziente è di estrema importanza, infatti, non avrebbe senso se l’adolescente dopo i primi incontri abbandona l’analisi, quindi, per invogliarlo a tornare e a interessarsi al suo funzionamento mentale, bisognerà progettare il problema di come valutare il suo modo di pensare (P. Catipovic, 2000).
E’ importante, già nel primo incontro, porsi il problema di valutare le capacità di pensiero, perché talvolta, come estremo ricorso per evitare la sofferenza, gli adolescenti evitano di pensare mediante un disinvestimento del pensiero o una sua disorganizzazione.
“E’ quindi importante la valutazione della capacità di pensiero dell’adolescente, prima ancora di invitarlo a pensare” (P. Catipovic, 2000).
Il paziente alla fine della valutazione iniziale, dovrà avere tre immagini nella sua mente: una di sé stesso, una dell’analista e una del colloquio in sé (Semi, 1985).
Nel 1911 Freud ha definito come ruolo fondamentale del pensiero quello di differenziare il dentro e il fuori in base al principio di realtà.
L’azione ha il ruolo di differenziare ciò che è percepito da ciò che è rappresentato.
In seguito egli ha distinto tra pensiero e azione, definendo il pensiero come una azione di prova in una prospettiva economica.
Questo punto di vista economico è estremamente importante in adolescenza, in quanto con l’evento della pubertà l’adolescente scopre una nuova realtà.
Presupposti per avere un buon sviluppo del pensiero secondo Catipovic (2000) sono:
  1. La prevalenza del processo secondario con una permeabilità al processo primario e quindi alla pulsione;
  2. L’investimento narcisistico, vale a dire il desiderio e il bisogno di tradurre in pensieri i propri sentimenti e poi il desiderio di comunicarli nell’investimento oggettuale;
  3. Il pensiero per potersi sviluppare deve essere contenuto. E’ necessario contenere il pensiero per poter pensare.
Nei primi incontri, bisogna valutare quanto l’adolescente possa sopportare il carico pulsionale legato alla fantasticheria.
Nel considerare i disturbi del pensiero che possono essere sottesi o meno da una patologia psicotica è quindi importante valutare la capacità dell’adolescente di mantenere il legame con l’oggetto, ma anche valutare di che tipo di legame è capace.
Sarà proprio questa doppia valutazione che consentirà di fare la scelta di un setting terapeutico (P. Catipovic, 2000).

Il setting come base del processo di soggettivazione

Cahn (2000) parlando del processo di soggettivazione (che inizia nell’infanzia e dura per tutta la vita), descrive il tempo dell’adolescenza come un periodo in cui impedimenti di vario tipo possono ostacolare il normale percorso evolutivo, formando eventualmente dei “nodi” che spetta poi all’analista sbrogliare.
Cahn ci invita a considerare l’adolescenza, non solo come un tempo della vita, ma come “un agente organizzatore” decisivo nel funzionamento psichico, latente o manifesto.
Tutto questo, però, a patto che l’adolescente si possa giovare di una stabile e solida base narcisistica, perché solo elaborando e vivendo il tempo dell’adolescenza si può presentare la possibilità di separarsi-individualizzarsi, in poche parole di dare vita ad un processo di soggettivazione (Cahn, 2000).
Un processo, quello della soggettivazione, che è al contempo differenziazione e invenzione di sé e dei propri fallimenti, che si possono catalogare come: leggeri, apparenti, gravi, meno gravi.
Di questi fallimenti del processo di soggettivazione, se ne possono osservare gli effetti in età adulta, e talvolta le soluzioni apportate in età adulta o anche all’uscita dell’adolescenza mostrano il compenso più o meno infelice, cioè, la difesa più o meno riuscita (Novelletto, 1995).
Lo scopo della terapia, secondo Cahn, non è favorire né tanto meno interpretare i moti pulsionali ed i conflitti intrapsichici relativi al trauma originario, se non in fasi molto avanzate della terapia, ma mirare a favorire lo sviluppo della soggettività (o del Sé, o dell'identità), la sua integrazione (coesione), il funzionamento della parte inconscia dell'Io (preconscio).
In altre parole il compito del terapeuta sarà quello di favorire, in un setting adeguato, quelle parti dell'organizzazione psichica da cui dipende la rappresentazione di parole e tutto quel lavorio fantasmatico e associativo che favorisce lo sviluppo del pensiero e della simbolizzazione, insomma dei meccanismi e delle funzioni che permettono lo sviluppo psichico.
Nel caso di adolescenti, allora, non si tratta di una psicoterapia di appoggio rivolta all'Io, ma di una psicoterapia psicoanalitica messa al servizio dello sviluppo del Sé e dell'organizzazione dell'Io come premessa necessaria ad una eventuale successiva analisi (Novelletto, 1995).
Nei setting con adolescenti nascono dei problemi legati proprio a questo tipo di pazienti, in quanto connessi alla natura della patologia dell’adolescenza e ai suoi effetti sulla futura vita sessuale e lavorativa dell’individuo.
Solo nella situazione di sicurezza offerta nel setting dal rapporto di transfert, la patologia dell’adolescente può cominciare ad assumere un significato emotivo.
“Il processo terapeutico e l’esperienza di transfert, non solo mettono in grado l’adolescente di discutere le soluzioni da lui prima adottate, ma gli offrono una nuova speranza, consentendogli di non sentirsi più solo con la sua patologia e la sua vergogna” (Laufer, 1984, pag.100).
Il terapeuta è così destinato ad essere investito dal desiderio inconscio del paziente adolescente di ricevere l'avallo alla propria personale interpretazione del trauma.
La struttura psichica non può però tollerare che questo desiderio e le immagini del Sé e dell'oggetto che esso comprende, possa essere interpretato fin dall'inizio (Novelletto, 1995).
E’ necessario prima di tutto realizzare un contatto sufficientemente saldo con il mondo interno del paziente per tutto il tempo necessario a questo scopo, il trauma attuale consentirà all'adolescente di spostare i suoi investimenti dagli oggetti d'amore infantili, di porre una distanza tra sé e quegli oggetti, mettere in moto la capacità di pensarli e, quindi, la possibilità di trasformazione dei legami (Novelletto, 1995).
Il t...

Indice dei contenuti

  1. L’adolescente in Psicoanalisi
  2. Sommario
  3. Introduzione
  4. La crisi Adolescenziale dal punto di vista della Psicoanalisi
  5. Il Setting
  6. Il Setting con l’Adolescente
  7. Il ruolo dei genitori nel trattamento
  8. Conclusioni e Interruzioni del Trattamento Psicoanalitico con Adolescenti
  9. Conclusioni
  10. Bibliografia