© 2018 Edizioni dell’asino
Isbn 978-88-6357-233-9
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Si ringraziano Federica Graziani e Antonella Soldo
Distribuzione Messaggerie libri
Progetto grafico: Orecchio acerbo
Questo libro è stampato su carta
conforme ai principi Fsc
L’editore si dichiara disponibile a riconoscere
eventuali diritti di cui non fosse stato possibile
rintracciare i titolari.
Hanno collaborato:
Giuliano Battiston, Cecilia Cardito,
Gemma De Chirico, Goffredo Fofi,
Giulio Marcon, Davide Minotti,
Sara Nunzi, Ilaria Pittiglio,
Giacomo Pontremoli e Nicola Villa.
Stampato a Roma da Gieffe print
Introduzione
Lunga vita a Luigi Manconi, che celebra il 21 febbraio il suo settantesimo compleanno. Lo conosco dai primi mesi del ’68, quando eravamo entrambi “milanesi” e lui studiava alla Cattolica e io, che avevo dieci anni più di lui, scrivevo sui “Quaderni piacentini” e per mantenermi traducevo, perfino pornografia. Con amici torinesi e milanesi e romani, si faceva anche una rivista, “Ombre rosse”, di cui, quando la si trasformò in un periodico di movimento, Luigi fu nella direzione con Vittorio Dini, Anna Rossi Doria, Gad Lerner, Marino Sinibaldi e altri ancora, fino a quando, a ’68 ormai lontano e sconfitto, non decidemmo (1980) di chiuderla: i tempi cambiavano e c’era bisogno di altro. Luigi si dedicò al lavoro universitario e alla rivista “Antigone”, attraverso la quale la sua vocazione politica si precisò in battaglie su temi sociali fondamentali – il carcere e l’immigrazione prima di ogni altro – che ha continuato strenuamente a frequentare in difesa dei diritti dei reietti, degli oppressi, degli ultimi e fedele a una tradizione che possiamo ben dire cristiana e socialista.
È significativo che, tra forti amicizie e forti contrasti, Luigi sia stato tra i dirigenti di Lotta continua e io mi sia tenuto ai margini del gruppo, lontano dalle responsabilità politiche ma sempre convinto della loro importanza, più vicino a istanze educative e sociali, o culturali. Un grande amico comune fu per entrambi Alex Langer, che è rimasto, credo, un esempio ineguagliabile di tensione morale e politica congiunte e che, per le sue stesse origini, fu uomo di “ponti” e di dialogo, costruttore di incontri faticosi, di pacificazioni provvisorie, precarie. Non è stato casuale che entrambi abbiamo riconosciuto qualità simili in un altro giovane precocemente scomparso, poche settimane fa, Alessandro Leogrande.
Manconi non si è fermato al ’68 e ha continuato a “fare politica” anche quando tanti preferirono tornare alla vita privata e ai suoi egoismi. Ha continuato e continua.
L’opuscolo in cui abbiamo voluto raccogliere, qui alle Edizioni dell’asino e grazie all’aiuto di Federica Graziani e Antonella Soldo, alcuni suoi interventi recenti ed esemplari, è un piccolo segno del rispetto, dell’affetto, dell’amicizia che gli portiamo. Anche quando più critici nei confronti delle nostre istituzioni, noi abbiamo continuato a pensare che fosse giusto portare al loro interno il senso di quella “lunga marcia” che venne teorizzata in anni lontani, sul modello dei verdi tedeschi ai loro inizi, dei radicali nei loro momenti migliori e, ancora una volta, di Alex Langer.
I testi che seguono esprimono preoccupazioni contingenti ma convinzioni durature, persuasioni intime e profonde. E una “linea di condotta” che non è cambiata nel tempo ma che ha saputo trovare, anno dopo anno, il giusto sentiero, un “chiaro cammino” pur se in mezzo a tanti trabocchetti, forti di certezze profonde e di fedeltà rivendicate ed esplicite. (Goffredo Fofi)
Grazie ai giornali, riviste e siti dove sono stati pubblicati i testi che seguono.
Alex Langer il giusto
“il manifesto”, 3 luglio 1997
Hoffnungrträger; una parola tedesca che, da sola, sintetizza un orizzonte morale e ideale, e che potrebbe costituire un programma politico, se si riuscisse – infine – a recuperare alla politica la sua natura di servizio e la sua sostanza vera: battaglia di idee e, dunque, di concrete utopie.
Portatori di speranza collettiva: una parola che ci aveva insegnato Alex Langer. Ma che, soprattutto, Alex aveva incarnato ed esemplificato quotidianamente nella sua vita, e non solo in quella politica: perché per lui, coerente e generoso all’estremo, non esisteva, non poteva esistere scissione tra sfera personale e sfera politica. La sua dimensione privata e quella pubblica erano tutt’uno, in un travaso impegnativo e incessante; niente schermi, niente censure e, forse per questo, anche minori difese. Minori difese di fronte a chi, della politica (anche “di movimento”) faceva strumento di potere, con quel “realismo” rinunciatario che, non di rado, ricorre alla doppiezza per fare apparire l’incoerenza una virtù.
Non si cambia la politica se ognuno non cambia se stesso: questo ci diceva Langer, così caparbiamente e splendidamente fuori moda rispetto a quando quella formula fu elaborata e venne usurata e dissipata.
Non si cambia la politica se si rinuncia a dire e a praticare, già a partire da sé, già nel piccolo del proprio esistere e agire politicamente, quella speranza collettiva; se si rinuncia a portarne il carico di responsabilità. Dunque, Langer liberava quel messaggio da ogni velleità catartica e da ogni ingenuità ...