Cosa fai in giro?
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Cosa fai in giro?, l'ampio frammento autobiografico apparso nel 1978 in un numero speciale del "Ponte" dedicato al quarantesimo anniversario delle leggi razziali antiebraiche, è forse lo scritto di Cesare Cases che ha avuto la più grande e meritata diffusione. Cosa fai in giro? è un vertice assoluto del saggismo narrativo di Cases. Sebastiano Timpanaro, per primo, in una lettera all'amico del 20 gennaio 1979, ne colse appieno la sostanza morale e stilistica: "In quei tuoi ricordi sei riuscito a unire l'ironia e la tristezza in modo mirabile: li ho letti con vera commozione. E, sotto l'apparenza di pura autobiografia, quanta verità storica e politica, quanti motivi di riflessione per ebrei e non ebrei! E' uno di quei tuoi straordinari scritti che dovrai deciderti, presto, a raccogliere in volume (poco importa se saranno di argomenti diversi: l'unità sarà data dal tono, dalla personalità dell'autore)".

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788863572865
Argomento
Storia
universale dei poveri
© 2019 Edizioni dell’asino
Isbn 978-88-6357-261-2
1978 prima edizione ne “Il Ponte”.
Distribuzione Messaggerie libri.
Progetto grafico orecchio acerbo.
Questo libro è stampato su carta
conforme ai principi Fsc.
In redazione:
Goffredo Fofi, Giulio Marcon, Giacomo Manconi,
Davide Minotti, Ilaria Pittiglio, Giacomo Pontremoli e Nicola Villa.
Stampato a San Giuliano Milanese (MI) da Geca.
Cosa fai in giro?
Cesare Cases
nota introduttiva di Luca Baranelli
Nota introduttiva
Cosa fai in giro?, l’ampio frammento autobiografico apparso nel 1978 in un numero speciale del “Ponte” dedicato al quarantesimo anniversario delle leggi razziali antiebraiche, è forse lo scritto di Cesare Cases che ha avuto la più ampia e meritata diffusione. Ristampato in sette puntate sul “manifesto” nell’agosto del 1982, fu incluso da Cases come testo dapertura nell’ampia raccolta di scritti Il testimone secondario. Saggi e interventi sulla cultura del Novecento (Einaudi, 1985). Lidia De Federicis e Remo Ceserani lo vollero poi nel volume conclusivo del Materiale e l’immaginario (1988), il magnum opus scolastico da loro ideato e curato per Loescher. Infine, nel 2001 (su mio suggerimento), esso ebbe una consacrazione “canonica” nella nuova edizione in tre volumi dei Racconti italiani del Novecento, pubblicati a cura di Enzo Siciliano nei Meridiani Mondadori.
Non sono ovviamente il solo a ritenere Cosa fai in giro? un vertice assoluto del saggismo narrativo di Cases: so bene che quanti lo hanno letto in tutti questi anni ne sono rimasti profondamente colpiti e ammirati. Sebastiano Timpanaro, amico e costante interlocutore di Cases fin dagli anni ’50 – quando entrambi abitavano a Pisa – fu uno dei primi a coglierne appieno la sostanza morale e stilistica in una lettera del 20 gennaio 1979: “In quei tuoi ricordi sei riuscito a unire l’ironia e la tristezza in modo mirabile: li ho letti con vera commozione. E, sotto l’apparenza di pura autobiografia, quanta verità storica e politica, quanti motivi di riflessione per ebrei e non ebrei! È uno di quei tuoi straordinari scritti che dovrai deciderti, presto, a raccogliere in volume (poco importa se saranno di argomenti diversi: l’unità sarà data dal tono, dalla personalità dell’autore)”.
La riproposta di Cosa fai in giro? nel Materiale e l’immaginario fu anche un momento significativo della mia amicizia, e della mia collaborazione editoriale, con lui. Ci eravamo conosciuti di persona nel 1962, poco dopo il mio arrivo all’Einaudi. Cases era già il consulente per la letteratura e la cultura tedesca, e finché abitò a Roma fu il coordinatore della redazione romana – di cui facevano parte studiosi del calibro di Giancarlo Roscioni e Guido Neri – nonché delle iniziative pubbliche della libreria Einaudi di via Veneto (dibattiti, mostre, presentazioni di libri, eccetera). Nei vent’anni successivi, e soprattutto dal 1971, quando si trasferì a Torino per insegnare Lingua e letteratura tedesca a Magistero, la nostra amicizia si consolidò. Fra il 1984 e il 1985, poco prima di lasciare l’Einaudi per lavorare nella redazione della Loescher, mi ero occupato del Testimone secondario, degli scritti Su Lukács, che avevo proposto a Cases di scorporare dal Testimone, e della nuova edizione accresciuta di Patrie lettere, uscita nel 1987, quando ero già alla Loescher. Furono per me rari momenti gratificanti nel pieno della crisi che aveva travolto la casa editrice di via Biancamano.
Dopo tanti anni passati all’Einaudi, il lavoro redazionale alla Loescher mi stava insegnando cose nuove, che nell’esperienza precedente avevo praticato solo di sfuggita. In primo luogo, la lettura e il controllo puntigliosi dei testi da annotare; e poi la stesura delle note, che dovevano essere numerose ma indispensabili, precise, brevi. Il racconto di Cases, nella sua apparente limpidezza, non era così facile da commentare: oltre a nomi, figure, fatti e contesti da illustrare, conteneva allusioni da chiarire, citazioni implicite (assai frequenti e quasi naturali nei suoi scritti) da esplicitare. Lavorai in stretto contatto con lui, che stava passando un anno sabbatico a Berlino, ospite del Wissenschaftskolleg. Verificai e corressi alcune citazioni da lui fatte a memoria, gli sottoposi alcuni dubbi e gli mandai una prima stesura delle note. Cases mi rispose con questa lettera del 13 aprile 1988.
Caro Luca,
grazie delle bozze che ti rimando con lo stesso mezzo, cioè Livia. Avete proprio deciso di trasformarmi in classico ad usum scholarum, ciò che del resto non mi dispiace affatto. Dato che secondo voi i fanciulli non sanno neanche chi è Creso, ho aggiunto qualche altra nota esplicativa segnalandola con una crocetta a lato. Inoltre facendo le note saltano fuori le magagne, la scuola rovina tutto anche in questo senso. Eccoti alcuni problemi insorti in seguito alla revisione o lasciati in sospeso.
p. 5. Non sono riuscito a trovare di chi sia la definizione dell’antisemitismo come socialismo per i poveri di spirito, quindi lasciamo pure Bebel, anche se a me sembrava che fosse Jean Jaurès.
p. 6. Dico che ho giocato qualche volta con Giancarlo e Virginio Puecher, ma questo è possibile solo per Giancarlo, perché con Virginio, avendo tu trovato la data di nascita, c’è troppa differenza di età (tieni presente che sono andato a Lambrugo fino a undici anni, se non erro, cioè quando Virginio ne aveva quattro). Non resta altro che eliminare Virginio, anche se è l’unico vivo. Se l’ha già letto, si sarà meravigliato che giocassi con lui appena nato. Forse lo si può lasciare in nota mettendo “il fratello Virginio…”.
p. 15. Ho aggiunto al testo due parole sul Parini e ho messo una nota relativa. Mi sono infatti accorto che salvo errore non si dice da nessuna parte che sono andato al Parini, mentre poi si citano il Berchet e il Manzoni. Forse bisognerebbe di conseguenza togliere al primo (n. 43) l’agg. “celebre” e magari mettere una breve nota (“altro liceo di Milano o simile”) al secondo (p. 19 in basso, terzultima riga).
p. 16, n. 35. È una pignoleria, ma tu le sai apprezzare. Io cambierei la nota così: “Brera, cioè la Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, che ha sede nel palazzo di questo nome”. Se non erro, Braidense è un agg. dotto che viene da Brera, non so come.
p. 17, n. 38. Io dico che Immanuel Romano non poteva scrivere sonetti in ebraico e tu mi rovini tutto scoprendo che giustappunto li scriveva. Ma siccome il commentatore ha tutti i diritti di prendere in castagna l’a., io direi di lasciare così con l’aggiunta: “… del sonetto (contrariamente a quanto qui suppone l’a.)”.
p. 17, n. 39. Non so esattamente quando finì “La nostra bandiera”, ma ho il netto ricordo che quegli sciagurati ebbero il coraggio di farne uscire ancora un paio di numeri dopo la promulgazione delle leggi razziali (sett. 38). Quindi ho messo genericamente la fine dell’anno.
p. 18, n. 41. Brancati. In realtà io a...

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