Rivoluzioni violate
Cinque anni dopo: attivismo e diritti umani in Medio Oriente e Nord Africa
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Rivoluzioni violate
Cinque anni dopo: attivismo e diritti umani in Medio Oriente e Nord Africa
Informazioni sul libro
L'analisi più aggiornata di quanto sta accadendo nei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa cinque anni dopo le cosiddette "Primavere": Tunisia, Egitto, Siria, Iraq, Palestina, Marocco e Libia. Uno strumento indispensabile per conoscere le pratiche con cui si difendono i diritti umani nella regione Mediterranea, con una serie di ritratti degli attivisti che si sono battuti e ancora reclamano giustizia, diritti e libertà. Osservatorio Iraq è una testata indipendente che si occupa di Medio Oriente e Nord Africa attraverso analisi, traduzioni e relazioni con attivisti, giornalisti e società civile della sponda sud del Mediterraneo. Un ponte per... è un'associazione di volontariato per la solidarietà internazionale nata nel 1991 subito dopo la fine dei bombardamenti sull'Iraq, e attiva in Medio Oriente da oltre 25 anni con lo scopo di promuovere iniziative di cooperazione a favore delle popolazioni civili colpite dalle guerre e prevenire nuovi conflitti.
Domande frequenti
Informazioni
Pensiamo ad esempio alla situazione dell’Iraq oggi, che con i suoi conflitti interreligiosi manovrati ad arte da chi governa, le violazioni dei diritti umani, l’appropriazione delle leve del potere da parte di élite vecchie e nuove, stride con la mission che giustificò la guerra del 2003. Una mission inizialmente mirata a evitare l’uso di armi di distruzione di massa – mai trovate – da parte di Saddam Hussein, e poi, in pieno delirio neo-con, a disarticolare il tessuto sociale e politico per ricostruire un modello di democrazia di stampo occidentale. Il tutto condito con la retorica della tutela dei diritti umani, come se fosse possibile garantirla manu militari. In alcuni paesi della regione la guerra è stata ed è il leitmotiv con il quale confrontarsi, con le sue conseguenze immediate o di lungo periodo. Una guerra combattuta da più attori, che restringe gli spazi di agibilità, li comprime in un permanente stato di eccezione, spoglia le persone della propria dignità e dei propri diritti con legislazioni di emergenza, securizzazione di ogni spazio, militarizzazione dell’ordine pubblico.
Lo sanno gli attivisti iracheni che guardano oltre, attraverso il lavoro paziente di costruzione di reti quali il Forum sociale iracheno, e lo sanno le associazioni internazionali che con noi li sostengono nell’Iniziativa di solidarietà con la società civile irachena (Icssi).
E quale spazio possibile nella Libia di oggi? Le cronache ci raccontano di un paese sull’orlo della spartizione, attraversato da mille rivoli di violenza e sopraffazione, da Daesh, dai disegni strategici contrapposti delle fazioni politico-militari di Tripoli e Tobruk. Quali spazi si possono tenere aperti allora per i difensori dei diritti umani in un paese verso il quale il solo interesse delle cancellerie mondiali sembra essere la sicurezza delle frontiere per prevenire nuovi flussi di migranti o l’approvvigionamento di petrolio? La realpolitik sfrutta, con le ambiguità e gli opportunismi del caso, la retorica dei diritti umani. Come si spiegherebbe altrimenti l’uso strumentale fatto in Libia del principio della “responsabilità di protezione” dei civili, preso a pretesto per un’operazione militare volta a rimuovere con la forza il regime? Il vulnus persiste, e dimostra la fallacia di qualsiasi dottrina mirata a costruire la democrazia dall’alto, a tavolino o per mano armata, come se la società fosse un luogo asettico, un laboratorio di sperimentazione. Che però riguarda persone in carne e ossa, come quelle che cinque anni fa hanno occupato la Casbah di Tunisi e piazza Tahrir al Cairo, scintilla di un sussulto di rivolta che ha attraversato tutta la regione. Per un po’ i media e la vulgata ufficiale pareva si fossero dimenticati di quel fermento, di quella legittima aspirazione di libertà. Non per errore, ma per deliberata decisione, si è deciso di chiudere uno spazio di visibilità per calcolo. Oggi il regime egiziano di al-Sisi è un fido alleato dell’Occidente nella lotta al terrorismo, nella tutela della pax americana di Camp David, nella guardia alle immense risorse petrolifere. E poco conta la sistematica persecuzione di attivisti, sindacalisti, intellettuali, giornalisti, avvocati. Uno spaccato che la vicenda di Giulio Regeni ha riportato all’attenzione, ma che rischia di sparire nuovamente nei meandri degli opportunismi di rito. Nella vicina Tunisia l’onda lunga delle rivolte arabe sembrava avesse attecchito più che altrove. Ma la navigazione nelle acque dell’autodeterminazione è una domanda infinita, per parafrasare uno splendido saggio del filosofo inglese Simon Critchley. La crepa che si apre è come un rompighiaccio, ma si rischia di restare schiacciati come il vascello di Shackleton. E a bordo ci siamo anche noi. Anche per questo, insieme a tante associazioni italiane Un ponte per… sta lanciando una campagna per la protezione dei difensori dei diritti umani sulla scia di quanto chiesto dall’Onu ai paesi dell’Unione europea. Per tenere aperto uno spazio di visibilità e protezione, e permettere loro di lasciare i propri paesi se minacciati. Questa pubblicazione è dunque uno strumento di informazione e mobilitazione che vogliamo offrire a chi si adopera per sperimentare percorsi di lavoro comune, giacché se quello spazio si chiude non lo fa solo per i cittadini del Medio Oriente e del Nord Africa. Rischia di chiudersi anche per noi.
Indice dei contenuti
- Uno spazio comune da tenere aperto | Francesco Martone