Le Bietole: insapore surrogato di amicizia
L’amicizia in casa mia non ha mai avuto cittadinanza.
Non ricordo amici dei miei “ortaioli-genitori”: in effetti potendo scegliere chi vorrebbe delle verdure per amici!?
C’erano i compagni di gioco di mio padre. Amava giocare a carte e a “mahjong”.
Questi erano disprezzati da mia madre perchè costringevano il consorte lontano da casa.
Impensabile che lui volesse allontanarsi di proposito dal calore di quel focolare.
Non mi sentirei comunque di definirli amici.
C’erano i parenti, innumerevoli ma poco frequentati.
Direi che più o meno una volta al mese c’erano contatti parentali.
Tra i figli dei parenti nessuno ha mai mostrato una particolare simpatia nei miei confronti.
Probabilmente non avevano nemmeno torto.
Dovevo essere molto selvatica e tutt’altro che socievole.
Non spettava certo a loro farsi carico della mia antipatia.
Loro avevano molte amicizie nei vari ambienti che frequentavano.
Io invece aspettavo con ansia il momento delle visite immaginando chissà quali “giochi” avrei fatto. Un’ansia che perdurava per tutto il viaggio. Abitando isolati, anche se non erano poi molti chilometri dalla città, c’era sempre un percorso da fare che a me pareva eterno.
Arrivati alla meta spesso scoprivo che i sognati compagni di giochi erano in parrocchia, da amici, a praticare qualche sport o altro e sarebbero rientrati più tardi.
Che delusione!
Quelli con i parenti erano per me gli unici contatti umani che non fossero del tutto escludenti come invece quelli con le compagne di scuola.
Non si può certo dire che fossero soddisfacenti.
Molte volte proprio non capivo ma, come poi ho realizzato in seguito: “Meglio una melanzana che niente!”
Il pericoloso germoglio della dipendenza dai rapporti ortaioli stava mettendo le sue radici!
Il primo contatto non parentale, forse la prima amicizia, l’avevo individuato nella visita di una coetanea, figlia di un operaio che lavorava con mio padre.
Il padre l’accompagnò alla bella villa che si ergeva fiera nel suo beato isolamento, sarebbe passato a riprenderla dopo il lavoro.
Nemmeno ricordo le proposte di gioco che tentai di fare. In realtà non avevo idea di come si giocasse con gli altri bambini.
Avevo le mie Barbie che dovevo difendere dalle smanie distruttive del fratello al quale venivano offerte volentieri dalla Melanzana per farlo stare buono. Facile immaginare con quale mio gaudio.
Per il resto giocavo fingendo una casa all’interno di un grosso cespuglio oppure correvo tra i campi, a volte con il cane, a volte sola.
Passavo la maggior parte del tempo a fantasticare.
Morale: l’ospite si annoiava e decise di tornare a casa, ambiente certamente per lei più interessante, a piedi!
C’erano alcuni chilometri tra la villa e la città e almeno altrettanti per arrivare a casa della podista.
Ricordo il sorrisetto di mio padre quando, scoperta la cosa (io non li avevo informati, non mi pareva ci fosse niente di strano), la andò a recuperare raggiungendola quando non era ancora arrivata sulla strada principale.
Deve aver pensato che in fondo non aveva la figlia più scema ... c’era anche di peggio.
Una “bietola” in erba!
L’esempio mi fu più volte riportato dagli ortaioli per sottolineare come fosse inutile cercare ulteriori contatti.
Fatica sprecata, era ormai chiaro come nessuno volesse giocare con me! La prova provata era stata data!
Molti anni dopo incontrai quella che credevo un’amica.
Non avevo ancora abbastanza pratica per distinguere le amiche dalle melanzane, ancora oggi compio errori fatali, anche se qualche amicizia la stavo già sperimentando.
Studiavamo insieme.
Uscivamo con lo stesso gruppo di amici.
Andavamo insieme a fare concorsi, alla ricerca di un posto di lavoro, subito dopo la laurea.
Mi detti da fare per trovarle uno studio dove potesse svolgere la pratica forense. Ho sempre avuto il vizietto di farmi carico dei problemi altrui. Diventano inspiegabilmente miei.
Era il “prezzo” da pagare per conservare la relazione: cercavo di essere accondiscendente per meritarla, per non perderla, per avere affetto. Senza rinunciare ai miei bisogni per soddisfare quelli degli altri mi pareva fosse impossibile ottenere considerazione.
Tipica sindrome da mamma-melanzana! Allora però non ne sapevo ancora nulla.
Improvvisamente l’amica sparisce.
Mi viene riferito da una conoscenza comune che si era risentita perché l’avevo “sfruttata”.
Non ho mai capito cosa volesse dire.
Con me non aveva mai accennato a niente del genere e riflettendo mi pareva ci avesse solo guadagnato.
Una “bietola”!
Questo fatto mi fece venire in mente quanto la genitrice si accalorasse nel descrivere i suoi sacrifici del vivere nell’isolamento della villa per il bene della famiglia e il suo sgomento quando, ormai adulta, facevo notare che c’ero anch’io in quell’isolamento senza averlo scelto e senza averne tratto vantaggi economici. Bingo! Da qui si scatenava il finimondo.
Urla, pianti, ma nessuna spiegazione.
Le melanzane non danno spiegazioni, le devi scoprire da solo trovando la colpa che sicuramente hai commesso!
Ho smesso di parlarne.
Anche quella volta non parlai, inutile affrontare una melanzana quindi, per la proprietà transitiva, inutile anche affrontare una bietola!
Conobbi in seguito una signora, definirla ragazza mi pare inappropriato.
Aveva un fidanzato molto più giovane. Mi parevano anche una bella coppia. “Può funzionare anche così”, ricordo di aver malinconicamente pensato date le mie già evidenti difficoltà nelle relazioni di coppia.
Diventammo quasi amiche.
Ci sentivamo spesso per telefono. Si chiacchierava, anche se un pò superficialmente. Ci si vedeva spesso, si organizzavano uscite insieme ad altri.
Il suo fidanzamento si ruppe.
Lei, pur disturbata dalla vicenda, mi sembrò mantenere un decente equilibrio psicologico.
Sbagliai.
Tempo dopo il malcapitato ex si rivolse a me per avere aiuto in un progetto che curava con lei disperandosi per il di lei rifiuto a continuare qualsivoglia attività insieme.
Premetto che non c’era e non ci fu mai alcun interesse mio nei suoi confronti e viceversa.
Il progetto era per me molto invitante. Quasi un sogno.
Mentirei se dicessi di non aver pensato che l’amica si sarebbe risentita.
Confidai nella sua intelligenza.
Sbagliai.
Mi accertai che il progetto le fosse stato sottoposto e che lei non fosse interessata.
Chiesi anche ad un amico comune di verificare se effettivamente fosse così, mi sarebbe dispiaciuto farle un torto. L’amico mi disse:”Non ne vuole assolutamente più sapere!”
A quel punto accettai la proposta e mi feci carico di avvisarla personalmente.
Un disastro che man mano s’ingigantiva sempre più.
Pensavo che il tempo avrebbe riportato le cose in equilibrio.
Sbagliato.
Ha persino cambiato numero di telefono facendo sapere che la disturbava sapere che “certa gente” l’avrebbe potuta chiamare. Chissà a chi si riferiva!
Quando un paio d’anni dopo ci siamo trovate a lavorare insieme, nell’imbarazzo della situazione, decisi di trattarla come tutti gli altri componenti del gruppo. Come se non ci fossimo conosciute prima. Saluto all’inizio e alla fine delle nostre attività.
Lei ha commentato con conoscenze comuni: “Quella stronza non mi saluta neanche!”.
Più bietola di così!
Ho conosciuto altre bietole che sfruttavano la mia melanzanesca disponibilità poi, alla resa dei conti, quando ormai consapevole della non salubrità di questi rapporti, ho chiesto spiegazioni, si sono terribilmente risentite alle mie richieste di “riequilibrio” privandomi del prezioso bene della loro “bitolesca amicizia”.
Incredibile, sono sopravvissuta: stavo decisamente migliorando!
Una di queste pretendeva di chiamare il venerdì per sapere cosa facessi nella serata e nel week-end.
Non prendeva decisioni sulla sua partecipazione o meno ma si riservava di inserirsi qualora non avesse trovato di meglio da fare, costringendomi così, spesso per fortuna invano, a fare giri di telefonate per informare della lieta novella. Mi pareva sconveniente far trovare all’ultimo una persona non attesa sapendo che, se pur si conveniva fosse una “brava persona”, tutti preferivamo passare in altra compagnia le serate. Non aveva la dote della simpatia: parlava poco, spesso per lamentarsi, e dedicava il rientro al primo sonno stendendosi sul sedile posteriore dell’auto. Veniva amorevolmente definito il “ritorno col morto”.
Dopo un po’, avendo riflettuto sia sul cosa dire che sul come, non volendola offendere, cerco di esprimere il difficile concetto.
Tutto sommato dovevo poter organizzare le mie serate come e con chi volevo io. Mi ribatte che infatti, quando lei capisce di non essere ben accetta, si astiene dal partecipare.
Rifl...