Il Traghetto. La formazione psicologica degli insegnanti con i Gruppi Balint
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Il Traghetto. La formazione psicologica degli insegnanti con i Gruppi Balint

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Il Traghetto. La formazione psicologica degli insegnanti con i Gruppi Balint

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Informazioni sul libro

Il libro parla di un viaggio un pò particolare perché avviene all'interno di una stanza, che fa parte di una scuola, dove degli insegnanti si confrontano, si specchiano nella propria adolescenza parlando di adolescenti e magari scoprono di avere ancora conti in sospeso con quella fase della propria vita. Durante il viaggio, che si svolge sotto la guida di esperti capitani, cresce la disponibilità per riflettere, il coraggio d'interrogarsi, il desiderio di imparare un nuovo alfabeto per leggere il mondo. Un traghettamento che è anche terapia perché insegna a coniugare il futuro.

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Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788889845806

Parte II - Casistica:
Il primo incontro e il primo caso

Insegnanti e conduttori si incontrano in un’aula della scuola. La geografia della stessa, rispetto alla sua funzione mattutina, è cambiata: sono state accantonati cattedra e banchi; uniche sopravvissute dell’arredo di sempre sono le sedie degli alunni, sulle quali ora siedono i docenti. Esse sono disposte in cerchio.
L’atmosfera è tipicamente di attesa: all’inizio un po’ riservata, poi però la presentazione dei conduttori, dei rispettivi ruoli, e quella dei docenti danno il via all’attività.
Alcuni insegnanti tengono in mano un blocco per gli appunti, come si conviene a “efficienti” allievi di un corso; altri sembrano incuriositi e attenti ad ogni spiegazione. Sembrano intenti, come dice il coterapeuta, a cogliere le “voci di fuori” più che ad ascoltare le “voci di dentro”, alle quali forse non sono abituati.
Ecco allora un senso di disagio, che sfocia in una richiesta rivolta ai conduttori: che spieghino cosa vogliono, che illustrino ciò che intendono fare, che insomma salgano in cattedra e facciano lezione.
Apparentemente queste richieste avvicinano, vogliono far conoscere meglio l’altro, ma in realtà si tratta di rimettere spazio tra sé e l’altro, di allontanarsi proprio nel momento in cui si rischia di stabilire una relazione.
Il leader, a questo punto, propone che qualcuno porti “un caso”.
Questo invito sorprende i docenti, abituati ai corsi tradizionali, nei quali si va per ascoltare e non per dire, e semmai si dice dopo aver ascoltato. Ma qui nessuno ha ancora parlato e non si sa che cosa dire.
E’ l’altro, secondo il gruppo, detentore di un sapere da somministrare, che deve dire e sul detto si potrà poi discutere. Resiste ancora l’ultimo fragile baluardo, prima che un insegnante del gruppo raccolga l’invito a dire e a presentare il suo caso.

Primo caso (Insegnante Luigi - materie tecniche)

Luigi parla di una classe che in realtà “è” di un altro collega che è il vero titolare della cattedra ed è un ingegnere. La relazione si pone subito tra Luigi (insegnante senza registro) e il docente titolare (con registro): è una relazione che fa immediatamente pensare a quella tra un fratello minore e uno maggiore. Lo spunto è offerto da un alunno che disturba, ma il relatore del caso attende a lungo prima di riferire il nome e poi lo fa solo sotto le reiterate richieste del coterapeuta.
Egli non può eliminare il disturbo, non può spegnere il fuoco della trasgressione perché è privo del registro, che pure una volta aveva e col quale poteva tenere a bada la classe turbolenta.
Nel suo discorso disegna il collega superiore un po’ come il “gallo”, che sa farsi rispettare nel pollaio, ma proprio perché è riconosciuto da tutti come tale, mentre lui, Luigi, si presenta impotente (senza registro) e come se ormai non ci fosse più nulla da fare.
Il gruppo si chiede chi sia questo alunno che impedisce ad un collega di poter svolgere tranquillamente il proprio lavoro.
Il relatore risponde che è un ragazzo che ha già un posto assicurato nella ditta del padre: insomma è un alunno che non ha nulla da rischiare e disturba l’insegnante e il suo lavoro.
Ci sono pertanto due persone con un posto sicuro: il collega e il giovane. Entrambi sono seduti su una poltrona solida. Non rischiano.
Serpeggiano, all’interno della stanza e nel gruppo, sentimenti come invidia, rivalità…
Luigi parla di un “disturbo” in quella classe, a cui egli dà un nome e un cognome, ma il vero “disturbo” è di Luigi stesso: è nella sua inferiorità, nell’essere senza registro (pene), nel non poter contare, nel non poter presentare i propri numeri (voti).
Solo parlando dell’alunno, riesce a parlare del suo “disturbo”: ha bisogno di parlare di un altro per parlare di se stesso. Nel sentirsi il “minore” sta il suo disturbo.

Il caso di Gian Luca (Insegnante: Alberto - materie scientifiche)

Gian Luca è un ragazzo con scarsi risultati scolastici, che si è fatto notare, fin dai primi giorni di scuola, per l’emotività evidenziata dagli scatti della testa che muove repentinamente.
Il presentatore porta nel gruppo il caso partendo da un episodio: il padre del ragazzo è intervenuto a perorare la causa del figlio dopo un compito non riuscito, che preoccupa il ragazzo, timoroso di ricevere una grave insufficienza.
A questo punto il padre chiede al docente di essere clemente nella valutazione dell’elaborato in questione e lo informa anche che il figlio è in cura presso uno psicologo.
L’insegnante, abituato alla linea “dura”, tenta di spiegare al padre dell’alunno il beneficio che deriverebbe al ragazzo dalla consapevole conoscenza e accettazione dei suoi limiti e problemi, con il sostegno del genitore.
Quando finalmente Alberto consegna i compiti alla classe, tiene per ultimo quello di Gian Luca, al quale dà il compito dopo un incrocio furtivo di sguardi.
Successivamente i risultati scolastici di Gian Luca migliorano e in classe presenta un comportamento meno ansioso.
L’insegnante sente che il suo intervento ha dato buoni risultati ed è orgoglioso del successo.
Il coterapeuta chiede ad Alberto per quale motivo egli ha portato nel gruppo il caso, se la “tempesta è già passata”.
Una collega di Alberto suggerisce che forse l’insegnante non vuole portare nel gruppo casi non risolti.
Qualcun altro sostiene che il docente non poteva far andar male il suo intervento, altrimenti ne avrebbe risentito la sua immagine.
Nella storia sembrano esserci cose non dette: basti pensare agli sguardi scambiati tra insegnante ed allievo prima della consegna del compito.
C’è chi evidenzia il doppio aspetto di padre buono e cattivo (il primo rappresentato dall’insegnante, il secondo dal padre del ragazzo) e chi invece afferma che il padre vero non è buono, ma ansioso, mentre il padre severo è molto più buono del primo.
Il coterapeuta interviene rilevando come il padre “materno” non è in grado di contenere il figlio e allora lo affida allo psicologo.
Il gruppo ruota attorno ad alcune domande: qual è il problema di Gian Luca? Quale quello dell’insegnante che ha presentato il caso?
Sempre il gruppo conclude che Alberto non stesse vivendo bene la relazione con l’alunno; ecco perché ne parlava, al contrario di quello che voleva far credere.
Il caso, presentato da Alberto, potrebbe definirsi “una lezione data al padre”.
Alberto sembra presentare un problema di rivalità col padre, tanto è vero che si propone nel gruppo come antileader: presenta infatti un “caso” apparentemente già risolto, contravvenendo alle regole degli incontri.
E’ un caso di padri, mentre la madre è assente.
C’è però un padre “maternale”, ma c’è anche uno psicologo che deve intervenire per “contenere” un padre troppo apprensivo.
Il duello è tra l’Insegnante e il Padre del ragazzo: il primo si sente messo nell’angolo dal secondo, anche se esibisce una calma con la quale tenta di coprire un’ansia da competizione.
La maschera cade quando l’Insegnante punisce il padre per il figlio.
Il gesto provoca un pentimento in Alberto che, accantonato dal padre, chiama in causa il gruppo.
E’ una storia di uomini, forse omosessuale, che però è il ponte per una futura relazione eterosessuale.
Non a caso, durante quest’incontro, le donne del gruppo sono uscite e rientrate nella stanza in cui gli altri lavoravano.

Il caso di Filippo (Insegnante Marta - materie letterarie)

Marta, insegnante di materie letterarie, denuncia un atteggiamento inatteso di Filippo: il fatto di fumare e per giunta di mattina. Lei sapeva che l’alunno era un po’ riservato, un po’ distratto, ma proprio non si aspettava che fumasse. Inoltre sostiene di essere preoccupata per l’atteggiamento di “duro” che il ragazzo esibisce in classe nel corso di discussioni sugli extracomunitari: sembra avere idee estremiste e quasi razziste. Anche in parrocchia sembra ci siano difficoltà ad accettare le sue idee preconcette e l’estremismo che Filippo ostenta.
Il gruppo si chiede se per caso il ragazzo non vada riecheggiando ciò che vive in famiglia.
Dalla presentatrice del caso si apprende che la madre è molto presente nella vita scolastica del figlio, mentre il padre risulta assente.
Marta aggiunge anche che Filippo è molto amico di un compagno di classe, il vicino di banco, che era in crisi per la separazione dei genitori e che in seguito si era ritirato dalla scuola.
Il leader fa osservare a Marta che si pone su di un piano di comprensione materna in una situazione in cui di “mamma” ce n’è già troppa.
Forse Filippo vuole un padre, ma non sa ancora come formulare la sua richiesta. Inoltre il suo oscillare tra il dura e il trasgressivo fa pensare ad una sconnessione.
Uno dei partecipanti dice che forse Marco ha bisogno di far ordine in casa sua.
La relatrice informa il gruppo che la madre ha portato il padre a scuola a colloquio, ma lui ha ascoltato quanto detto dalla docente senza nessuna partecipazione, ribadendo che non vuole avere altri problemi oltre a quelli che ha già in casa. La moglie si lamenta che da anni ormai le tocca parlare a nome di entrambi e quindi parla…troppo.
Il coterapeuta sostiene che si tratterebbe di un problema di identità di doppio legame con tutte le ambiguità che ne conseguono (Filippo contro, madre contro).
Viene ribadita l’invadenza della madre nell’ambito scolastico, la quale come rappresentante di classe ha indetto una riunione di genitori contro l’insegnante di inglese, senza avvisare l’interessata e il capo d’Istituto. Si sa che il figlio va piuttosto male in quella materia.
Il ragazzo, dopo tale riunione e gli effetti provocati dalla stessa, si dimette da rappresentante della sua classe.
Per il leader tale mossa ha molti significati. Potrebbe anche essere un modo per scaricare l’angoscia suscitata da “tanta madre”.
Il problema che il gruppo si pone è il seguente: come fare a sottrarre il figlio unico alla madre?
Per il gruppo affrontare la madre è impresa ardua. Anche Filippo deve affrontare la madre e il primo tentativo si può intravedere nelle sue dimissioni, la cui ufficializzazione lo ha “esposto” pubblicamente. Ha rotto qualcosa per poter rinascere a suo modo.
Il leader riassume la vicenda: Filippo deve liberarsi e può farlo solo fuori di casa, cioè a scuola, ma qui si dimette, mentre la madre è onnipresente. Filippo deve mettersi tra padre e madre, deve mettersi al posto del padre che per definizione è un “separatore”. L’anno precedente, quando è stato bocciato o si è sottratto alla promozione, lo ha fatto per non progredire verso il padre. Lui agisce una “sottrazione” o regressione verso l’utero materno (9 mesi scolastici e poi lascia).
Occorre aiutarlo a rinascere e soprattutto a “contenere la madre”.
Il coleader conclude : “Se Filippo non rinasce, il padre non arriverà mai!”. Il padre infatti “arriva” sempre dopo la nascita del figlio.

Il caso di Carlo, l’invisibile doppio (Insegnante Giacomo - Matematica)

Carlo viene presentato come un allievo che, quando frequentava la prima, era ...

Indice dei contenuti

  1. IL TRAGHETTO
  2. Indice
  3. Prefazione
  4. Introduzione
  5. Insegnanti in una stanza
  6. Insegnanti e alunni
  7. Il Gruppo lavora
  8. Il Caso
  9. Il Conduttore
  10. L’epilogo
  11. Parte II - Casistica: Il primo incontro e il primo caso
  12. BIBLIOGRAFIA