Capitolo III
Tra patogenesi e diagnosi
3.1 Le reazioni psicologiche
Partendo da una valutazione multifattoriale della costruzione soggettiva di un evento in quanto traumatico si può comprendere come, anche le modalità di risposta possano assumere diverse sfumature, in relazione alle caratteristiche di personalità.
È ritenuto più impreparato un soggetto che tende ad affrontare un problema emotivo con strategie di ipercontrollo e di evitamento e con modalità di reazione psicosomatica.
“ Sono tornato in caserma oggi per portare qualche documento, un certificato medico e la richiesta del prolungamento delle mie ferie.
Mentre passavo vicino al campo di volo sentivo in lontananza i rumori del rullaggio ….le gambe hanno iniziato a tremare, il cuore batteva forte quasi a schizzare dal petto, iniziavo a sudare e sentivo un irrefrenabile desiderio di fuggire…
…io amo il mio lavoro, è la mia vita e la mia vita oggi mi sfugge di mano……………”
Una delle reazioni psicologiche principali e maggiormente conosciute è relativa alla tendenza a rivivere l’evento in vario modo.
Il disagio sotto forma di attivazione fisiologica riemerge di fronte a stimoli scatenanti che sono, in qualche modo, inconsapevolmente dal soggetto ricondotti all’evento traumatico. Per tale motivo, cerca di mettere in atto strategie di evitamento di tutti gli stimoli che possono essere associati al trauma; cerca di evitare pensieri, emozioni e conversazioni sull’evento, attività e situazioni che possono attivare i ricordi e questo meccanismo di difesa porta poi a rimuovere e innescare meccanismi di amnesia per gli aspetti centrali dell’evento.
“mia moglie mi assimilla..dice che dovrei tornare ad allenarmi in palestra… “esci con gli amici- mi dice- fai una passeggiata, usa il tuo tempo in modo produttivo” e più mi dice così e più mi innervosisco. A volte vorrei urlarle contro, sento la sua distanza, sento la mia distanza da un corpo, una vita, una persona che non sono più miei”
Le relazioni interpersonali iniziano a soffrire fino ad arrivare a forme di forte conflittualità e la sensazione di non poter riprendere più il proprio lavoro.
Nell’ambito delle relazioni sociali le problematiche iniziano a prendere la strada dell’isolamento.
Queste modalità difensive non sempre riescono a proteggere e di solito si ritorna a rivive l’evento traumatico attraverso ricordi ricorrenti ed intrusivi o incubi. A volte si sperimentano dei flashback che possono durare alcuni minuti o addirittura delle ore, durante i quali si rivive l’evento traumatico come se stesse avvenendo in quel preciso momento.
Si vive sotto anestesia, “un’anestesia emozionale” che porta sempre di più verso un maggiore isolamento tentando di desensibilizzarsi al mondo esterno. La reattività al mondo esterno si riduce piano piano, come si riducono gli interessi per attività prima piacevoli, inizia un progressivo distacco dalle persone, si riduce progressivamente la capacità di provare emozioni.
Il trauma implode dentro la persona stessa.
Decade la motivazione all’autorealizzazione e la persona perde la progettualità futura.
Il livello di ansia si modifica, aumenta, diventa persistente; aumenta il livello globale di attivazione con forme di iperattività generalizzata.
La perdita della capacità di autoregolarsi rimane la conseguenza di maggiore portata.
“Stanotte mi sono svegliato in preda ad un incubo di cui non riuscirei a definire il contenuto. Mi sono trovato seduto sul letto, sudato, in preda al panico e urlando. Mia moglie mi guardava atterrita dall’altra parte del letto. Mi capita spesso ultimamente e la sensazione di terrore mi impedisce di riprendere sonno. Devo alzarmi, rinfrescarmi il volto e andare davanti alla TV. Guardo il monitor e non vedo le immagini..non seguo il contenuto dei programmi ma la mia mente combatte con il mio corpo che stremato continua a tremare”.
La rabbia inizia ad evolvere contro di sé attraverso un uso compulsivo della sigaretta.
Il controllo di se stessi inizia a diminuire e la rabbia emergente sfocia in irritabilità o scoppi d’ira e difficoltà a concentrarsi o a eseguire compiti.
Diventa difficile addormentarsi o emerge insonnia notturna anche a causa degli incubi frequenti durante i quali è rivissuto l’evento traumatico . Il livello di vigilanza aumenta notevolmente fino a produrre risposte di allarme esagerate.
In tali casi, le risposte psicofisiologiche appaiono pertanto sregolate determinando una “chiusura totale” a livello comportamentale che spinge all’evitamento degli stimoli che ricordano il trauma e a un intorpidimento emozionale nei confronti delle esperienze che prima nella quotidianità, innescano livelli psicofisiologici di attivazione. Si attiva un meccanismo reattivo costituito da un continuum di base caratterizzato dall’intorpidimento generalizzato al quale si alterna un’iperattività intermittente come risposta a stimoli emotivi.
Le emozioni perdono la loro funzione principale che è quella adattiva, come centro d’informazione che media la nostra relazione con l’ambiente.
Accade spesso di avere una difficoltà a determinare i rapporti di causa- effetto degli eventi accaduti. Non si riesce più ad analizzare le informazioni provenienti dalle reazioni emotive impedendo al soggetto di comprendere il significato di ciò che accade. Si attiva invece una modalità di risposta immediata di tipo “attacco o fuga” cioè o immobilizzazione o reazione esagerata e inadeguata agli stimoli.
A ciò, si affianca il possibile affioramento del senso di colpa per il fatto di essere sopravvissuti ad altri o per le azioni compiute per sopravvivere.
“Oggi era il trigesimo della morte dei ragazzi. Ho deciso di andare alla cerimonia anche se tutti mi cercavano di convincere che facevo bene a restare a casa.
Sentivo gli occhi di tutti addosso come se fossi stato un miracolato e più sentivo che mi spiavano e più avrei voluto non essere sopravvissuto. Nessuno capisce che avrei preferito morire con loro, che il peso del ritorno a casa diventa ogni giorno di più peggiore della morte stessa”.
Altri disturbi possono precedere, seguire o emergere in concomitanza con l’insorgenza del disturbo post traumatico come il disturbo depressivo,il disturbo d’ansia con attacchi di panico o d’ansia generalizzato.
Condizioni mediche generali associate a danni fisici possono verificarsi come diretta conseguenza del trauma giacché mente e corpo sono profondamente collegati e s’influenzano reciprocamente alla ricerca di un meccanismo di difesa adeguato a raggiungere la sopravvivenza.
Può accadere che la mente agisca come il fusibile di protezione di un sistema elettrico che subisce una scarica. Quando il sistema subisce un cortocircuito, si attiva il salvavita che interrompe la corrente elettrica.
In egual modo, quando il trauma attiva il circuito mentale con una scarica emotiva, troppo forte da essere metabolizzata, la mente si disconnette momentaneamente. Può accadere, infatti, che nel momento in cui, riceviamo una notizia traumatica, ad esempio, della perdita di una persona cara, la nostra mente non riesca a sopportare la portata emotiva dell’informazione e stacchi la spina per aiutarci ad assorbire il colpo.
In quei casi possiamo perdere momentaneamente coscienza.
La mente e il corpo si alleano per proteggerci dalla perdita.
3.2 La traumatizzazione secondaria: quando gli operatori soffrono
“Ho 30 anni, poliziotto quasi da 10 anni. Da qualche mese, vado settimanalmente in terapia da una psicoterapeuta e non pensavo che nella mia vita avessi mai dovuto chiedere aiuto a qualcuno.”
I soccorritori che vivono eventi traumatici, ne escono spesso turbati e straziati.
Alcune testimonianze raccontano che “alla fine ci fai lo stomaco”, quasi a rappresentare la visceralità delle conseguenze di questi momenti. Come se l’esposizione graduale a tali eventi determini una sorta di abitudine ad essi o una sorta di corazza che si struttura sempre più solida, ogni volta di più.
L’evento si diffonde comunque e infonde, allarga le sue diramazioni su tutti, disturbando anche chi è arrivato dopo, anche chi lo vive indirettamente.
Si chiama tecnicamente “traumatizzazione secondaria o vicaria”ed è un processo patologico conseguente all’esposizione a eventi traumatizzanti o soggetti traumatizzati; che coinvolge chi fornisce aiuto e chi opera in condizione di stress emotivo. In pratica, “effetto stressante-di -riflesso” (Saviantoni, Sgarro, 2001).
La condizione lavorativa che porta l’operatore a stare costantemente in condizione di tensione, a contatto con emozioni forti, attiva tutti gli strumenti di difesa disponibili per la propria sopravvivenza, per allentare tensione e dolore, spesso con modalità evitanti e di distacco emotivo.
Il tentativo disperato di evitare orrore e dolore ci porta nel circolo vizioso e patologico del disturbo.
“Da qualche mese faccio fatica a stare nella macchina di servizio. In qualsiasi posto chiuso e soprattutto in qualsiasi posto dove mi sento intrappolato. Dove non ho uscita….dove non c’è uscita.
Soprattutto quando devo fare lunghi tragitti cerco di non pensare alla strada e inizio a chiacchierare in maniera spropositata, fumo fino a 20 sigarette ed entro in un circolo vizioso di tensione e preoccupazione”.
Se ci si difende da qualcosa o qualcuno, necessariamente ci si allontana da essa nel tentativo disperato di ignorarne l’esistenza, senza consapevolizzare come invece lasci sempre traccia invisibile del suo passaggio.
In questa dinamica, ne rimangono fortemente invischiati anche i familiari e i parenti che sono a stretto contatto con il soggetto che ha vissuto l’evento estremo e che vivono con lui quotidianamente la condizione di forte disagio.
“Un giorno il mio collega mi ha detto che dovevo farla finita, che stavo diventato un pericolo per me, e per lui e che soprattutto non mi reggeva più. Così mi sono deciso…”.
Che cosa determina un coinvolgimento così forte, anche in persone che sono preparate a mantenere un obiettivo distacco dalle persone e dalle loro emozioni?
È una sorta di contagio emotivo che porta ad un defluire senza filtro delle emozioni da un soggetto all’altro, trovando un aggancio nel substrato di esperienze ed emozioni irrisolte.
Solo se si contatta, si è conosciuta e affrontata la rabbia, si può rimane con l’altro nella sua; solo se si impara a rimanere nel dolore si può accompagnare l’altro nel suo lutto; solo si impara ad osservare e gestire le proprie sensibilità emotive si può aiutare l’altro ad esplorare le sue.
Tutti gli aspetti, visibili e non, della sintomatologia che caratterizzano la traumatizzazione secondaria sono assolutamente identici a quelli di chi direttamente subisce un evento traumatico.
Il disagio compromette anche nel contagiato diverse aree, da quella cognitiva a quella comportamentale fino all’area corporea.
Mente e corpo si attivano anche in questo caso come espressione sintomatica di un avvelenamento psicologico.
Poi è arrivato un sogno mentre ero alla ricerca di un perché
“Ho sognato di cadere in un buco profondo, nero, buio e la mia caduta era interminabile finché non toccavo terra e sentivo dei corpi che non potevo vedere….”e poi il ricordo ha iniziato ad affacciarsi inesorabile. È stato l’inizio di un risveglio progressivo come se i puzzle della mia vita iniziassero a mettersi a posto e miracolosamente emergevano alla mente come lucidi, ma soprattutto terrificanti.
Siamo di fronte ad operatori della professione di aiuto che improvvisamente diventano deconcentrati, con pensieri intrusivi simili a quelli della vittima reale, irritabili, ipervigili, isolati con diversi sintomi psicosomatici.
Quando le parole, le emozioni e i vissuti del soggetto traumatizzato s’incastrano con il puzzle incompleto dell’operatore, in maniera perfetta quasi riattivando emozioni e pensieri sopiti, gli effetti emergenti possono attraversare diverse aree della vita dell’operatore con conseguenze disastrose.
Questo accade, non solo per emozioni che si è sempre cercato di allontanare per la difficoltà di gestione, ma anche per l’eccessiva identificazione con il soggetto, per una prolungata ed eccessiva esposizione ad eventi estremi ; questo si traduce per gli operatori della relazione d’aiuto in una formazione professionale inadeguata o insufficiente.
Le reazioni emotive non sono mai isolate, ma sempre più interdipendenti e, col passare del tempo, si potenziano a vicenda aumentando un “effetto alone”, allargandosi a macchia d’olio.
“nella mia squadra sono stato sempre preso in giro per la mia statura. Il più piccolo del gruppo….un grande peso per me e a volte anche un limite.
In una sera di lavoro qualunque ho scoperto che per me era una risorsa importante. Nessuno riusciva ad entrare in un buco così piccolo. Solo io, in servizio, quel giorno potevo farlo, entrare e recuperare un piccolo corpicino di bimbo caduto infondo, così in fondo che nessuno riusciva a vederlo né sentirlo.
Sono sceso giù nella profondita….e l’ho cercato…solo oggi sento il terrore e la paura, l’impotenza che mi ha preso le mani e le gambe. La paura di sentire un corpo che non sembrava più corpo....”
3.3 Aspetti clinici
Horowitz nel 1976 pubblicò il suo lavoro principale sull’impatto del trauma sulla personalità, descrivendo delle vittime che oscillavano tra il diniego dell’evento e la sua ripetizione compulsiva attraverso flashback o incubi, determinati dal tentativo della mente di elaborare ed organizzare gli stimoli intollerabili.
Egli identificò otto tematiche psicologiche comuni che conseguono a un grave trauma: il dolore, il senso di colpa sia per i propri impulsi di rabbia o distruttivi e soprattutto per essere sopravvissuti, la paura di agire i propri impulsi, paura di identificarsi con le vittime, la vergogna conseguente al sentimento di impotenza e di vuoto, la paura di rivivere il trauma e la intensa rabbia diretta verso la fonte del trauma.
I criteri del DSM- IV focalizzano l’attenzione soprattutto su eventi traumatici circoscritti.
Una varietà di sintomi va oltre la definizione del DSM- IV: la somatizzazione; la dissociazione; la depressione prolungata, le alterazioni patologiche dell’identità e delle relazioni; le ripetizioni del danno subito attraverso automutilazioni e rivittimizzazioni.
L’evento divide la vita del soggetto in tre momenti fenomenologici. Ognuno di questi momenti è allo stesso tempo un “mondo” che comprende particolari visioni di sé.
Il “mondo della previttimizzazione”, che racchiude il contesto di vita vissuto prima del trauma, dove la persona si sente indenne, forte ed esente da ogni s...