Bisogna aver visto. Il carcere nella riflessione degli antifascisti
eBook - ePub

Bisogna aver visto. Il carcere nella riflessione degli antifascisti

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Bisogna aver visto. Il carcere nella riflessione degli antifascisti

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Testi di Calamandrei, Foa, Spinetti, Lussu, Ginzburg, Levi, Salvemini, Baldazzi, Bauer, Bei, Bolis, Fancello, Giva, Lombardo Radice, Marconi, Monti, Pajetta, Parri, Rossi, Vinciguerra.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Bisogna aver visto. Il carcere nella riflessione degli antifascisti di Piero Calamandrei, Patrizio Gonnella, Dario Ippolito in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Storia mondiale. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788863572872
Argomento
Storia
universale dei poveri
© 2019 Edizioni dell’asino
Isbn 978-88-6357-276-6
Distribuzione Messaggerie libri.
Progetto grafico orecchio acerbo.
Questo libro è stampato su carta
conforme ai principi Fsc.
In redazione:
Giulio Marcon, Davide Minotti,
Chiara Rocca, Ilaria Pittiglio e Nicola Villa.
Stampato a San Giuliano Milanese (MI) da Geca.
Bisogna aver visto
Il carcere nella riflessione degli antifascisti
a cura di Patrizio Gonnella e Dario Ippolito
La copertina di Carlo Levi
Attraverso il Ponte: visioni del carcere |
Patrizio Gonnella e Dario Ippolito
Esperienza
Bisogna avere visto una guerra per comprenderne fino in fondo la tragedia e l’orrore. Allo stesso modo bisogna avere visto un carcere per comprenderne appieno la funzione sociale e misurarne il divario rispetto agli scopi giustificativi attribuibili al male penale. Non aver visto non è una colpa: ma non possiamo ignorare la voce di chi ha visto. Perché la voce di chi ha visto racconta quel che le norme non dicono: l’essere che non dovrebbe essere; le derive criminali di un’istituzione deputata alla repressione del crimine; l’impunità del potere punitivo; la sostanza della pena reale che eccede ogni ri-forma legale.
All’inizio del secolo scorso, fu la voce potente di Filippo Turati a spalancare i cancelli del penitenziario di fronte all’opinione pubblica. Le carceri “sono la maggior vergogna del nostro Paese”, denunciò in un memorabile discorso alla Camera:
Esse rappresentano la esplicazione della vendetta sociale nella forma forse peggiore che si abbia mai avuta: noi crediamo di aver abolito la tortura, e i nostri reclusorî sono essi stessi un sistema di tortura la più raffinata; noi ci vantiamo di aver cancellato la pena di morte dal codice penale comune, e la pena di morte che ammanniscono goccia a goccia le nostre galere è meno pietosa di quella che era data per mano del carnefice; noi ci gonfiamo le gote a parlare di emenda dei colpevoli, e le nostre carceri sono fabbriche di delinquenti o scuole di perfezionamento dei malfattori1.
Turati non parlava da osservatore esterno. Conosceva il carcere perché, come molti dirigenti socialisti della sua generazione, lo aveva patito da detenuto. Del carcere conosceva gli spazi e i tempi; gli odori e i rumori; il personale da cui era amministrato e le non-persone da cui era affollato: “la società” – protestava (significativamente alla prima personale plurale) – “[…] non ha diritto di sopprimere in noi la dignità, la fierezza, la personalità morale, non ha diritto di deturparci, non ha diritto di far di noi delle cose”2. Del carcere, Turati conosceva il vuoto di diritto e il pieno di potere; l’ottusa burocrazia e la dispotica gerarchia; le regole ineffettive e le prassi regolative, le finalità disattese e le volontà attuate:
come è molto più facile rinchiudere un condannato, spaventarlo, brutalizzarlo, che non educarlo e farne un uomo nuovo; come la ferocia non richiede né intelligenza, né fatica né mezzi pecuniari, mentre l’educazione esige tutte queste cose; è avvenuto che, del regolamento carcerario, tutta la parte brutale, quella in cui sopravvive lo spirito della vendetta sociale contro il disgraziato che è nelle carceri, è largamente applicata; tutta la parte, invece, che rispecchia il dovere dello Stato di provvedere alla redenzione del colpevole, guarantendo al tempo stesso la sicurezza pubblica contro le recidive, tutto questo è lasciato completamente da parte, è rimasto lettera morta3.
I cimiteri dei vivi: fu questo il titolo icastico scelto da Turati nel dare alle stampe il suo monito all’Italia borghese della belle époque giolittiana4. Circa mezzo secolo dopo, agli albori della Repubblica democratica, Piero Calamandrei scelse le parole di Turati quale incipit di uno straordinario numero monografico della “Rivista di politica e letteratura” da lui fondata: “Il Ponte”. Pubblicato con cadenza mensile a partire dall’aprile della Liberazione, il periodico metaforizzava nel nome – illustrato dall’emblema in copertina – il proposito di superare la “voragine scavata dal fascismo”, di costruire sulle macerie della guerra per tornare alla vita civile, di uscire dall’“imbestialimento”, di non soccombere alla “pestilenza”, di incamminarsi verso un ordine politico diretto a coniugare “la libertà individuale […] colla giustizia sociale”5. Anno dopo anno, pietra su pietra, “Il Ponte” acquisì un profilo inconfondibile e una solidità portentosa: sopravvisse alla scomparsa del fondatore e resistette ai terremoti del mercato editoriale, continuando a distinguersi nel panorama della cultura italiana.
Il numero monografico che si apre con le parole di Turati è datato marzo 1949 e s’intitola “Carceri: esperienze e documenti”. È un mosaico di pensieri che ha lasciato un’impronta durevole nella riflessione filosofica e sociologica sulla questione penitenziaria. Parla della nostra storia: del passato e del presente. Per questo continua a essere letto; per questo dev’esser letto6; per questo abbiamo deciso di ripubblicarlo. Calamandrei lo concepì come vettore di conoscenza, come luogo di critica e di proposta, come momento della lotta per il diritto: per la riforma del carcere fascista ad opera del Parlamento repubblicano. Ecco perché i testi che lo compongono sono “le testimonianze di coloro che hanno sofferto” gli “inumani orrori”7 della galera durante il regime: Vittorio Foa, Altiero Spinelli, Giancarlo Pajetta, Lucio Lombardo Radice, Ernesto Rossi… È la voce dei figli dei figli della generazione politica di Turati; è la loro drammatica esperienza diretta; è la loro lucida capacità di osservare la realtà a guidarci oltre le mura della prigione, a metterne in discussione gli scopi e a cercare di intenderne la funzione8.
Osservazione
L’osservazione diretta consente di ragionare al di là delle finalità che il diritto attribuisce alla pena e di non limitarsi al dibattito scolastico intorno alle dottrine di prevenzione generale o speciale, di retribuzione o di emenda. Essa consente di esaminare quegli attributi essenziali e fattuali della pena, individuati dallo sguardo penetrante di Massimo Pavarini9: afflittività, programmaticità, espressività, strategicità. Bisogna avere visto un carcere per comprenderne la sua natura afflittiva, fatta di diritti negati ben oltre quanto esplicitamente indicato nella legge; la sua essenza programmatica, fondata su messaggi vessatori e di sottomissione del carcerato alle regole non scritte della galera; la sua forza espressiva, consistente nella simbolicità del rapporto asimmetrico tra custode e custodito; il suo carattere strategico, teso a non mutare i rapporti di dominio tra le classi sociali. Saranno gli sguardi verso il basso o verso l’alto dei prigionieri, l’odore di caffè o di marcio presente nelle celle, il silenzio o il frastuono, la vita o l’assenza di vita che c’è nelle sezioni, la previsione o meno di spazi interrati per l’isolamento disciplinare, le divise militari o l’assenza di uniforme nello staff penitenziario alcuni degli indicatori utili a comprendere l’effettiva funzione sociale della pena carceraria. Indicatori che fuoriescono da ogni codificazione normativa e che solo l’osservazione diretta potrà esaminare e riconoscere.
L’osservazione delle carceri e dei luoghi privativi della libertà personale da parte di organizzazioni o soggetti indipendenti ha dunque una funzione di svelamento della natura sociologica della pena. Ma ha anche una ulteriore doppia funzione: di tipo preventivo, in quanto serve a togliere ai custodi l’idea di essere proprietari esclusivi dei corpi delle persone recluse, e di tipo legale, in quanto è utile a restituire alla società un ruolo di garanzia del rispetto della finalità normativa della pena. L’osservazione diretta delle carceri non si limita a questo: ha anche un’ulteriore funzione critica e innovatrice. L’osservazione, infatti, non è mai neutra. È una pratica che in un modo o nell’altro condiziona l’oggetto e i soggetti osservati. Non è mai una pratica del tutto ininfluente. L’osservazione nelle carceri modifica comportamenti e prassi, a volte per la sola durata della visita, a volte in modo più penetrante e duraturo.
Dai tempi in cui Calamandrei tentava di gettare un ponte tra la società civile e la società reclusa, illuminando le celle con le parole di chi le aveva abitate; da allora ai nostri giorni, sia nel diritto internazionale che nelle pratiche interne ai singoli Stati, si è diffusa la consapevolezza della necessità di prevedere forme di osservazione diretta e di monitoraggio delle carceri a livello convenzionale sovra-nazionale (si pensi al ruolo ispetti...

Indice dei contenuti

  1. Carcere_interni