Storia del separatismo siciliano 1943-1947
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"L'idea di indipendenza era in quel tempo, gli ultimi mesi del 1943, non l'idea di un partito ma il comun denominatore di tutte le nascenti o rinascenti idee politiche, dal vagheggiamento di una repubblica sovietica siciliana alla nostalgia del preborbonico regno di Sicilia." Un'inchiesta che ha per oggetto le origini del Movimento per l'indipendenza della Sicilia nel 1943, l'Evis (l'Esercito volontario per l'indipendenza della Sicilia), gli arresti e le persecuzioni poliziesche nel 1945, gli intrighi nei salotti di Palermo, il gioco ambiguo della mafia, le intese col bandito Giuliano, i retroscena diplomatici, le trattative con la monarchia sabauda alla vigilia del referendum. Una rievocazione fondata sulle testimonianze dei protagonisti che Marcello Cimino ricerca e sollecita a ricordare e a riferire perché "sono eventi da non lasciare nell'oblio. Oltrettutto da essi è nato il regime di autonomia speciale oggi vigente in Sicilia la cui data di nascita è il 15 maggio 1946, proprio nel pieno degli avvenimenti rievocati in questa inchiesta". Marcello Cimino nacque a Palermo nel 1920. Collaborò con vari periodici nazionali e locali, tra cui "l'Unità". Si iscrisse al Pci nel 1945. Nello stesso anno divenne redattore del quotidiano "La Voce della Sicilia" e in seguito entrò nella redazione del settimanale "Chiarezza". Dal 1959 al 1975 fu redattore de "L'Ora" di Palermo; fu presidente dell'Ordine dei giornalisti in Sicilia. All'interno del partito comunista fu segretario della federazione del Pci di Agrigento dal 1948 al 1952, vicesegretario della federazione palermitana, membro della segreteria regionale del Pci e infine direttore dell'archivio dell'Istituto Gramsci di Palermo. Morì nel dicembre 1989.

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Informazioni

@ 2018 Edizioni dell’Asino
edizioni cartacea: 978-88-6357-241-4
edizioni digitale: 978-88-6357-294-0
www.asinoedizioni.it
Testi originali: Le pietre nello stagno. Inchieste, servizi e interviste sulla Sicilia del dopoguerra 1843-60 a cura di Maurizio Rizza (Edizioni La Zisa 1988), già in Lora 1966.
Fine di una nazione. Che cosa non è, che cosa può essere la Sicilia dopo il ’43 (Flaccovio 1977)
Distribuzione: Messaggerie libri
Progetto Grafico: orecchio acerbo
Questo libro è stampato su carta
conforme ai principi Fsc
Hanno collaborato:
Cecilia Cardito, Gemma De Chirico, Guido Gattinara,
Giulio Marcon, Davide Minotti, Ilaria Pittiglio, Salvatore Prisco, Nicola Villa.
Stampato a Szczecin (Polonia) da Booksfactory.it
nel rispetto delle leggi internazionali sul lavoro.
Pubblicazione realizzata con il contributo
dell’Assessorato regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana.
Dipartimento dei Beni culturali e dell’identità siciliana
Storia del separatismo siciliano
1943-1947
Marcello Cimino
nota introduttiva di Goffredo Fofi
Introduzione
Perché occuparsi oggi della storia del separatismo siciliano? Anzitutto, perché se ne sa poco o niente, i giovani ne ignorano tutto e i vecchi hanno dimenticato (i sopravvissuti) cosa è stata la storia d’Italia in guerra e in dopoguerra, e il peso che in essa hanno avuto le nostre zone di confine nella loro richiesta di una parziale autonomia, dalla Valle d’Aosta al Sud Tirolo (cioè, per l’Italia, l’Alto Adige), da quella che per molto tempo è stata chiamata Venezia Giulia, con al centro Trieste, alla Sardegna del Partito d’azione. La richiesta di autonomia e le lotte per ottenerla sono state bensì più forti e più complesse in Sicilia, con vicende più drammatiche che altrove.
La diffidenza nei confronti del potere centrale, dello Stato Italia, è sempre stata giustificata in Sicilia sotto i Savoia e con una classe dirigente incapace di dar luogo alle speranze del Risorgimento, soprattutto nel Sud. Ci si è aggiunto dopo il fascismo, nelle zone che abbiamo citato e non solo. Vale per quelle che non erano isole la vicinanza, anche linguistica, con le nazioni confinanti, mentre per la Sicilia ha pesato in alcuni la speranza di poter diventare una 49esima stella della Confederazione statunitense, alimentata dal numero di emigranti siciliani negli Usa. Nelle altre l’attrazione esercitata dalle nazioni limitrofe ha avuto un peso importante per la presenza di minoranze (non esigue!) di storia lingua cultura diverse dall’italiana, lingue e non dialetti, come quelli che pur distinguevano fortemente (e tuttora in parte distinguono) il nostro Nord dal Sud. La Sicilia, in particolare, che ha quasi tanti abitanti e un territorio quasi altrettanto vasto della Svizzera (cinque milioni contro sette, 25 mila km quadrati contro 41 mila) ed è un’isola che avrebbe ben potuto diventar nazione, ha subito nel corso della sua storia tante occupazioni diverse, e quella piemontese non è stata più dolce di altre.
La richiesta di autonomia vi è stata dunque più forte che altrove, perché i tempi – la fine di una guerra mondiale che aveva visto l’Italia schierata prima con i tedeschi e poi con gli Alleati, e lo sfacelo dello stato fascista e della nazione – sollecitò le ansie autonomistiche dell’isola e permise la nascita di un movimento separatista molto forte. Si trattò di un movimento che aveva al suo interno componenti ancora monarchiche ma che esprimeva anche rivendicazioni d’impronta socialista, e di esso fecero parte intellettuali agguerriti e militanti con forti aspirazioni di giustizia sociale, in rapporto in particolare al potere degli agrari e alla condizione dei contadini. L’Italia continentale non ne comprese la portata e in pochi seppero vederne le interne contraddizioni, almeno fino a quando a quella storia non si è affiancato il fenomeno del banditismo, particolarmente rilevante nella vasta provincia di Palermo, e che ha avuto in Salvatore Giuliano il personaggio più rappresentativo e quello più facilmente mitizzabile e mitizzato.
Nell’immaginario dell’Italia continentale si sono facilmente confuse le azioni del banditismo (e della mafia che se ne mise progressivamente alle spalle) con quelle del separatismo, ed è per questo che abbiamo creduto opportuno tornare su questa storia per capirne meglio le diversità e l’importanza. Il nostro è un pianeta sempre più diviso e complesso, e non sono pochi i conflitti sorti da ragioni simili a quelle di questa lontana storia, significativa per la sua originalità ma che ha anche molte analogie con altre storie, in altre aree geografiche. Il separatismo non è nato dal nulla e ha avuto le sue ragioni, e in qualche modo le ha avute anche il banditismo sociale (non solo in Sicilia, dove il suo peso è stato molto maggiore che altrove, per la sua confusione con la politica e per un fortissimo scontro tra tradizione e novità, tra il vecchio ordine agrario e padronale e le rivendicazioni di un mondo contadino insofferente di quell’ordine e della sua ingiustizia). In prima fila, una generazione di giovani reduci che tornati sull’isola si fecero militanti e si collegarono al sindacato e ai due maggiori partiti della sinistra. Prima di venir sconfitto dalle forze dell’ordine, il banditismo fu in Sicilia un prodotto delle tensioni presenti nel mondo contadino, ma non va dimenticato che il banditismo ebbe corso anche in grandi città come Milano (la banda Barbieri), Bologna (la banda Casaroli), Roma (la banda del Gobbo del Quarticciolo...). Il banditismo siciliano, come il separatismo a cui per un tempo venne collegato, è stato un fenomeno molto più complesso, e dunque molto più rivelatore di ogni storica forma di banditismo sociale e merita studi e riflessioni importanti. Ne sappiamo bensì, perfino nella Sicilia di oggi, troppo poco, e né i libri di storia del periodo gli hanno dedicato più di qualche paragrafo, anche se a queste dimenticanze o titubanze hanno rimediato storici di valore come Francesco Renda, Salvatore Lupo e pochi altri, e ha cercato di rimediare un regista come Francesco Rosi con il suo Salvatore Giuliano. Ma citiamo Cimino, dal secondo saggio raccolto in questo volume: “La scelta unitaria che i partiti della sinistra fecero in Sicilia sin dal 1943 consegnò all’egemonia baronale il movimento per l’indipendenza siciliana che pure comprendeva forti spinte rivoluzionarie di ispirazione nazionalistico-popolare col risultato che, come già in passato tante volte era accaduto, esso fu strumentalizzato per i propri fini conservatori dai grandi proprietari terrieri pronti come sempre a tradirlo per accodarsi con gli esterni dominatori non appena ottenuta la garanzia dei propri interessi e privilegi. Il tradimento si ripeté ancora una volta fra il 1945 e il 1946 allorché apparve chiaro che nessun vento del Nord – come allora si diceva – avrebbe soffiato rivoluzione in Sicilia, e che anzi dal ripristinato potere del governo italiano sarebbe venuta ancora una volta protezione contro le rivolte popolari e in primo luogo contro il movimento dei contadini.”
Marcello Cimino ha rappresentato in questo quadro un’eccezione bellissima, con scritti acuti e appassionati. Più che uno storico egli è stato un grande giornalista del gruppo di “L’ora”, il quotidiano palermitano della sera che, diretto da Vittorio Nisticò, ha avuto un ruolo fondamentale nella vita politica e culturale dell’isola e anzitutto della sua capitale, negli anni della ricostruzione, fin dentro quelli del miracolo economico. Cimino (1920-1989) ha rievocato le sue esperienze politiche e professionali in un libro-intervista di Michele Perriera, Vita e morte di un comunista soave (Sellerio 1990), uscito poco dopo la sua morte. E di lui ha raccontato la sua straordinaria compagna, Giuliana Saladino (1925-1999), anche lei giornalista, autrice di un’inchiesta sull’omicidio per mano mafiosa del giornalista Mauro De Mauro, nel 1970 (De Mauro, una cronaca palermitana, 1972), ma anche di Terra di rapina (1977) e del bellissimo Romanzo civile del 2000. Marta Cimino, figlia di Marcello e Giuliana, scomparsa nel 2014, è stata una delle animatrici del “Comitato dei lenzuoli” e del risveglio palermitano successivo agli atroci omicidi mafiosi di Falcone e Borsellino, nel 1992.
Il volume che presentiamo raccoglie due testi dedicati da Cimino alla storia e al destino del movimento separatista. Il secondo è un vero e proprio studio storico, un’analisi compiuta e solida che non nasconde le sue convinzioni di parte, oggettiva al massimo ma mossa dalla volontà di capire e raccontare che è di un intellettuale militante, iscritto al Partito comunista italiano che, nel meglio, ha saputo rappresentare più a lungo e con più dete...

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